Il valore aggiunto è un’espressione utilizzata in campo statistico-economico che indica la differenza tra il valore di un bene e quello dei mezzi impiegati per produrlo. Cosa ha a che fare il valore aggiunto con la scuola? Per rispondere a questa domanda è necessario fare qualche passo indietro.
In Inghilterra e negli Stati Uniti, intorno alla metà degli anni ’80, si sviluppa il principio dell’accountability (rendicontazione), cioè l’obbligo di render conto dei risultati della propria azione in un certo ambito. Tale principio si è ben presto diffuso un po’ ovunque nel mondo occidentale coinvolgendo anche il sistema di istruzione e di educazione.
In Italia se ne inizia a discutere a partire dal 1990 finché, nel 1999, il Centro europeo dell’educazione (CEDE) è trasformato in “Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione”. Nel 2004, l’Istituto è riordinato e ridenominato “Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi)”, con il compito di effettuare prove periodiche e sistematiche di apprendimento. Partono alcuni Progetti Pilota su campioni di scuola e con la L. 53/2003 le rilevazioni divengono obbligatorie. Durante questi anni, prende piede una cultura della valutazione che, nel quadro dell’autonomia scolastica, viene intesa soprattutto in termini di accountability.
La relazione esistente tra Invalsi, accontability e valore aggiunto è illustrata efficacemente da Cristiano Corsini (docente dell’Università Roma Tre – Dipartimento Scienze della Formazione) che ne descrive anche gli effetti. Tra questi, quello di concepire la valutazione come fine che conduce l’alunno verso una motivazione estrinseca, dannosa per un apprendimento significativo (si pensi al teaching to the test e al suo potente effetto retroattivo: alle prove “ci si prepara” e l’addestramento ai quiz sostituisce la buona didattica, arricchendo il mercato librario scolastico). Al contrario, la valutazione dovrebbe essere concepita come un mezzo che entra a far parte del processo di insegnamento-apprendimento, regolandolo. La prospettiva rendicontativa e di controllo porta anche a far ricadere tutte le responsabilità dei risultati dei test sui docenti e sulle scuole, difatti assistiamo ad un’assoluta mancanza di risposte concrete ai reali bisogni delle scuole (organico docente e ATA, stabilizzazione del personale precario, tempo pieno vero, insegnanti di sostegno, …). Non a caso, nella lettura dei Rapporti Invalsi, non si evincono negli anni miglioramenti nelle conoscenze e abilità acquisite dagli alunni.
Con la Direttiva ministeriale 74/08 si affida all’Invalsi il compito di “rilevare gli apprendimenti degli studenti nei momenti di ingresso e di uscita dei diversi livelli di scuole, così da rendere possibile la valutazione del valore aggiunto fornito da ogni scuola in termini di accrescimento dei livelli di apprendimento degli alunni”. Secondo l’Invalsi, il valore aggiunto, o l’effetto scuola, consiste nella misura in cui la scuola “sia stata capace di far sì che i propri alunni apprendessero più di quanto abbiano mediamente appreso alunni comparabili (vale a dire con le medesime caratteristiche all’ingresso) che hanno frequentato in uno stesso arco di tempo altre scuole” (INVALSI, L’effetto scuola (valore aggiunto) nelle prove Invalsi 2018).
Accountability e valore aggiunto hanno determinato che la somministrazione dei test avvenga, dal 2008, su base censuaria e non a campione. Tale scelta comporta inevitabilmente fortissime e negative criticità. Prendiamo, ad esempio, la competenza di lettura valutata dalle prove Invalsi. Nel “Quadro di riferimento delle prove Invalsi di Italiano” sono elencate le possibili operazioni cognitive richieste per verificare la comprensione della lettura. Tra queste, si legge: ricostruire il significato del testo, a livello locale o globale; fare inferenze semplici o complesse; riflettere sul contenuto o sulla forma del testo; valutare il testo sia dal punto di vista della validità e attendibilità delle informazioni, sia dal punto di vista dell’efficacia comunicativa, in rapporto al destinatario e al contesto.
Oltre a rilevare che il testing si configura come uno strumento molto limitato, parziale, o addirittura inidoneo, per valutare questi processi, si evidenzia l’inadeguatezza e la grande discutibilità, anche dal punto di vista strutturale, dei test Invalsi i quali, poiché somministrati sull’intera popolazione, per ragioni di costi di correzione, sono a risposta chiusa o a risposta aperta univoca.
A questo si deve aggiungere che il principio di rendicontazione non si coniuga affatto con l’aspetto migliorativo e formativo della valutazione. Nel D.L. 62/2017 si legge che le rilevazioni degli apprendimenti attraverso le prove nazionali “forniscono strumenti utili al progressivo miglioramento dell’efficacia della azione didattica”.
Anche qualora volessimo prendere come riferimento i risultati delle prove Invalsi al fine del miglioramento sulle acquisizioni degli alunni non sarebbe di fatto possibile a causa del principio stesso di rendicontazione, una sorta di consuntivo sul grado in cui la scuola è riuscita a conseguire i propri obiettivi. Per questo la somministrazione delle prove avviene alla fine dell’anno, quando però quel che è fatto è fatto. Al contrario, il miglioramento dell’azione didattica si realizza attraverso una valutazione intesa come educativa e formativa la quale fornisce feedback agli studenti, attiva le azioni da intraprendere e regola quelle avviate e quindi si esercita durante tutto il processo educativo-didattico e non al suo termine.
Invalsi e competenze
Comunque la si pensi in merito alla didattica per competenze, vale la pena soffermarsi su alcune incongruenze interne al tema evidenziate da diversi docenti universitari.
È noto che al termine della scuola primaria e della scuola di primo e secondo grado (esami di Stato) la certificazione delle competenze si affianca alla valutazione degli apprendimenti per effetto del D.P.R. 275/99 (decreto sull’autonomia scolastica) e che il modello di certificazione delle competenze è a sua volta accompagnato dall’indicazione del livello raggiunto nelle prove Invalsi. Ne emerge un’astrusa associazione tra valutazione delle competenze e prove Invalsi. O forse tanto astrusa non è se la facciamo rientrare in un disegno di “valutazione centralizzata”, indifferente al miglioramento effettivo degli apprendimenti. Del resto, lo stesso Invalsi afferma nei suoi documenti che le prove servono a misurare l’apprendimento di alcune competenze fondamentali. Ci si chiede allora: se in base alle Linee guida per la certificazione delle competenze del 2017 l’acquisizione di una competenza va accertata con più prove e con strumenti quali compiti di realtà, osservazioni sistematiche e autobiografie cognitive, come possono prove standardizzate e decontestualizzate valutare competenze? Crediamo che si possa affermare che, anche in questo caso, i test standardizzati costituiscono uno strumento improprio contemporaneamente inutile e dannoso e che se si pretende di valutare l’acquisizione di competenze attraverso test standardizzati si nega il costrutto stesso di competenza, comunque lo si voglia considerare.
Costi Invalsi e rilievo Corte dei Conti
Ad aggravare il senso di inutilità e dannosità dei test Invalsi, va rilevata l’insostenibilità e l’inaccettabilità dei costi, davvero enormi, per il mantenimento e funzionamento della struttura Invalsi. L’ultimo bilancio preventivo disponibile è quello relativo all’anno 2021 dove alla p. 17 si legge: […] Sulla base quindi delle previsioni di competenza e della situazione presunta dei residui, le autorizzazioni di cassa per l’anno finanziario 2021 sono stabilite in complessivi euro 30.975.837 per tanto per l’entrata quanto per la spesa.
Anche la Corte dei Conti è intervenuta in merito alla gestione dell’Invalsi. Con la determinazione n. 59 del 15 giugno 2021 la Corte rileva: una situazione di “conflitto di interessi strutturale” […] legata alla posizione ricoperta e alle funzioni attribuite e ai correlati interessi professionali coinvolti; l’emergere di un percorso volto a privilegiare il ricorso, nella misura massima consentita, a strumenti […] che derogano alle ordinarie regole concorsuali di accesso al pubblico impiego o di progressione tra le aree professionali; una non piena attuazione della disciplina […] in tema di divieto di conferimento a titolo non gratuito a soggetti in quiescenza (in pensione) o la successiva gratuità dello stesso; […] Da un’analisi degli incarichi conferiti per la costruzione delle prove di apprendimento nel triennio 2018-2020, è emersa la corresponsione di più di un milione di euro a 91 esperti risultati in quiescenza; […] Particolarmente rilevante, oltre che costante negli anni, appare il ricorso ad un significativo numero di incarichi esterni per la costruzione delle prove di apprendimento di italiano, matematica ed inglese […] con compensi variabili tra euro 1.500 ed euro 15.500 per ciascun esperto.
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