Affonda il fondo

Fondi pensione: calano i rendimenti nel primo semestre 2018

photo credits: Mikael Kristenson

La COVIP (l’organo di vigilanza sui fondi pensione) ha da poco pubblicato l’aggiornamento al giugno 2018 di alcuni dati relativi all’andamento dei fondi pensione. Come al solito, sono molto istruttivi e, crediamo, confermino il carattere fraudolento di questi fondi per coloro che vi aderiscono. Ma vediamo i dettagli dei fondi pensione che ci interessano, quelli negoziali, riservati cioè ai lavoratori dipendenti e gestiti dai sindacati di comodo.

I rendimenti

Nel primo semestre del 2018, il rialzo dei rendimenti delle obbligazioni in Europa e negli Stati Uniti e l’allargamento dei differenziali dei rendimenti dei titoli di Stato nell’area dell’Euro hanno ridotto i corsi dei titoli obbligazionari detenuti nei portafogli dei fondi pensione italiani, causando perdite in conto capitale. Anche sui listini azionari i prezzi hanno avuto un andamento non positivo, con un aumento della volatilità. Le tendenze osservate si sono riflesse sui risultati ottenuti dalle forme pensionistiche complementari.” Tutto questo per spiegare una perdita dei rendimenti aggregati, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, pari allo 0,6%. Visto che succede con i fondi pensione investiti in azioni e obbligazioni? Si può anche perdere lo 0,1% al mese. Chi non ha aderito ai fondi pensione resta al riparo da simili rovesci, e a visto rivalutare il suo TFR al 75% del tasso di inflazione + l’1,50%.

Le adesioni

I fondi negoziali riservati ai lavoratori dipendenti hanno registrato una crescita degli iscritti pari al 4,5% , portando il totale a fine giugno a 2.728.124 milioni. La maggior parte della crescita “ha interessato i fondi pensione con attivi meccanismi di adesione contrattuale“. Così esprime soddisfazione la Covip per l’incremento delle adesioni ai fondi pensioni di categoria “con attivi meccanismi di adesione contrattuale”, che tradotto in italiano corrente vuol dire iscrizione obbligatoria ai fondi pensioni previsto nel CCNL di categoria. Come ci ricorda Beppe Scienza “Per quanto si sgolino, i sindacalisti-assicuratori non convincono più; per loro fortuna funzionano le cattive maniere, ovvero le iscrizioni coatte nei fondi chiusi“. A questo c’è da aggiungere che “i giovani rimangono ai margini del sistema di previdenza complementare” anche perché pochissimi hanno la fortuna di godere di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E, quindi, per i gestori dei fondi si prevedono cali di profitti, a meno che non si inventino qualche altro strumento per costringere i lavoratori ad aderirvi. Infatti, l‘andamento degli iscritti ai fondi negoziali è caratterizzato da una forte crescita all’inizio per poi calare nel tempo, quando maturano le pensioni da liquidare. La forte disoccupazione, la diffusione dei contratti a termine e l’invecchiamento degli aderenti ai fondi, con il passare degli anni, portano a una diminuzione dei soldi che dovrebbero garantire gli esborsi futuri. Così è successo per i fondi integrativi delle banche, tra i primi avviati in Italia.

Le risorse

Le risorse dei fondi negoziali ammontano a 50,3 miliardi di euro, in crescita dell’1,8%  rispetto a fine 2017. Il dato in effetti non è rassicurante per i gestori dei fondi: un aumento dell’1,8% a fronte di una crescita degli iscritti del 4, 2% è un problema non da poco. Vuol dire che si versano sempre meno soldi nei fondi. Infatti, “il 23,5% degli iscritti alla previdenza nel 2017 non ha effettuato contribuzioni” forse perché quasi un quarto degli intrappolati nei fondi pensione ha mangiato la foglia: scappare non può, ma si guarda bene dal metterci altro denaro.

Le prestazioni erogate

Nel 2017 “le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 2,6 miliardi e in rendita per circa 700 milioni di euro”. La traduzione è: solo il 21 % delle somme erogate agli iscritti ai fondi sono state date come integrazione alla pensione INPS; i 4/5 sono stati incassati immediatamente, che non si sa mai che cosa può accadere.

Vita grama dei fondi pensione

I fondi pensione sopravvivono a stento, grazie ai soldi pubblici spesi per la loro costituzione; per il versamento supplemetare delle imprese, dello Stato e degli enti pubblici per i loro dipendenti e per le facilitazioni fiscali. Ben poco o nulla aggiungerebbero, alla pensione contributiva da fame, i soli versamenti dei lavoratori, dopo il pagamento delle tasse seppure agevolate e della conversione in pensione che si mangia una bella fetta del capitale finale.

Gli stomaci da riempire al pasto del risparmio forzato dei lavoratori sono troppi:

– Il carrozzone con le sue spese (stipendi, affitti ecc);

– lo Stato con le imposte;

– le assicurazioni con la conversione in pensione;

– i gestori con premi di risultato e commissioni.

Tant’è che la linea garantita non riesce ad assicuarre un rendimento minimo del 2% sul capitale.

Quanto dovremo aspettare perché chi ha aderito possa spezzare la catena che lo costringe a starci dentro?