Porti chiusi

Il governo crea consenso sollecitando le pulsioni razziste

Gennaio 2019, la Sea Watch 3 (la nave di una ONG tedesca, che batte bandiera olandese) soccorre nel Mediterraneo 47 naufraghi, fra cui otto minori non accompagnati. Come nel caso della Diciotti, nave della nostra Guardia Costiera, il governo Lega-5 Stelle fa di tutto per negare l’approdo dei migranti nei porti italiani. Come nel caso della Diciotti, inizia la mobilitazione per ottenere lo sbarco, che avverrà dopo due settimane, trascorse a bordo in condizioni sempre più difficili. Di fronte al porto di Siracusa, dove viene vietato l’approdo, nelle manifestazioni che rivendicano il diritto all’accoglienza sono presenti, indossando le fasce tricolori, anche molti sindaci, del capoluogo e dei comuni vicini. In sintonia, questi ultimi, con i tanti primi cittadini italiani che stanno contestando le politiche securitarie del governo.

Non a caso, un lungo applauso ha salutato l’intervento di Domenico Lucano (sindaco di Riace), quando ha denunciato il fatto che “A un chilometro dalla costa di Siracusa ci sono persone che chiedono solo di mettere piede su una terra che è di tutti”. Che la mobilitazione sia necessaria è evidente; forse, però, non tutti comprendono quanto possa essere di aiuto per l’azione delle ONG. Come ha spiegato l’equipaggio della Sea Watch 3, intervenendo nel dibattito di apertura del Tendone solidale (promosso a Catania, dal 18 al 23 febbraio, dalle realtà antirazziste). “Arrivare in un porto e trovare gruppi di persone che dimostrano esplicitamente di condividere il tuo operato ripaga degli sforzi e stimola a proseguire nell’impegno”.

In aumento i morti in mare

Con questi ultimi arrivi viene confermato il trend decrescente degli sbarchi nelle nostre coste. Se consideriamo i primi due mesi dell’anno, nel 2017 arrivarono 13.439 migranti; nel 2018: 5.247; nel 2019: 262. Meno arrivi non significa, però, meno morti in mare. Tra gennaio e settembre 2017, sono scomparse 1.728 persone in tutto il Mediterraneo, di cui 3 su 4 (1.260) nella sola rotta tra Libia e Italia. Un dramma causato anche dalla diminuita capacità di ricerca e soccorso in mare provocata dalla delegittimazione e dalla esclusione delle navi delle ONG impegnate in tali operazioni, ad esse era dovuto circa il 35% dei salvataggi. Una campagna di delegittimazione che ha avuto come protagonista, tra gli altri, il capo della procura di Catania, Zuccaro. Quest’ultimo aveva, infatti, definito le navi che nel Mediterraneo provavano a rendere meno drammatico il conto dei migranti morti “taxi del mare” (ricevendo sinceri apprezzamenti da Salvini e Di Maio), e aveva addirittura ipotizzato l’esistenza di collegamenti con i trafficanti di uomini. Infine, aveva accusato l’equipaggio della nave Acquarius di aver smaltito in modo non corretto gli indumenti indossati dai migranti, che, con una certa fantasia, erano stati considerati fonte di trasmissione di virus o agenti patogeni contratti durante il viaggio. I giudici delle indagini preliminari, prima e il tribunale del riesame, dopo, hanno fatto cadere tutte le accuse.

Ciononostante una parte dell’opinione pubblica ha mantenuto un atteggiamento critico sul ruolo delle ONG e queste ultime, come si è già detto, sono statecostrette a ridurre il loro impegno. Inoltre, non va dimenticato che la diminuzione delle partenze è principalmente frutto degli ignobili accordi fra Italia (governo di centrosinistra) e Libia, nei cui campi di detenzione/lager sono imprigionate, e muoiono, migliaia di persone. È, perciò, importante ricordare che l’accordo firmato nel febbraio del 2017 non è conforme al diritto internazionale e non rispetta i diritti umani, perché la Libia si è rifiutata di firmare la convenzione sui rifugiati del 1951 che protegge le persone in fuga da guerra e persecuzioni. Come sostengono, fra gli altri, Oxfam e Borderlineoccorre chiedere l’immediata revoca dell’accordo, della collaborazione con la guardia costiera libica e di tutte le attività volte a riportare in Libia le persone che sono riuscite a fuggire dai campi di detenzione e condizioni di vita disumane. L’Europa non risolverà il problema della migrazione spingendo il confine più in là, verso la Libia, e neanche riportando gente disperata indietro, verso l’inferno da cui è fuggita. Dovrebbe invece assicurare rotte sicure per tutti quelli che fuggono da aree del mondo dove è impossibile la vita e garantire processi di richiesta d’asilo giusti e trasparenti.

L’ossessione politico-mediatica degli sbarchi

Aver concentrato tutta l’attenzione sugli sbarchi ha reso sicuramente più popolare l’esecutivo gialloverde, mettendolo in sintonia con le pulsioni xenofobe e razziste sempre più presenti nel nostro paese, alimentate, peraltro, dallo stesso governo. Gli immigrati, viene ripetuto ossessivamente, arrivano con i barconi: non possiamo controllarli e, quindi, le nostre città sono assediate e rese invivibili dalla criminalità degli stranieri.

Peccato che i numeri dicano altro. Infatti, gli stranieri residenti in Italia provenienti dal continente africano rappresentano poco più del 20% del totale. Anche ammesso, e non è così, che siano tutti approdati “via mare”, è evidente che la stragrande maggioranza di chi arriva e resta nel nostro paese (oltre il 50%dall’Europa e circa il 20% dall’Asia) lo fa attraverso gli aeroporti e/o le frontiere del nord.

Come in ogni profezia che si autoavvera, dopo aver diffuso l’idea dell’invasione, si è legiferato (legge 132/2018, la cosiddetta legge Salvini) scegliendo di affrontare la questione dell’emigrazione esclusivamente come problema di sicurezza e ordine pubblico. Si è fortemente limitata la concessione dei permessi di soggiorno (soppressi, di fatto, quelli per motivi umanitari); sono state irrigidite le misure restrittive contro i richiedenti asilo; sono stati ampliati i casi in cui lo status di rifugiato può essere negato o revocato e quelli in cui può essere negata la cittadinanza; i richiedenti asilo non possono iscriversi all’anagrafe, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di diritti. In sostanza, in nome di una presunta sicurezza, crescerà il numero degli stranieri presenti in maniera irregolare e aumenterà l’esercito degli invisibili, tutte persone destinate a diventare manodopera a basso costo e facilmente ricattabile per qualunque organizzazione criminale. O, nel caso migliore, crescerà la fetta di popolazione che vive ai margini delle nostre comunità, aumentando sempre di più la distanza tra “noi”, vecchi cittadini, e “loro”, nuova popolazione italiana che vive qui, lavora qui, educa qui i propri figli eppure rimane sempre ghettizzata e “diversa”.

Europa deresponsabilizzata

L’altro leitmotiv delle politiche contro i migranti riguarda la cosiddetta deresponsabilizzazione dell’Europa.

Anche in questo caso partiamo dai dati. Nel mondo, fra i paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati, l’unico stato europeo collocato fra i primi dieci è la Germania, peraltro in ottava posizione. In questa speciale classifica l’Italia rimane tra gli ultimi in Europa per incidenza del numero di rifugiati sul totale della popolazione. In effetti, gli stranieri residenti nel nostro paese rappresentano complessivamente circa l’8,5% della popolazione e le comunità più numerose sono quella rumena (23% sul totale), albanese (8,6%) e marocchina (8,1%).

Ma soprattutto va sottolineato il fatto che, nonostante l’eccesso di parole scarlatte, il governo non si è effettivamente battuto per rimettere in discussione il regolamento di Dublino III secondo cui “Quando è accertato […] che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”. Si tratta, quindi, di un accordo che obbliga i migranti a chiedere asilo nel paese di primo ingresso, impedendo loro la libera circolazione sul territorio europeo. In effetti, anche se si volesse ammettere una qualche legittimità al principio di ripartizione dei migranti fra i vari paesi UE, è evidente che il governo gialloverde, per non scontentare i propri partner sovranisti del gruppo di Visegrad, acerrimi nemici di tale principio, non può intervenire. Come si dice in siciliano, è costretto a “muoversi fermo”, ovvero a non fare concretamente nulla.

Concludendo, invece di rincorrere principi discutibili, sia lode alla semplicità, che, come è stato scritto, è, purtroppo difficile a farsi. In questo caso basterebbe garantire a tutte le persone di potersi muovere senza nessuna restrizione, assecondando soltanto bisogni e desideri.