Il comunicato pubblicato un mese fa (il 14 marzo) sul sito confederale, in cui sono state fissate le parole d’ordine dall’Esecutivo nazionale della Confederazione COBAS sulla guerra in atto in Ucraina, rappresenta il punto di equilibrio possibile in una fase storica che, come la pandemia, produce polarizzazioni e divisioni nella società su temi cruciali che disegneranno nuovi scenari futuri. La condanna dell’invasione dell’Ucraina e la richiesta dell’immediato “cessate il fuoco” e ritiro per trattative vere, nonché dell’allerta dell’arsenale nucleare russo; la solidarietà al popolo ucraino aggredito; il sostegno agli oppositori della guerra in Russia; l’opposizione alle politiche espansioniste della NATO nell’Est Europa, che hanno offerto il pretesto alle mire neo-imperiali di Putin, e al riarmo generalizzato; i nostri NO al coinvolgimento dei paesi UE (Italia in testa) con l’invio di armi, all’utilizzo delle basi militari sui nostri territori, all’economia di guerra, allo stato di emergenza; l’auspicio per un’Europa di pace e accoglienza, la riduzione delle spese militari e una politica di disarmo nucleare e bellico svuotando tutti gli arsenali: sono i punti qualificanti della posizione assunta dai COBAS, che affidiamo e ribadiamo in queste righe rispetto a quanto sta accedendo nell’Est Europa. L’estrema drammaticità degli eventi che, oltre alle decine di migliaia di vittime, tra i civili ucraini, provocate dell’inaccettabile aggressione putiniana, può portare tutta l’Europa, e non solo, a livelli bellici inauditi e catastrofici: questi eventi hanno fatto emergere un confronto sulle responsabilità russe e NATO, nonché su come sostenere efficacemente la popolazione civile, che ha trovato soluzione con la sottolineatura della nostra totale avversione ad ogni guerra di aggressione, al di là di qualsiasi ideologizzazione predefinita della fase storica in cui ci troviamo.
La nostra organizzazione ha un’idiosincrasia contro qualsiasi forma di prevaricazione e sopruso: per quanto il conflitto armato nell’area orientale dell’Ucraina – il Donbass – sia aperto da oltre otto anni, l’invasione da parte della Federazione Russa in Ucraina ha fatto irruzione come un evento improvviso e imprevisto, riportando la guerra in Europa dopo quella della NATO negli Anni ’90 in Yugoslavia. L’aggressione russa sta provocando morti civili, profughi, distruzione di città e territori, devastazione ambientale con rischi di incidenti attorno alle centrali nucleari, fino alle minacce di ricorso alle armi nucleari stesse: tutto ciò sta destabilizzando il già precario equilibrio nei paesi europei, con popoli stremati dalla pandemia, aggravando la crisi economico-commerciale che colpirà prevalentemente lavoratori e lavoratrici, precari/e, disoccupati/e, pensionati/e, fino alle piccole aziende, ai piccoli commercianti e ai titolari di partita IVA (il tessuto diffuso nelle province del nostro paese). L’invasione da una parte e le decisioni dei paesi europei di sostenere la resistenza ucraina stanno creando l’occasione per una militarizzazione della società e dei territori da tempo annunciata, ma che oggi diviene praticabile per il Governo Draghi: a fronte di un caro-vita insostenibile, di tariffe in aumento incontrollato, di un’inflazione di nuovo in crescita esponenziale e prossima alle due cifre, le risorse economiche vengono orientate all’aumento del 2% di spese militari (per quanto spalmante fino al 2028) fino a sfiorare i 40 mld di euro all’anno, mentre il PNRR assegna “ben” 17 mld all’Istruzione 15 alla Salute, 11 a Università e ricerca ecc. … per non parlare dell’ultima novità con l’utilizzo del PNRR per trasformare 73 ettari di territorio, all’interno del Parco protetto tra Pisa e Livorno, in una cittadella militare per l’addestramento del reparto speciale, il 1° Reggimento Carabinieri paracadutisti “Tuscania”, senza che la cittadinanza sia stata minimamente informata e con un impatto ambientale terribile, come in tutte le altre regioni in cui sono presenti basi militari: alla faccia della transizione ecologica. Per tutto ciò gridiamo il nostro NO alle guerre di aggressione, alle spese militari che sottraggono risorse alle spese sociali, alla militarizzazione dei territori con il proliferare di basi militari in tutte le regioni italiane.
La guerra in Ucraina arriva dopo due anni di pandemia: anche in quel caso, dal confronto è emersa una posizione convergente e condivisa nella denuncia delle mancanza politiche e delle gravi responsabilità dei governi che si sono succeduti in decenni con il taglio di fondi e personale alla Scuola, impoverendo una Sanità regionalizzata e privatizzata, appaltando servizi sociali pubblici a cooperative o a ditte private. Nonostante le difficoltà affrontate, la nostra coerenza nella lotta contro le politiche liberiste dei governi di destra o centrosinistra è rimasta intatta.
Sui temi costituenti della nostra attività sindacal-politica nella scuola, come leggerete negli articoli, la compattezza dei COBAS si è manifestata nella difesa della scuola pubblica contro gerarchizzazioni, privatizzazioni e sedicenti “autonomie scolastiche” e regionalizzazioni; nell’ostilità alla scuola finta della Dad, ai meccanismi della valutazione Invalsi, all’Alternanza scuola-lavoro; nel sostegno costante alla stabilizzazione del precariato. E nella rivista si riconferma, anche oltre le questioni più strettamente di politica scolastica, quanto accordo ci sia tra noi sull’attività politico-sociale svolta dal CESP su temi di grande rilievo come l’attività scolastica e culturale nelle carceri, come il sostegno al disagio psichico contro la sua medicalizzazione aggressiva nelle scuole e nella società, o sulle questioni ambientali e climatiche, sulla solidarietà e difesa dei migranti, sui conflitti di genere, sulla lotta all’omotransfobia ecc.
In ultimo, una nota sui risultati delle elezioni RSU: non nascondiamo la perdita di voti rispetto alle elezioni del 2018, e dovremo analizzarne e discuterne profondamente le cause, evidenziando comunque che vi sono molte attenuanti per questo arretramento. 1) Le RSU sono andate perdendo un ruolo contrattuale di un qualche peso negli ultimi anni, e i capi di istituto e staff le “infiltrano” e le manipolano in buona parte negli istituti, scoraggiando la partecipazione; 2) i sindacati “rappresentativi” trovano candidati facilmente perché alle trattative ci vanno i funzionari esterni e non gli eletti nelle scuole, cosa a noi non permessa; 3) l’impossibilità dei COBAS a svolgere libere assemblee nelle scuole ci penalizza enormemente; 4) è inaccettabile il meccanismo di valutazione della rappresentatività nazionale che impedisce di votare per un sindacato se in una scuola non ci sono candidati per le RSU; 5) i due anni di chiusure hanno penalizzato in particolare chi come noi non ha alle spalle il funzionariato dei “sindacatoni”.
Ma c’è anche un elemento di scommessa sul futuro che, pur avendo inciso in maniera non irrilevante nel risultato, invece rivendichiamo. Sta finendo un’epoca, quella dei militanti della sinistra conflittuale e antagonista che, sull’onda dei movimenti degli anni ’60 e ‘70, hanno portato nell’esperienza COBAS l’originalissima fusione tra coscienza politica e attività sindacale. La grande maggioranza di essi/e è uscita dalla scuola nell’ultimo quadriennio e quelli/e ancora in campo ne usciranno nel prossimo biennio. Abbiamo quindi deciso di dare spazio ad una nuova leva di attivisti e iscritti/e intenzionati ad impegnarsi nelle proprie scuole anche attraverso le RSU: oltre il 40% dei candidati/e erano alla loro prima esperienza in quanto tali. Sapevamo che c’era un prezzo da pagare in vari casi, perché le elezioni RSU si giocano molto sul consenso e sul prestigio consolidato dai militanti più “rodati”. Ma, visto che un’epoca si sta chiudendo e una nuova non si è ancora manifestata compiutamente, tale prezzo andava messo in conto: e siamo fiduciosi che la “ricompensa” tornerà nell’immediato futuro con la crescita di una nuova leva, che dovrà comunque muoversi in un clima molto complesso nella scuola, ma addirittura altamente drammatico nella società, in un panorama bellico universale dagli sbocchi imprevedibili, che imporranno a tutti noi forse momenti di una gravità mai vissuta in Italia e in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale.
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