photo credits: Davide Papalini via Wikimedia Commons
Sentiamo spesso ripetere che il bilancio dell’INPS è in rosso profondo, sull’orlo di un precipizio. La colpa è della speranza di vita che è aumentata, ci raccontano, ma anche del fatto che si va in pensione troppo presto e che con i contributi pagati dai lavoratori si paga anche l’assistenza degli invalidi che in altri Paesi è a carico della fiscalità generale.
Dati alla mano, cercheremo di smentire le vere e proprie falsità sul deficit di bilancio dell’INPS e di documentare una trentennale razzia particolarmente odiosa ad opera di una sessantina di governi, di una trentina di Parlamenti, dei magistrati addetti al controllo, dei sindacalisti di comodo che stanno nel Comitato di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS, a danno delle pensioni dei lavoratori.
Il cuore del sistema previdenziale
Il Fondo Pensioni dei Lavoratori Dipendenti (FPLD) costituisce l’origine e l’essenza della previdenza obbligatoria. Qui confluiscono i contributi dei lavoratori dipendenti e da qui si prelevano le somme dei vari tipi di assegni pensionistici: vecchiaia, invalidità, superstiti.
Il FPLD continua ad essere di gran lunga la parte più importante del sistema pensionistico dell’INPS. Ma negli anni ’90 del secolo scorso, a seguito delle privatizzazioni delle grandi imprese statali, il FPLD originale è stato “inquinato” da altri fondi pensionistici riguardanti settori di lavoro o categorie che disponevano di enti o casse pensionistiche specifiche al di fuori dell’INPS. Tra i diversi regimi confluiti nel FPLD, in questa indagine, consideriamo i tre indicati nella Tab. 1, in virtù della loro esemplarità.
La Tab. 1 documenta due diversi fenomeni. Il primo è che indubbiamente i fondi confluiti racimolano solo una minima parte dei pensionati (il 3,7%) mentre il FPLD in senso stretto (così l’INPS indica il FPLD considerato al netto dei Fondi Speciali) raccoglie la stragrande maggioranza degli assistiti (il 96,3%), restando quindi l’architrave del sistema previdenziale.
Il secondo è lo squilibrio enorme che c’è tra l’importo medio delle pensioni delle categorie confluite nel FPLD negli anni ’90 rispetto alla pochezza della quasi totalità dei pensionati che percepisce in media 14 mila euro l’anno: addirittura l’importo medio dei Dirigenti d’azienda (52 mila euro l’anno) è più di 3 volte e mezzo.
È evidente che questo sistema di ripartizione delle pensioni, il cui fine dovrebbe anche essere di redistribuire la ricchezza, accentua la stessa forbice salariale.
Togliere ai poveri per dare ai ricchi
I fondi pensionistici di categoria confluiti nel FPLD negli anni ’90, per legge, hanno mantenuto una contabilità separata che ci consente, spulciando le 4.000 pagine dei Rendiconti Generali annuali dell’INPS relativo all’esercizio 2019 (quello più recente a disposizione), di individuare i seguenti inquietanti fenomeni che emergono dai dati della Tab. 2
I contributi versati dai lavoratori dipendenti del FPLD in senso stretto ammontano a 123 miliardi, mentre l’importo complessivo delle pensioni per lo stesso anno è di 111 miliardi. Quindi non c’è né un bilancio in rosso né l’indizio di un baratro. C’è, invece, un saldo attivo di 12 miliardi. Questo andamento va nella stessa direzione da decine di anni, i lavoratori dipendenti versano al FPLD in senso stretto un ammontare in contributi molto più elevato di quanto percepiscono con le pensioni.
I lavoratori dell’ex Fondo elettrici con le loro contribuzioni (versano la stessa aliquota degli altri lavoratori: il 33% del salario lordo[1]) hanno cumulato nel 2019 solo 439 milioni. Ma l’importo complessivo delle pensioni erogate ai lavoratori di questa categoria, è quattro volte superiore, ossia 2 miliardi 646 milioni con un saldo negativo di – 2,2 miliardi. È importante ricordare che uno degli effetti delle privatizzazioni delle imprese statali è stato esplicitamente il taglio del numero dei dipendenti, di circa il 50%. Ciò si è ottenuto ricorrendo a migliaia di prepensionamenti ed esternalizzazione di molti lavori o interi settori aziendali ad imprese i cui dipendenti percepiscono salari molto più bassi e hanno spesso contratti intermittenti.
Analogo fenomeno è quello che si manifesta per le pensioni dei lavoratori telefonici mitigato però sia dal numero inferiore di lavoratori interessati che dall’entità pensioni leggermente più basse. Va ribadito anche in questo caso che l’aliquota pensionistica è uguale a quella degli altri lavoratori, del 33%. Il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni è negativo per 1 miliardo e 373 milioni.
Ma la situazione più perniciosa è quella dei Dirigenti d’Azienda Private. In questo fondo speciale i pensionati sono, sempre nel 2019, 130 mila. Dai lavoratori attivi si raccolgono complessivamente 1 miliardo e 452 milioni ma l’erogazione delle pensioni raggiunge i 5 miliardi e 666 milioni, con un saldo negativo di 4 miliardi e 68 milioni. Un disavanzo tanto elevato è dovuto più che numero dei pensionati (130 mila) alla elevatissima entità delle pensioni che in media sono nel 2019 di ben 52 mila euro(Tab. 1). La copertura delle contribuzioni è pari al 25% dell’ammontare delle pensioni erogate!
Ma non è tutto, perché diversamente dagli altri Fondi Speciali il numero dei pensionati continua regolarmente a crescere e diversamente dalle altre pensioni aumenta visibilmente l’importo delle pensioni a causa della base più elevata di calcolo per le perequazioni annue.
Privilegi manageriali
Di questo fondo pensione parlaremo più a lungo perché è esemplare delle ingiustizie che vari poteri (politici, sindacali, istituzionali, INPS) hanno saputo coltivare e far crescere nel tempo. Va comunque sottolineato che il caso INPDAI Dirigenti di Azienda, diversamente dai casi ENEL, Telefonici, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Trasporti Pubblici, non è dovuto a privatizzazioni, liberalizzazioni, cessioni di aziende. Si tratta, invece, dell’accompagnamento e dell’assistenza di cui hanno goduto le aziende nelle trasformazione neo liberiste. Sicuramente le figure mediatrici dei dirigenti aziendali sono diminuite, in gran parte sostituite da funzioni manageriali, ma abbiamo il legittimo dubbio che una parte dei nuovi pensionati del fondo sia proprio costituito da manager che poco o nulla hanno a che fare con il lavoro dipendente e molto più hanno a che fare con la proprietà e l’azionariato. È probabile che almeno in parte questi “Dirigenti” manager abbiano avuto pagato una parte di dei loro introiti con stock option, benefit, interessi e cedole, tutte provvidenze legate alla proprietà e alla finanza, da cui le casse dell’INPS non hanno ricavato nulla.
Ma un fatto emblematico di come i poteri politici abbiano accarezzato e privilegiato la categoria dei dirigenti è la L. n. 35/1995, il cui artefice è stato il tecnico Dini. La legge, che precedendo la Fornero nel processo di finanziarizzazione del sistema pensionistico, ha introdotto il calcolo contributivo degli importi pensionistici al posto del calcolo retributivo, con conseguente riduzione degli assegni pensionistici.
Altro significativo provvedimento in questa stessa legge è la vergognosa introduzione del massimale contributivo, cioè un tetto ai contributi pensionistici pagati da chi percepisce retribuzioni (forse prebende) alte. Il valore del massimale contributivo dal 1995 subisce un aumento annuo legato all’inflazione. Nel 2019 tale massimale è stato fissato a 103 mila euro annui. In soldoni, chi nel 2019 ha preso più di 103 mila euro ha pagato contributi pensionistici solo fino all’importo del massimale, per la quota eccedente l’INPS non ha incassato neanche un centesimo. Non devono essere pochi i pensionati ex dirigenti o manager che hanno superato l’importo del massimale visto che oltre 30 mila di loro hanno pensioni che superano i 3.000 euro mensili e alcune centinaia superano i 7.000 euro di pensione. L’INPS avverte che nella tabella di lor signori pensionati la classe dei 7.000 euro non è l’ultima perché “l’estremo superiore della classe” è escluso dalla tabella. Sarà frutto di pudore od omertà questo silenzio?
L’esito del tetto contributivo introdotto dalla “riforma” Dini è in netto contrasto con il carattere redistributivo, solidaristico e mutualistico che il regime previdenziale dovrebbe avere, secondo il dettato e lo spirito della Costituzione e della legge del 1969 che istituì il sistema pensionistico attuale.
Il rosso e il nero
L’ultima colonna della Tab. 2 documenta qual è per i fondi presi in considerazione lo stato patrimoniale. Il patrimonio dei fondi è costituito dall’avanzo o disavanzo accumulato negli anni rispetto al saldo tra entrate (contributi pagati dai lavoratori) e uscite (pensioni erogate). Come si evince dalla Tab. 2 il risultato di esercizio nel 2019 per i tre fondi speciali considerati è negativo per quasi 7.800 milioni. A fine 2019 lo stato Patrimoniale complessivo dell’INPS ha raggiunto il risultato negativo di ben 111 miliardi e 565 milioni! Questo è il dato che spesso viene evocato e citato dai giornalisti compiacenti, economisti a libro paga, politici ,di governo o della cosiddetta opposizione, insipienti o in malafede che vogliono creare il clima giusto per le controriforme a cui i governi impuniti ci hanno fatto assistere negli ultimi 30 anni.
Non c’è dubbio che nelle serie storiche delle situazioni patrimoniali il FPLD in senso stretto sia solidamente positivo, soltanto le letture parziali ed estemporanee dei bilanci INPS possono far credere che ci sia una situazione patrimoniale di debito catastrofico. Il deficit è dovuto soltanto alle istituzioni, soprattutto quelle governative, che, come abbiamo visto, hanno usato l’INPS come bancomat per la privatizzazione delle imprese pubbliche, la politica dei bassi salari, la precarizzazione e la disoccupazione.
[1] L’aliquota pensionistica del 33% è da anni la stessa calcolata sul salario lordo della generalità dei lavoratori dipendenti. Non è stato così per i settori del lavoro autonomo, Artigiani, professionisti, partite IVA le cui aliquote pensionistiche restano ancora inferiori al 33%. Alcune deroghe con aliquote più basse esistono anche per i lavoratori dipendenti: apprendisti, lavoratori fragili, settori economici,ecc. In tutti i casi sono stati sempre un numero contenuto.
Commenti recenti