Terra di razzie

Il groviglio lucano a base di sistemi idrici, estrazione d'idrocarburi e discariche nucleari

photo credits: Sergei F on Flickr

Il 5 gennaio scorso la Sogin Spa ha reso pubblica, dopo un’attesa di oltre 5 anni ed in regime di procedura di infrazione dell’Italia, la CNAPI, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee ad ospitare nel territorio italiano il Deposito Nazionale di Scorie radioattive a bassa e media attività e, “a titolo provvisorio di lunga durata”, dei rifiuti ad alta attività.

Sono ben 67 le aree candidabili, distribuite in sette Regioni, tra le quali se ne dovrà individuare una come luogo idoneo ad ospitare un’opera così ingombrante e strategica dal punto di vista sia fisico che geopolitico. La Basilicata partecipa a questa lotteria con ben 16 aree, delle quali, come evidenziato nella cartina, cinque si trovano nei territori comunali di Oppido Lucano, Acerenza, Genzano di Lucania, Montescaglioso e Bernalda; territori che sono già interessati da due diverse istanze di ricerca petrolifera, giunte ormai in fase decisoria. Altre 6 aree sono posizionate in zona sismica 2, ossia a rischio medio-basso di eventi tellurici. Le ultime 5 sono state individuate a nord di Matera, ai confini e talvolta in compartecipazione con la Puglia, proprio tra l’Alta Murgia e la Murgia Materana. Queste, secondo la CNAPI, sono considerate aree “buone”, in quanto prive di quelle caratteristiche geografiche, geomorfologiche e naturalistiche che ne determinerebbero l’esclusione in base ai 15 criteri individuati dalla Guida Tecnica 29 dell’ISPRA.

Torniamo però un momento a quelle Istanze di Permesso che insistono, apparentemente quiescenti ed innocue, sull’Alto Bradano e nel Metapontino. Trattandosi di Istanze in fase decisoria, aspettano lì, buone buone, il momento in cui scadrà il tempo della moratoria temporanea concessa dalla L. n. 12/2019 (che nonostante la recente ulteriore proroga di un anno scadrà a metà agosto 2021) per l’adozione del PiTESAI (Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee) che avrebbe dovuto individuare entro lo scorso 12 febbraio le aree idonee o meno allo sfruttamento delle risorse fossili (petrolio e gas).

I paladini della Basilicata

Fin dal giorno della pubblicazione della CNAPI, a tutela delle risorse naturali lucane (acqua, suolo, infrastrutture, e naturalmente petrolio) si sono mossi il presidente della regione Basilicata, Bardi, ed il suo assessore Rosa, che con sorprendente rapidità hanno organizzato tavoli di esperti coinvolgendo Università, associazioni professionali e Dipartimenti Regionali, evidenziando mediaticamente di coordinarsi con la massima assise della Regione Puglia, allo scopo di produrre entro i 60 giorni previsti dalle norme le necessarie osservazioni per scongiurare che il Deposito Nazionale possa trovare allocazione in Basilicata. Detto fatto. Il 4 marzo la Regione fa sapere di aver inviato a Sogin il “Dots” (acronimo che fa più fico, stando per Documento unico delle osservazioni tecnico scientifiche), per evidenziare che amministrazioni locali e associazioni parlano con una sola voce, infischiandosene della stessa proroga a 180 giorni per poter produrre osservazioni.

Bardi e Rosa si ergono a paladini della Basilicata “proprio guardando alle opere strategiche, alle grandi dighe, e alle reti irrigue e idropotabili a servizio di Basilicata e Puglia, come pure ai giacimenti di petrolio e gas …” e su questo piano di difesa preventiva si schierano unanimi partiti e segretari delle maggiori organizzazioni sindacali. Purtroppo, però, non si tratta di un tardivo ma generoso ergersi a difesa di questa martoriata Regione e dei suoi abitanti. Il motivo di tutto questo solerte attivismo altro non è che un pervicace attaccamento all’irresistibile richiamo delle sirene di sempre più miserabili royalties ed alla sindrome dell’attesa di miracolistici investimenti moltiplicatori di imprese ed occupazione.

I “nostri” supremi rappresentanti regionali, allarmati oltre misura, scandiscono forte e chiaro che “in Basilicata sono presenti opere strategiche, frutto di ingenti investimenti statali, che sono assolutamente incompatibili con la presenza di un deposito di rifiuti radioattivi”.

Si tratterebbe delle cosiddette “strutture strategiche di relazione”, reti ed infrastrutture per viabilità, ferrovie, sistema idrico, reti di energia elettrica, industrie a rischio di incidenti rilevanti, dighe e risorse del sottosuolo, aeroporti e poligoni di tiro militari attivi, che fanno a cazzotti con i criteri della Cnapi.

Il presidente Bardi si dice meravigliato e sorpreso che “lo stesso Stato che ha finanziato queste opere, ritenendole strategiche, non può sostenere che nella nostra regione, che contribuisce al 10 per cento delle risorse petrolifere nazionali ed è uno dei principali serbatoi idrici del Sud, si possa ubicare un deposito di rifiuti radioattivi, che è assolutamente incompatibile con la nostra realtà”.

Il gruppo di lavoro istituzionale per le osservazioni coordinato da Nicola Grippa (funzionario regionale famoso per aver dato ad inizi 2015 un’interpretazione pericolosa, nell’ambito dello “Sblocca Italia”, della titolarità decisionale dell’iter autorizzativo di istanze di permessi nel Marmo Platano da sottrarre alla responsabilità della Regione), è stato scrupoloso nel rilevare che “per quanto riguarda la presenza dei giacimenti di petrolio e gas”, sussiste “l’interferenza con i siti indicati con i codici MT15 ed MT16, nell’area di Bernalda, che sono fuori dalle concessioni esistenti, ma in itinere c’è un permesso di ricerca, come peraltro rileva la stessa Sogin nel suo documento. Come pure i siti indicati con i codici PZ 9, PZ10, PZ12 e PZ13, nell’area di Genzano, dove ci sono permessi di ricerca in itinere”.

Idem per quanto riguarda il sistema idrico, “che in Basilicata tocca tutte le aree indicate dalla Sogin come potenzialmente idonee. Sovrapponendo queste aree con i distretti irrigui e con lo schema dell’adduttore regionale del Sinni è risultato che le zone identificate con i codici PZ9, PZ12 e PZ13 sono interamente comprese nel distretto irriguo “G”, quella identificata con il codice PZ10 ricade in parte nel distretto “G” ed in parte nel distretto “T”, mentre le aree indicate con i codici PZ6, PZ8 e PZ14 ricadono totalmente nel distretto “B” dello schema idrico Basento – Bradano, che è già stato completato e attrezzato. Inoltre, le aree indicate con i codici MT1, MT2 ed MT16, nelle aree di Montalbano Jonico e Bernalda, sono attraversate dalla condotta del Sinni che porta l’acqua in Puglia”, concludendo che “la presenza di simili infrastrutture dovrebbe rientrare fra i motivi di esclusione”.

 

Le responsabilità politiche

Da semplici cittadine/i lucane/i ci chiediamo che fine abbia fatto la memoria storica e la dignità etica della compagine politica che oggi governa la Basilicata.

Dov’era il berlusconiano Bardi, quando il suo diretto comandante in capo di Forza Italia, forte di ministri leghisti e dell’appoggio della destra italiana si faceva impavido interprete delle spinte lobbystiche per il rilancio dell’avventura nucleare nel nostro Paese ad inizio anni 2000, proclamando l’emergenza nucleare e nominando alla presidenza di Sogin, per gestirla, un commissario straordinario, il generale Carlo Jean, per imporre, nel 2003, il Deposito Nazionale unico a Scanzano Jonico?

Chi ha voluto ed imposto per decreto, con la cinica ed astuta complicità di un generale, sfruttando l’onda emotiva del massacro di Nassiriya, il deposito nella Scanzano dell’allora sindaco di estrema destra Mario Altieri?

Sono i miracoli del petrolio, oggi levato in alto a “scudo” difensivo contro lo spauracchio che si voleva far ingoiare ai lucani come i ladri di notte, che fa dimenticare che nell’ITREC di Rotondella ci sono migliaia di litri di materiale liquido radioattivo da inertizzare e 64 barre (solo 20 riprocessate) di combustibile irraggiato del ciclo Uranio/Torio provenienti dalla centrale di Elk River, “misteriosamente” importate dagli Usa grazie all’allora plenipotenziario Colombo, che giacciono da inizi anni ’60 nelle piscine di acqua dell’ITREC in attesa di sistemazione sicura e definitiva?

E che dire del fatto che lo stesso Comune di Rotondella (con Canna, Colobraro, Montalbano Jonico, Montegiordano, Nocara, Nova Siri, Oriolo, Rocca Imperiale,San Giorgio Lucano, Sant’Arcangelo, Senise, Tursi, Valsinni) fa parte dell’istanza di permesso “Tempa La Petrosa” di Total, che si estende per 412,1 km2 tra Calabria e Basilicata?

Mai tanta solerzia preventiva fu usata per attivare le molteplici ed urgenti bonifiche di cui la terra dei SIN (Siti di Interesse Nazionale) di Valbasento e Tito ha urgente bisogno!

Mai un cenno per curiosare cosa ne è dei quasi 500 buchi in terra perforati da un secolo a questa parte, a cominciare da quelli esausti ed abbandonati, di cui la Commissione Parlamentare del Ciclo Rifiuti ci dice che vengono usati da decenni da Camorra e N’drangheta per sversare veleni di ogni risma!

Mai pubblica e doverosa attenzione è stata rivolta per appurare e bonificare il lascito perenne e letale di sonde nucleari (le cosiddette “lance”) abbandonate nel corso delle perforazioni (Tempa Rossa, Serra S. Bernardo di Brindisi Montagna, su cui è stata scritta un’inquietante “spy story”).

 

Attività a rischio per la salute

Tra attività estrattive e nucleare è difficile tracciare una netta linea di demarcazione, non solo per la presenza di radionuclidi rilevata dai NOE nei reflui provenienti dal Cova di Viggiano e smaltiti presso gli impianti di Tecnoparco a Pisticci Scalo, ma perché l’intera filiera prevede l’utilizzo di materiali radioattivi, dallo “scalpello” ad uranio impoverito alla “normale” presenza di nuclei atomici instabili (nuclidi alfa, beta, gamma) nelle acque di produzione petrolifera. Nelle rocce dei giacimenti si rilevano elementi che rilasciano radiazioni, quali Uranio, Torio e rispettivi radioisotopi, che come il radio-226 e il radio-228 derivano dal decadimento dell’Uranio e del Torio e che se ingeriti possono essere cancerogeni. Non a caso anche sul tema dello smaltimento delle acque di scarto reiniettate nel pozzo esausto di Costa Molina 2 e trasportate a Tecnoparco in Val Basento si sono aperti da 10 anni a questa parte indagini dell’Antimafia e sono in corso di svolgimento, presso il Tribunale di Potenza, i cosiddetti processi “Petrolgate”.

Ligi al compito, i “nostri” supremi amministratori regionali vigilano con circospetta ed acuta attenzione per guadagnarsi ogni giorno il ruolo di cani da guardia della più grande piattaforma petrolifera in terraferma di Europa, per salvaguardare, in barba allo sbandierato “green new deal”, una regione sacrificata, nella divisione nazionale del lavoro, ad hub energetico gestito da faccendieri e multinazionali. Sempre pronti a fare accordi con i prossimi deturpatori e depredatori del fossile (che dovrebbe restare proprio lì dove sta, nelle profondità della terra), incuranti della salubrità di acqua e suolo, che solo nell’attuale frangente dell’approvazione della CNAPI si sentono tenuti a difendere, in attesa che passi la nottata e continuare come prima.

E chissà se, nonostante la proroga la mancata adozione del PiTESAI, non possa far gola a qualcuno, giusto per moltiplicare ancora i pani ed i pesci?