Percorso a ostacoli

Referendum contro la “buona scuola”: una strada incerta e tortuosa, ma necessaria

Aspetti politici.

Sull’uso del referendum vi sono diffuse riserve perché, esclusi quelli sull’acqua, che significativamente sono stati accompagnati da una forte e costanza mobilitazione in tutte le sue fasi, e quello sul nucleare, che ha sfruttato l’onda lunga del disastro della centrale giapponese, i referendum degli ultimi 20 anni si sono arenati sul duplice scoglio del giudizio di ammissibilità costituzionale della Corte e del quorum di validità. Anche i risultati di quelli vincenti sull’acqua sono stati ampiamente violati nella prassi delle SpA che gestiscono il servizio continuando ad imporre tariffe con i margini di profitto. Non è stato così, però, per il nucleare, che almeno per il momento è uscito dallo scenario delle opzioni politiche.

Non occorre diffondersi sul carattere sussidiario del referendum rispetto alle mobilitazioni contro la L. 107/2015, che per noi Cobas costituiscono il fondamento dell’opposizione alla Buona scuola.

Dall’altro lato i referendum sulla Legge 107 nella migliore delle ipotesi si terranno nella primavera del 2017, per cui si può sperare in una partecipazione al voto superiore al 50 % degli aventi diritto e in una vittoria dei Sì solo se la resistenza interna alle scuole e, soprattutto, la mobilitazione esterna terranno viva l’attenzione dell’opinione pubblica e del dibattito politico sui temi della scuola.

È altresì indispensabile coinvolgere un ampio arco di associazioni, organizzazioni sia interne che esterne alla scuola, per cui è opportuno allargare la campagna referendaria ad altre controriforme del governo Renzi, del medesimo stampo neoliberista: Jobs Act e decreto Sblocca Italia.

Infine, i comitati promotori dei referendum debbono ricalcare l’esperienza positiva dei Comitati per l’acqua pubblica: largo coinvolgimento di associazioni e organizzazioni; assenza di forme esplicite o implicite di egemonia; metodo del largo consenso nel decidere; stretto collegamento tra campagna referendaria e mobilitazioni.

 

I criteri di ammissibilità della Corte

La Corte Costituzionale ha stabilito 5 criteri di ammissibilità del referendum e sulla base di questi occorre muoversi nell’individuazione dei quesiti da proporre. È impossibile abrogare tutta la L. 107/15 con un solo quesito referendario perché violerebbe i criteri di chiarezza, univocità e omogeneità, ma anche il criterio che esclude referendum su leggi tributarie o anche che producono “effetti collegati” alle materie esplicitamente vietate: molto probabilmente sarebbe il caso delle parti della L. 107/15 relative al limite massimo di 36 mesi per i contratti di lavoro a tempo determinato per docenti e ATA, ai crediti di imposta per le erogazioni liberali alle scuole e alle detrazione di imposta per le spese di frequenza. Inoltre, sarebbe assurdo abrogare anche il cosiddetto piano straordinario di assunzioni. E, quindi, necessario ipotizzare diversi quesiti, selezionando le questioni politicamente più rilevanti in modo che, considerate unitariamente, diano un chiaro segnale politico di opposizione allo spirito della Buona scuola. Ma, la campagna referendaria deve riguardare anche i quesiti sul Jobs Act e sulle questioni ambientali, per cui il numero dei quesiti complessivi non deve essere eccessivo per evitare effetti respingenti e per i problemi concreti della raccolta delle firme. Si tratta di esigenze in parte contrapposte per cui ci sembra un buon punto di equilibrio limitare a tre i quesiti sulla scuola.

 

I quesiti referendari

I primi due quesiti riguardano i due aspetti più significativi dei super poteri del preside–manager alla Marchionne: la chiamata nominativa del DS per incarichi triennali anche non rinnovabili e il premio di merito, al fine di togliere al DS il potere subordinare i docenti attraverso la distribuzione di prebende, limitando di fatto la libertà di insegnamento, il pluralismo delle idee e lo stesso carattere democratico degli organi collegiali

Con il primo quesito si propone di abrogare integralmente:

– il comma 18: “il dirigente scolastico individua i docenti da assegnare all’organico dell’autonomia con le modalità di cui ai comma da 79 a 83”;

– il comma 79 che prevede la proposta di incarico del DS ai docenti collocati negli albi territoriali, la possibilità di presentare candidature e di utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati;

– il comma 80 che prevede la proposta di incarico di durata triennale;

– il comma 81 che prevede la foglia di fico dell’assenza di cause di incompatibilità derivanti da rapporti familiari, che non si può lasciare in vigore per non rendere contraddittoria la norma di risulta.

Il comma 82, invece, va abrogato solo parzialmente nella parte che prevede l’assegnazione dell’incarico da parte del DS, l’accettazione del docente e le modalità residuali per chi non riceve proposte, in modo da lasciare in vigore solo: “l’USR provvede al conferimento degli incarichi ai docenti”. Si tratta di una fattispecie già presente nella legge vigente che verrebbe solo ampliata. Per coerenza vanno abrogati nel comma 109 i riferimenti ai commi che si propone di abrogare integralmente.

Il secondo quesito riguarda il premio di merito e il Comitato di valutazione con la proposta di abrogare integralmente:

– il comma 126, che prevede lo stanziamento di 200 milioni di euro annui a partire dal 2016 per la “valorizzazione del merito del personale docente”; non abrogare lo stanziamento renderebbe contraddittoria la legge di risulta perché non sarebbe normato l’utilizzo di tali fondi;

– il comma 127 che affida in modo esclusivo al DS il potere di decidere a chi assegnare il premio e la relativa quantificazione in base alla sua personale valutazione del merito;

– il comma 128 che limita ai docenti di ruolo la destinazione del bonus e ne sancisce la natura di retribuzione accessoria.

Per quanto riguarda il comma 129 sul Comitato di valutazione è opportuno evitare l’abrogazione integrale perché negli ultimi tempi la Corte si è espressa in modo più costante a favore della tesi del vuoto legislativo creato dall’abrogazione referendaria limitando solo a casi eccezionali la tesi della reviviscenza: in pratica abrogando integralmente il comma 127, che sostituisce l’art. 11 del TU, quest’ultimo non ritornerebbe in vigore, ma si creerebbe un vuoto legislativo che renderebbe non omogenea la norma di risulta, con conseguente inammissibilità del quesito. Quindi, per quel che riguarda la composizione del Comitato di valutazione, va abrogata la presenza dei rappresentanti dei genitori e, alle superiori, degli studenti, nonché dell’esperto esterno. Per quanto riguarda le competenze va abrogato il potere di individuare i criteri per l’assegnazione del bonus. La norma risultante prevederebbe un Comitato di valutazione di durata triennale, formato da tre docenti, di cui due individuati dal Collegio e uno dal Consiglio d’istituto, presieduto dal DS e integrato di volta in volta dal tutor del docente in prova. Le competenze residue del Comitato sarebbero quelle di esprimere il parere sul periodo di formazione e prova per i neo assunti, di valutazione del servizio in caso di richiesta del docente interessato e del giudizio di condotta meritevole del docente sanzionato che chiede la riabilitazione (competenze già previste dal TU).
Per il rispetto dell’omogeneità della norma di risulta va abrogato integralmente il comma 130, che assegna agli USR il compito di elaborare al termine del triennio una relazione sui criteri adottati dalle scuole per il riconoscimento del merito, sulla cui base un apposito Comitato tecnico scientifico deve predisporre le linee guida a livello nazionale.

Avevamo ipotizzato altri quesiti sui super poteri del DS come, per esempio, l’abrogazione del potere di valutare in modo esclusivo l’esito dell’anno di prova, ma non sarebbe ammissibile perché con l’abrogazione del comma 117 non tornerebbe in vigore la normativa precedente che assegnava al provveditore agli studi il potere di emanare o meno il decreto di conferma in ruolo, tenuto conto del parere del Comitato di valutazione. Presenta dubbi di ammissibilità anche un quesito relativo all’abrogazione del potere del DS di vincolare il Collegio nell’elaborazione del PTOF con il suo atto di indirizzo: infatti, in caso di abrogazione, non sarebbe assegnato a nessun organo il potere di deliberare l’atto di indirizzo perché non tornerebbe in vigore la norma che assegnava al Consiglio d’istituto tale potere. Si potrebbe sostenere che un atto di indirizzo non è indispensabile, ma è rischioso.

Non vi dovrebbero essere problemi di ammissibilità per l’abrogazione integrale del comma 83 sulla facoltà del DS “di individuare fino al 10 % di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico” e del comma 85 che prevede la possibilità del DS di coprire le supplenze fino a 10 giorni con personale dell’organico dell’autonomia, impiegando anche docenti di diverso ordine. Ma, pur essendo convinti dell’importanza di questi due quesiti, riteniamo sia necessario rinunciarvi per dare spazio ai quesiti sui temi extra scuola.

Il terzo quesito riguarda l’alternanza scuola-lavoro, con riferimento esclusivo all’obbligo di almeno 400 ore nel triennio per gli studenti dei Tecnici e Professionali e di almeno 200 ore per quelli dei Licei previsto dal comma 33, di cui resterebbe in vigore solo la frase finale: “i percorsi di alternanza sono inseriti nei PTOF.”

Potrebbero rimanere in vigore gli altri comma sull’alternanza scuola lavoro perché integrativi del preesistente D. Lgs n. 77/2005 (riforma Moratti) e, quindi, non vi sarebbe contraddizione. Un’ipotesi potrebbe essere quella di abrogare anche tali comma insieme al D. Lgs n. 77/2015 che istituì l’alternanza scuola lavoro, ma vi potrebbero essere problemi legati alla conseguente inattuazione della legge delega. Soprattutto un’eliminazione totale dell’alternanza porrebbe problemi di consenso tra i votanti, mentre limitando l’abrogazione al solo comma 33 verrebbe meno l’assurda imposizione di un monte orario così impegnativo, lasciando alle scuole il potere di definire il quantum di ore. Si ridurrebbe anche il rischio della subordinazione degli obiettivi didattici e culturali della scuola pubblica agli interessi imprenditoriali.