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Da tempo segnaliamo la presenza sempre più rilevante nelle scuole, di adolescenti e pre-adolescenti con “disturbi” nell’apprendimento, un “fenomeno” preoccupante dal punto di vista educativo, sul quale il CESP, nel 2018, ha aperto un’importante riflessione che ha portato l’associazione a svolgere seminari di approfondimento sulla tematica, confrontandosi a tutto tondo con la categoria, in città e regioni diverse, per un intero anno scolastico.
Hanno partecipato ai seminari, pedagogisti, psicoterapeuti, psichiatri, avvocati esperti in diritto psichiatrico, docenti e tutti hanno preso atto della trasformazione delle modalità di apprendimento, del crescente disagio sociale e della deriva che sta conducendo la scuola all’adozione di misure di controllo terapeutico delle difficoltà evidenziate dai giovani, con il rischio, nel quale la scuola spesso incorre, di leggere i comportamenti degli studenti e delle studentesse con la lente deformante della diagnosi clinica, trasformando dirigenti e docenti in semplici agenti di controllo per l’adattamento “alla norma e alla salute”.
Il TSO in una scuola di Fano
Quanto accaduto allo studente diciottenne di Fano il 5 maggio scorso è l’esemplificazione di questa tendenza. Lo studente diciottenne dell’istituto Olivetti di Fano, infatti, è stato prelevato dalle forze dell’ordine, trasferito nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Pesaro e sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) perché rifiutava di indossare la mascherina in classe e, dopo essersi legato al banco, è stato prelevato da un’ambulanza del 118, arrivata insieme ai carabinieri, e portato nel reparto psichiatrico di Pesaro, dove è stato trattenuto in TSO.
Questo episodio conferma quanto sia diffuso il rischio di leggere i comportamenti degli studenti e delle studentesse con la lente deformante della diagnosi clinica e rivela il permanere in Italia di una “questione psichiatrica” che si ripropone ogni volta in cui qualcuno, di fronte al manifestarsi di un pensiero altro, si sente autorizzato ad alzare nuovamente quel muro che separa il pensiero del singolo da quello degli altri, per evitare “pericolose” contaminazioni, attraverso quel residuo manicomiale costituito dal TSO.
Per questo è stato dato mandato all’avvocato Gioacchino Di Palma (con il quale il Telefono Viola si è già costituito parte civile nel processo Mastrogiovanni e in quello contro lo Stella Maris di Pisa per gli abusi farmacologici ai danni dei propri pazienti, anche minori) di impugnare il TSO di Fano che, sin dal suo primo momento, cioè quello avvenuto nella scuola, è apparso privo dei requisiti necessari per poter essere effettuato. Il caso, ha sostenuto l’avvocato Di Palma, è stato condotto con superficialità, ricorrendo a procedure standardizzate, senza quella dovuta attenzione che, soprattutto in questo caso, dovevano avere tutti i soggetti interessati alla stessa, stante la giovanissima età del soggetto e il fatto che in realtà lo studente stesse manifestando all’interno della scuola il suo convincimento che non vi fosse un obbligo di legge ad indossare la mascherina. Il ragazzo non aveva, infatti, alcuna alterazione psichica e tanto meno atteggiamenti di pericolosità per se stesso e/o per gli altri e ha sempre fatto ricorso ad un linguaggio corretto e ad una esposizione logica delle sue ragioni (altra è la questione della condivisibilità delle sue idee) ed ha mantenuto sempre un atteggiamento tranquillo e mai violento.
Il manicomio chimico
Il Telefono Viola denuncia da anni gli abusi che si continuano a perpetrare attraverso il TSO che incatena i diversi e i non conformi al manicomio “chimico” degli psicofarmaci, attraverso la pratica del TSO, facendone dei lobotomizzati farmacologici.
In realtà i trattamenti sanitari psichiatrici obbligatori sono veri e propri residui manicomiali e “il giudizio psichiatrico si contrassegna per la sua particolare ottusità e ridicolaggine rispetto a giudizi di altro tipo: antropologico, filosofico, poetico, culturale, religioso, sociologico, psicologico, letterario ecc. dimostrando che il manicomio non è solo un luogo, ma un criterio e che sino al momento in cui lo Stato si potrà permettere di sequestrare un cittadino per il suo pensiero, i manicomi saranno ovunque” (G. Antonucci – cofondatore del Telefono Viola).
Oggi, a quarantatré anni dall’abolizione dei manicomi, di fronte a questo caso (come nei molti che l’hanno preceduto) dobbiamo drammaticamente constatare come la psichiatria continui ad esercitare un potere assoluto nei confronti degli individui, sino a permettersi di entrare nelle scuole e sottoporre a ricoverare ragazzi che manifestano atteggiamenti “non conformi”.
Queste riflessioni hanno evidenziato, all’interno del CESP, la necessità di un dialogo con i docenti, per il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze come occasione di sviluppo della propria ed altrui identità e per questo è stato preliminarmente avviato un confronto con lo SGAI (Società Gruppo AntropoAnalitica Italiana), su problematiche che appaiono emergere nella scuola in particolare in questa fase storica, a partire proprio dal tema della medicalizzazione del disagio psico-relazionale che sembra essere diventata l’ottica prevalente in taluni contesti scolastico/educativi, accanto alla quale si collocano altre tematiche quali la dispersione scolastica, la didattica a distanza (con le difficoltà e il disorientamento che tale forma di insegnamento ha determinato tra gli adolescenti) e la relazione con le famiglie.
Su questi temi il CESP sta progettando un percorso seminariale di aggiornamento su ognuna delle tematiche individuate, con appuntamenti settimanali, nel tentativo anche di comprendere cosa ancora rimane, nella scuola e nella società, di quelle disposizioni, correlazioni e reti di “potere” che autorizzano la gestione dell’individuo da un punto di vista psichiatrico.
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