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Il progetto di autonomia differenziata continua ad avanzare nell’ombra in un preoccupante silenzio, e quattro governi (Gentiloni, Conte I, Conte II e ora Draghi) di colore diverso (centrosinistra, gialloverde, giallorosso e ora dei tecnici) sono decisi a portare a compimento questo progetto. Ancora una volta – per il terzo anno consecutivo – il governo ha inserito come collegato alla legge di Bilancio un DDL per l’attuazione dell’Autonomia Differenziata, senza che sia noto il testo del disegno di legge. In aprile 2021 infatti il governo Draghi con il Documento di Economia e Finanza (DEF) ha deciso di confermare, tra i disegni di legge collegati al Bilancio, il DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art.116”, riprendendo l’iter legislativo per realizzare l’autonomia differenziata richiesta da alcune regioni a statuto ordinario, governate da Lega e dal PD: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, cui se ne stanno aggiungendo altre. Inoltre, il 26 maggio 2021 in Commissione bicamerale per il federalismo fiscale, la ministra Gelmini per gli Affari Regionali e per le Autonomie ha dichiarato la volontà del governo di arrivare all’attuazione del regionalismo differenziato ripartendo dalla legge quadro del ministro Boccia (del precedente governo) e di portare il provvedimento in Parlamento entro il prossimo mese di luglio. Ciò che preoccupa è l’intento di portare avanti trattative dirette e non trasparenti tra Stato e singole regioni, da cui l’opinione pubblica e il Parlamento sono tenuti all’oscuro. Se il DDL dovesse approdare in Parlamento collegato alla manovra di bilancio non ci sarebbero né spazi di discussione né la possibilità di emendare il testo. Infatti i parlamentari non facenti parte delle Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio che si occuperanno del DDL non potranno votare in commissione (neanche i propri emendamenti), né presentare in Aula emendamenti che non siano già stati respinti nelle Commissioni.
L’autonomia differenziata, oltre che per il merito, è inaccettabile anche per la procedura parlamentare prevista per la sua approvazione: senza possibilità da parte del Parlamento di emendare i disegni di legge del Consiglio dei Ministri per attuare le “intese” tra governo e Regioni. Non solo, una modifica degli accordi potrà avvenire solo attraverso il reciproco consenso delle parti e nessun referendum potrà intervenire nel merito degli accordi.
Nel frattempo si leggono sulla stampa esternazioni della ministra Gelmini che annuncia a breve novità, per una legge-quadro erede di quella che fu già di Boccia, e per le intese con le regioni capofila (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna). Ma tutto rimane segreto, come già ai tempi del Conte I e della ministra leghista Stefani. Non sono da dimenticare le decine di incontri “segreti” che si sono verificati tra la delegazione del governo e le singole regioni da quando, il 28 febbraio del 2018 – a soli 4 giorni dalle elezioni – il governo Gentiloni, a Camere sciolte e preposto all’esclusivo disbrigo degli affari correnti, sigla il preaccordo con le regioni Veneto, Lombardia, Emilia Romagna. Tali regioni hanno chiesto il trasferimento di potestà legislative e di risorse finanziarie. Il Veneto ha chiesto tutte le 23 materie previste dall’articolo 116 comma 3 della Costituzione; la Lombardia 20 (escluse solo l’organizzazione della giustizia di pace; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale), l’Emilia-Romagna 16 (non ha richiesto: professioni; alimentazione; porti e aeroporti civili; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale).
La bulimia di potere di alcune Regioni le ha portato ad avviare l’istruttoria per alcune materie. Uno degli aspetti che è maggiormente oggetto di discussione è l’impatto che il processo di autonomia avrebbe sul sistema nazionale di istruzione. L’autonomia regionale differenziata porterebbe non solo alla frantumazione del sistema unitario di istruzione, minando nel contempo alla radice l’uguaglianza dei diritti, il diritto all’istruzione e la libertà di insegnamento, ma subordinerebbe l’organizzazione scolastica alle scelte politiche, condizionando gli organi collegiali. Infatti, tutte le materie che riguardano la scuola, e oggi di competenza esclusiva dello Stato, passerebbero alle regioni, con il trasferimento delle risorse umane e finanziarie. Anche i percorsi PCTO, l’istruzione degli adulti e l’istruzione tecnica superiore sarebbero decisi a livello territoriale, con progetti sempre più legati alle esigenze produttive locali, così come sarebbero decisi a livello territoriale gli indicatori per la valutazione degli studenti. Lo stesso varrebbe per le procedure concorsuali che avrebbero ruolo regionale, con la conseguenza che più difficili diventerebbero i trasferimenti interregionali.
I Cobas, congiuntamente con il Comitato Nazionale per il ritiro di ogni autonomia differenziata, non solo hanno inserito il ritiro dell’AD nella piattaforma dello sciopero del sindacalismo di base dello scorso 18 ottobre ma partecipando all’importantissimo presidio a Roma del 21 dicembre, chiedono lo stralcio del DDL dalla Legge di Bilancio e un dibattito pubblico, allargato e aperto, rendendo i cittadini e le cittadine consapevoli di quanto sta avvenendo.
Lodevoli le iniziative dei comitati territoriali dell’Emilia-Romagna e della Lombardia impegnate nella raccolta firme sulle due petizioni, presentate nelle rispettive regioni, per il ritiro delle richieste di intesa con lo Stato per l’attuazione dell’AD e la presa di posizione contro l’AD del sindaco di Bologna dello scorso 5 marzo, a cui si contrappone il rafforzamento della strategia congiunta Emilia Romagna-Veneto e l’uscita del presidente Zaia che propone il bonus da devolvere al Sud al netto delle spese extra, ovvero un fondo perequativo in favore dei territori più deboli, da finanziare con il cosiddetto ultra-gettito. Un’altra attesa novità è rappresentata dal parere della Commissione di cinque tecnici istituita dalla ministra Gelmini il 25 giugno 2021 e presieduta dal costituzionalista Beniamino Caravita, recentemente scomparso, in cui si coglie il punto che ci sarebbero alcune materie devolvibili e altre no. Ad esempio il giudizio sull’istruzione è nettissimo, con la richiesta di «espungere in questa prima fase la materia dell’istruzione, il cui trasferimento porrebbe problemi politici, sindacali, finanziari, tributari quasi insormontabili, con un quasi sicuro aumento dei costi di sistema sia per le Regioni destinatarie del trasferimento, sia per lo Stato». Peraltro anche sulle altre materie la «Regione richiedente deve farsi carico della dimostrazione della convenienza di sistema al trasferimento delle funzioni e delle risorse»; si insiste sui Lep (Livelli essenziali di prestazione) senza approfondire che non potrebbero dare garanzia contro le diseguaglianze perché se lo facessero salterebbero gli equilibri di bilancio e il Parlamento sarebbe ridotto a luogo di ratifica come per le intese con i culti acattolici ex articolo 8. La ministra Carfagna, lo scorso 2 marzo, al question time, ha risposto all’on. Fassina, firmatario con l’on. Conte di un’ interrogazione a risposta immediata sul tema della legge quadro e i Lep “nessuna proposta di legge è passata al vaglio dei miei uffici e attendo che il Parlamento diventi protagonista di questa discussione e che le necessarie interlocuzioni coinvolgano anche i presidenti delle regioni meridionali che non mi risulta siano stati coinvolti fino ad oggi”.
Noi non abbassiamo la guardia e continueremo a rigettare un disegno le cui decisioni negheranno il principio di eguaglianza formale e sostanziale, in contrasto con la pari dignità dei cittadini prevista dall’articolo 3 della Costituzione, che incideranno profondamente sulla vita delle persone frammentando l’assetto istituzionale del Paese, che aumenteranno le distanze tra il Nord e il Sud, le disuguaglianze sociali, la disparità dei diritti.
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