Ristrettezze educative

La scuola in carcere prima della pandemia, con il virus e oltre il virus

I corsi di istruzione nelle carceri, come si sa, fanno parte della più ampia istruzione degli adulti, la cui riorganizzazione è stata avviata nell’anno scolastico 2014-2015 e si dividono nei percorsi di primo livello, gestiti dai CPIA, Centri Provinciali Istruzione Adulti, (comprendenti, in carcere, essenzialmente licenza media e alfabetizzazione) e nei percorsi di secondo livello, comprendenti l’Istruzione Tecnica, Professionale e Artistica.

 

Il quadro della situazione

La platea dei detenuti che frequentano i corsi scolastici è una platea ampia, anche se ancora molti sono coloro che ne rimangono esclusi: nel 2018 (sono questi gli ultimi dati attendibili disponibili) si sono iscritti ai corsi scolastici circa 20.357 persone detenute, oltre 2.000 in più rispetto all’anno precedente, pertanto gli iscritti risultano essere il 34,64% dei presenti in carcere. In pratica, un terzo della popolazione detenuta risulta iscritta a corsi scolastici. Ma non è stato sempre così e per raggiungere quei risultati ci sono voluti anni di impegno. Sulla scorta della condanna dell’Italia da parte della Corte europea di Strasburgo, tra il 2012 e il 2014 l’amministrazione penitenziaria ha avviato un percorso di revisione delle modalità di rapportarsi ai detenuti, iniziando a teorizzare, sui documenti specifici riservati proprio ai corsi di formazione/aggiornamento del personale interno, il passaggio da un sistema di sorveglianza basato esclusivamente sul “controllo” ad un sistema basato sulla “conoscenza” del detenuto. Così, con la cosiddetta “sorveglianza dinamica”  (contestatissima dalla polizia penitenziaria) è cominciato un cambiamento nelle modalità di rapportarsi ai detenuti. Nello stesso tempo all’interno del Ministero dell’Istruzione si è messo mano alla riorganizzazione dell’istruzione degli adulti e il CESP ha partecipato, come esperto al Tavolo nazionale per la definizione delle nuove Linee Guida, facendo sedere a quel tavolo i docenti realmente impegnati nei percorsi di istruzione degli adulti in carcere che hanno da sempre creduto nella centralità dell’istruzione nell’esecuzione penale e nel valore della cultura quale elemento di crescita e riscatto.

La Rete delle scuole ristrette, fondata dal CESP circa dieci anni fa, comprende, infatti, i docenti dei due livelli di istruzione, distribuiti sull’intero arco nazionale, docenti che in questi anni si sono battuti proprio per estendere e ampliare i corsi di istruzione nelle carceri, a partire dall’analisi dello stretto legame tra detenzione e basso livello di scolarizzazione (ad eccezione di alcuni casi che non incidono, però, in maniera percentualmente rilevante). Se consideriamo che tra gli adolescenti c’è un tasso di abbandono scolastico pari al 18% circa, possiamo ben capire perché, in carcere, le classi più affollate dell’istruzione superiore sono proprio le prime due classi del biennio (quando c’è), nelle quali, lo dico per esperienza personale, si iscrivono anche 25/30 alunni, e sono costituite, quindi, da detenuti che non hanno frequentato o completato gli studi nei primi due anni delle superiori, che sono, o dovrebbero essere, obbligatori.

In questi ultimi dieci anni, dunque c’è stata una sorta di convergenza tra Giustizia e Istruzione nel tentare di rimuovere quegli ostacoli che hanno da sempre costituito un vero ostacolo alla diffusione dei percorsi scolastici in carcere: il prevalere di una visione della detenzione quale esclusivo “controllo/custodia” del detenuto, l’assenza “dell’istituzione scuola” all’interno di quella penitenziaria, la rigidità dell’apparato burocratico delle due istituzioni (ai quali si sono da sempre uniti problemi strutturali del carcere: mancanza di spazi adeguati e di mezzi, scarsa formazione del personale, penitenziario e scolastico). Su tutto questo si è cercato di intervenire, di dare un indirizzo, di rinsaldare i rapporti, di formare, informare, cambiare. Poi è arrivata la pandemia.

 

La svolta pandemica

Se la pandemia è stata per tutti uno scossone che ha ribaltato certezze sino a quel momento indiscusse, per il carcere e la scuola in carcere il COVID-19 ha costituito uno tsunami senza precedenti (sappiamo bene quali sono stati i tragici fatti che hanno visto carceri in rivolta, scontri, feriti da ambo le parti e ben 12 detenuti morti). Mentre all’esterno, nella prima fase della chiusura totale, la scuola si riorganizzava, cercando di riprendere i contatti attraverso la didattica a distanza sincrona, i contatti con gli studenti ristretti sono stati quasi totalmente recisi e come CESP – Rete delle scuole ristrette ci siamo immediatamente attivati, contattando i Provveditorati dell’amministrazione penitenziaria, gli Uffici scolastici regionali, i Ministri, i Sottosegretari, i Garanti (il Garante nazionale Mauro Palma, sempre molto vicino ai docenti della rete, dopo l’appello a lui rivolto, ha fatto un intervento diretto presso i Ministri della giustizia e dell’istruzione che ha dato i suoi frutti, tanto che il DAP ha ribadito in una circolare del 21 aprile, l’utilizzo di Skype in carcere al fine di garantire e salvaguardare il diritto all’istruzione delle persone in esecuzione di pena). Abbiamo così avviato un monitoraggio tra le scuole di riferimento della rete, i cui risultati sono stati poi presentati, nell’ambito della V Giornata nazionale del mondo che non c’è, svoltasi il 9 e 10 luglio in videoconferenza da Rebibbia, Ripensare il carcere: istruzione, cultura, tecnologie. Attraverso il collegamento, nel quali un certo numero di docenti, studenti, educatori, volontari, direttori sono intervenuti direttamente nelle sale messe a disposizione dalle direzioni negli istituti penitenziari, insieme ad una rappresentanza di studenti ristretti che sono potuti intervenire in diretta, si è voluto segnare, simbolicamente, il rientro della scuola in carcere.

 

Niente scuola in presenza e poca DaD

Il monitoraggio svolto ha messo in evidenza le criticità della Didattica a Distanza in carcere (in particolare quella sincrona, ma anche quella asincrona, perché spesso manca il feedback) e l’esiguità del numero di ore di lezione svolte, visto che, secondo il dato CESP, su 38.520 ore dovute ne sono state erogate 1.410, cioè il 4% e di questo il 3,16% è stato erogato nelle classi finali, mentre solo lo 0,76% nelle altre classi. La lettura dei dati ha permesso di analizzare gli elementi problematici per la ripresa delle attività trattamentali in carcere (istruzione, cultura, volontariato) e quella del ruolo delle nuove tecnologie all’interno dell’esecuzione penale, alla luce dei profondi cambiamenti intervenuti in conseguenza dell’emergenza sanitaria e della conseguente interruzione delle attività legate al trattamento.

Sull’analisi e sui molti ostacoli per una riapertura in sicurezza dei percorsi scolastici in carcere, c’è stata la sostanziale convergenza dei tre Ministeri coinvolti (Istruzione, Giustizia, Beni Culturali), così come dei politici presenti, che hanno dichiarato che si sarebbero fatti parte attiva per la risoluzione delle problematiche emerse, anche attraverso la sottoscrizione di un protocollo a tre, al quale far seguire la contemporanea costituzione di un Osservatorio per monitorare l’applicazione degli eventuali Protocolli e Accordi posti in essere.

Però, dopo circa due mesi e mezzo dalla ripresa delle attività didattiche nel nuovo anno scolastico, il virus ha dimostrato di essere ancora aggressivo e le lezioni sono state nuovamente interrotte, anche se a macchia di leopardo e con tempistiche e modalità diverse, dettate anche dall’uscita delle Regioni dalla situazione di rischio o meno, il che ha determinato riaperture, repentine chiusure e si è ripresentata la necessità di ripetere il monitoraggio. È maturata così, una proficua collaborazione tra Antigone e CESP – Rete delle scuole ristrette, che ha permesso di presentare insieme il questionario con il quale si è voluta fotografare la situazione dell’istruzione in carcere a gennaio 2021. Dal quadro emerso risulta, così, che a questa data la scuola in presenza (che all’esterno è nel frattempo ripresa ovunque anche per le superiori, seppur al 50% delle presenze) in carcere si svolge solo in poco più della metà degli istituti, ma in quella metà in cui non si è rientrati in presenza, circa il 72% delle scuole non svolge didattica asincrona, mentre solo il 28% fa ricorso all’invio di materiale cartaceo, distribuito, nel 68% circa dei casi, dall’istituto penitenziario. Quello che sembra preoccupante dalla lettura dei dati, sono in particolare due cose:

  1. a) che anche nel caso di svolgimento della didattica asincrona, risulta non esserci alcun feedback con gli studenti;
  2. b) che gli studenti coinvolti nella didattica in presenza sono meno di un quarto. Se incrociamo questi dati ne ricaviamo un quadro inquietante per la garanzia del diritto allo studio e alla conoscenza, perché se nel 51% delle scuole che svolgono didattica in presenza la frequenza scolastica è garantita solo ad un quarto degli studenti frequentanti e se nell’altra metà delle scuole che svolgono didattica a distanza, solo il 28% fa ricorso all’invio di materiale cartaceo o a video lezioni registrate, ma non c’è alcun feedback con gli studenti, sui 20.000 detenuti iscritti (ammesso che questi siano i numeri anche per quest’anno scolastico), solo 3000 circa ricevono istruzione, cioè meno di un sesto dei detenuti iscritti .

 

I problemi ancora aperti

Alla luce di tutto ciò, nonostante la disponibilità delle istituzioni e dei politici presenti a luglio scorso alla V Giornata nazionale del Mondo che non c’è, a sostenere le proposte avanzate dalla Rete delle scuole ristrette, tutte aperte rimangono le problematiche già affrontate in quel contesto:

1) l’urgente necessità di entrare nel merito dell’utilizzazione degli spazi in carcere per una didattica in presenza che copra le necessità della popolazione detenuta;

2) il potenziamento reale dell’uso delle tecnologie;

3) la definizione di aree comuni destinate alle attività culturali e di istruzione (biblioteche, sale lettura per lo studio individuale, salette per l’uso di personal computer e per esercitazioni o lavori di gruppo);

4) l’attivazione di misure di accompagnamento degli studenti ristretti finalizzate al loro reinserimento dopo il fine pena.

Su questi punti il CESP – Rete delle scuole ristrette ha già predisposto un piano di accompagnamento per presentare ai vertici dell’amministrazione le misure necessarie per entrare nel merito di questioni e nodi che l’urgenza dettata da questa pandemia, che non si sa esattamente quando permetterà una ripresa completa delle attività, rende improrogabili.