Corpi scelti

La chiamata nominativa, insieme ai premi ai “meritevoli” e ad altri strumenti, mette il docente in una condizione di subordinazione nei confronti del dirigente, con una drastica riduzione della libertà di insegnamento e del pluralismo

La L. n. 107/2015 prevede che a regime i dirigenti sceglieranno i docenti dell’organico dell’autonomia nell’ambito di albi territoriali organizzati per gradi di istruzione, classi di concorso e 3 tipologie di posti. Nel frattempo, e fatte salve alcune necessarie “correzioni” alle evidenti storture e iniquità presenti nel testo della legge (attualmente oggetto di confronto al ministero il cui esito, al momento in cui scriviamo, non è chiaro), negli albi di dimensione sub-provinciale, da definire entro il 30 giugno 2016, confluiscono tutti i neo assunti delle fasi B e C per l’assegnazione della sede definitiva nel 2016/17, ma a partire dalla mobilità per il 2017/18 anche i docenti già di ruolo nel 2014/15 e i neo assunti delle fasi 0 e A, quindi tutti quelli che faranno domanda di trasferimento o che sono dichiarati soprannumerari. Per il 2016/17 è previsto un anno di transizione: i docenti già di ruolo prima del piano di assunzioni potranno fare domanda di trasferimento con le vecchie regole, anche in deroga al vincolo di 3 anni in ambito provinciale; i docenti neo assunti nelle fasi 0 e A sceglieranno la sede definitiva per il 2016/17 con le vecchie regole, ma – forse – senza il vincolo provinciale/regionale triennale.

A regime la possibilità di insegnare in una specifica scuola non sarà regolata in base a criteri oggettivi (anzianità e continuità di servizio, titoli …), ma in base della valutazione discrezionale del dirigente scolastico, che dovrà solo pubblicare criteri e motivazioni, che potranno essere diversi da scuola a scuola: al massimo potrà tener conto delle candidature, delle precedenze della L. 104 e di eventuali colloqui.
Tutti gli incarichi saranno triennali, per cui salta quella stabilità reale del posto di lavoro in una determinata scuola che è anche il presupposto della continuità didattica. Essendo l’incarico triennale, non è escluso che, in caso di valutazione negativa, il dirigente possa non rinnovare l’incarico, ricollocando il prof. bocciato negli albi territoriali, con una conseguente precarizzazione anche dei docenti di ruolo.

L’unico vincolo è che il mancato rinnovo deve essere motivato con la mancanza di “coerenza con il PTOF”. È un meccanismo molto simile al cosiddetto contratto a tutele crescenti del settore privato. Infine, in nome della flessibilità, il dirigente potrà scegliere anche docenti da destinare all’insegnamento di materie non comprese nella classe di concorso, purché siano in possesso del relativo titolo di studio, di percorsi formativi e competenze professionali coerenti con le materie da insegnare e non vi siano nell’albo territoriale docenti disponibili abilitati: immaginiamo gli effetti sulla qualità dell’insegnamento, che d’altronde deve diventare sempre più un’infarinatura general–generica.
In questo modo per legge viene rivoltata completamente una storica materia contrattuale, quale la mobilità, mettendo il prossimo contratto integrativo davanti al fatto compiuto. Tra l’altro la L. 107 ribadisce quanto già previsto dalla Brunetta: le norme contrattuali in contrasto con il contenuto della legge sono inefficaci.

La chiamata nominativa, insieme ai premi ai “meritevoli” e ad altri strumenti, mette il docente in una condizione di subordinazione nei confronti del dirigente, che non riguarda più solo gli aspetti amministrativi, ma anche il campo della didattica e della stessa valutazione, con una drastica riduzione della libertà di insegnamento e del pluralismo che caratterizza la scuola pubblica prevista dalla Costituzione.

Anche quel che resta della democrazia collegiale sarà seriamente compromesso perché un docente sotto continuo controllo gerarchico si sentirà di fatto meno libero di esercitare il proprio dissenso nell’ambito degli organi collegiali. In questo caso, la resistenza interna alle scuole può veramente poco: diventa ancora più centrale la mobilitazione esterna e la prospettiva dell’abrogazione per via referendaria.