Il “nuovo” Esame di Stato varato dal governo Salvini – 5Stelle si pone in stretta continuità con la riforma prevista dal D.Lgs n. 62/2017 del governo Gentiloni, a sua volta attuativo della delega contenuto nella famigerata “Buona scuola” di Renzi. Lo riconosce lo stesso Ministro Bussetti: “Non è nuova maturità perché è presente all’interno del decreto legislativo del 2017. Noi l’abbiamo aggiustata”.
Quindi, sull’Esame di Stato la Legge 107 non è stata cancellata, ma portata a compimento, vedremo con quale significativo aggiustamento. Restano centrali la didattica per competenze, la standardizzazione della valutazione, la svalutazione dei contenuti disciplinari delle materie non oggetto delle prove scritte, l’ASL.
L’ASL
Come requisiti di ammissione lo svolgimento delle ore minime di ASL e la somministrazione delle prove Invalsi sono state per ora solo prorogati all’anno prossimo. In particolare, le attività di ASL, giustamente ridimensionate dalla legge di bilancio 2019 nel quantitativo di ore obbligatorie, sono oggetto nel colloquio di una relazione e/o di un elaborato multimediale, che sostituisce la vecchia tesina interdisciplinare su temi scelti dal candidato, ed entrano nel curriculum dello studente, allegato al diploma. Cambia anche il nome (“percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”) forse perché ci si è accorti che è anticostituzionale parlare di lavoro senza retribuzione, laddove l’art. 36 Cost. prevede che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione, che tra l’altro dovrebbe essere tale “da garantire un’esistenza libera e dignitosa”. Ma non cambia la sostanza di quel che è stata l’ASL in questi anni: attività completamente sganciate dall’indirizzo di studio e dal lavoro in classe; studenti impegnati in lavori ripetitivi ed esecutivi che si apprendono in un quarto d’ora e che si rilevano spesso solo lavoro gratuito senza formazione effettiva, con sottrazione di tempo alla didattica. Ma di certo su questo tema nessuno resterà muto: è facile prevedere che assisteremo ad amenità, luoghi comuni e celebrazioni varie di quest’esperienza! Prevedere una sezione specifica del colloquio dedicata all’ASL rafforza la separatezza rispetto ai contenuti disciplinari ed è probabile che a tale sezione verrà anche attribuito un punteggio specifico nelle griglie di valutazione del colloquio, che di fatto peserà di più della valutazione della preparazione nelle singole discipline.
Le prove Invalsi
Quanto all’Invalsi, la proroga del relativo svolgimento come requisito di ammissione all’esame risulta ben poco significativa se si considera che la somministrazione dei quiz di Italiano, Matematica e Inglese in quinta resta “attività ordinaria”. Inoltre, la standardizzazione dei processi di valutazione nell’ottica di una didattica per competenze è rafforzata dall’imposizione di griglie nazionali per la correzione delle prove scritte. Infine, è rimasto in vigore l’art. 21 del DLgs n. 62, che prevede che gli esiti individuali delle tre prove entrino nel curriculum dello studente “per attestarne i livelli di apprendimento e di competenze” e che le Università, nella loro autonomia, possano usarli per decidere dell’ammissione nei corsi a numero chiuso. Il riferimento agli “esiti individuali” sconfessa la tesi dei sostenitori dei quiz: non si tratta di una rilevazione tesa solo alla valutazione “di sistema”, ma alla valutazione del singolo studente, che determinerà ancor di più il teaching to test, cioè la trasformazione della didattica in addestramento ai quiz. Se, per esempio, uno studente mira ad iscriversi a Medicina darà più importanza ai risultati ai quiz o al voto d’Esame? E di conseguenza i docenti saranno spinti a sviluppare negli studenti quella particolare competenza che permette di indovinare la risposta esatta, sacrificando lo sviluppo della capacità di analizzare i rapporti causa – effetto, di confrontare tesi diverse sullo stesso argomento, di cogliere i nessi o di ricostruire i vari segmenti di un modello teorico, di sviluppare lo spirito critico.
Via la terza prova
Dal colloquio scompare anche la terza prova scritta: è la registrazione del fallimento annunciato del tentativo berlingueriano di introdurre dalla fine del percorso elementi di interdisciplinarietà. La scuola superiore è strutturalmente una sommatoria di corsi individuali, in cui l’interdisciplinarietà è di fatto solo un orpello della sconfinata produzione cartacea (o on line cambia poco) di documenti ‘ideologici‘ che mistificano la realtà. Gli approcci didattici, le tecniche usate e gli stessi criteri di valutazione sono spesso sostanzialmente diversi e solo quando per caso si trovano nello stesso Consiglio di classe docenti che hanno approcci simili l’esigenza di fare una sintesi non viene scaricata sugli studenti.
Ma questo non è dovuto solo all’individualismo dei docenti, ma anche ad un fattore strutturale: la nostra formazione iniziale è esclusivamente basata sui contenuti disciplinari e non sulla didattica e sulla pedagogia. E anche quando questi studi sono coltivati hanno un’impostazione completamente sganciata dalla stragrande maggioranza dei contenuti disciplinari. Manca del tutto nella tradizione anche universitaria italiana la didattica delle discipline: qual è il valore formativo di un’articolazione del curriculum basato sul confronto tra diversi modelli teorici di economia politica e di quella basata su un continuum di argomenti, che poi a ben guardare si rifanno ad unico modello teorico, non a caso neoliberista? Qual è il valore formativo di un’acquisizione nozionistico-descrittiva di norme giuridiche e quella di un approccio che si interroga sulla ratio legis, sugli interessi economico –sociali tutelati o sacrificati? O ancora come si fa didattica interattiva – in particolare la maieutica – nelle varie discipline? Tutto questo è estraneo alla formazione di base e solo uno sciocco poteva pensare di introdurlo con la terza prova o con la tesina al colloquio, che di fatto si sono rilevati in questi anni una sommatoria veloce e superficiale dei singoli contenuti disciplinari scollegati tra loro.
Ma per introdurre una pratica interdisciplinare effettivamente collegiale alle superiori è necessario un serio piano di formazione con la previsione periodica di un anno sabbatico di esonero dall’insegnamento, come predicano nel deserto i Cobas da almeno un trentennio. È paradossale che mentre si rinuncia – senza nostalgia – alle prove interdisciplinari si continua a ripetere nel DLgs. che il colloquio deve verificare la capacità di collegare le conoscenze “per argomentarle in maniera critica e personale” e nel DM 18.1.2019 che “bisogna evitare una rigida distinzione” tra le discipline!
In ogni caso, l’eliminazione della terza prova determina una svalutazione dei contenuti delle materie non oggetto delle due prove scritte residue, così come l’eliminazione della traccia di argomento storico dalla prima prova scritta una svalutazione della storia.
Il sorteggio al colloquio
Oggetto della seconda prova scritta saranno, in molti indirizzi, due discipline, la cui fusione e prevedibile semplificazione risulta assolutamente calata dall’alto ad anno scolastico inoltrato, senza alcun coinvolgimento dei docenti e senza che vi sia stata un’attività didattica specifica mirata in tale direzione: il Ministro ritiene sufficienti le simulazioni in corso d’opera! D’altronde – dice il Ministro- il D.Lgs prevedeva già dal 2017 tale novità; ma dimentica di dire che prevedeva anche la tradizionale seconda prova su una sola materia e che in sede di programmazione didattica i docenti non sapevano se questa novità sarebbe stata effettivamente introdotta dal primo anno (il buon senso spingeva in direzione opposta), né quali materie sarebbero state oggetto insieme della seconda prova e con quali modalità. In generale, il DM n. 37 è stato varato nel mese di gennaio, dopo che studenti ed insegnanti per anni, e per mesi dell’anno in corso, hanno lavorato per prepararsi ad un esame finale che si svolgeva secondo modalità differenti.
Ma l’unico “aggiustamento” significativo del Ministro riguarda il colloquio e ha i tratti del grottesco. Con il nuovo esame, infatti, i candidati saranno ridotti a partecipanti di un gioco a quiz e saranno chiamati ad estrarre una busta tra varie contenente argomenti e documenti preparati dalla commissione. Il DM prevede che per ogni classe bisognerà predisporre due buste in più rispetto al numero dei candidati in modo da farle “ruotare”, avendo cura che la stessa “batteria” non capiti a più di un candidato! Un filosofo greco aveva affermato che “il corso del mondo è un fanciullo che gioca ai dadi”. Con le buste al posto dei dadi i nostri maturandi affronteranno uno dei momenti più significativi e delicati della loro vita. Chi avrà più fortuna? Chi avrà meno fortuna? Il caso chi favorirà? Con quale spirito i candidati incerti sulle risposte affronteranno il resto del colloquio?
Ma, soprattutto, viene meno il ruolo della Commissione che, sulla base delle indicazioni dei membri interni e degli stessi risultati delle prove scritte, poteva strutturare il colloquio calibrandolo sulle diverse capacità cognitive dei vari candidati. Come a Rischiatutto si correrà il rischio che un percorso interdisciplinare difficile capiti a ragazzi con un curriculum incerto o che candidati con una buona preparazione non abbiano la possibilità di evidenziare le proprie capacità. Il risultato pratico molto probabilmente sarà che le Commissioni si adatteranno a preparare argomenti e percorsi semplificati, con un’ulteriore banalizzazione dei contenuti.
È evidente l’obiettivo tendenziale del sorteggio e della stessa standardizzazione della valutazione: svalutare il lavoro del docente, preparando il terreno a prove a distanza programmate e gestite da un computer, come peraltro già avviene in tanti concorsi.
Infine sia il D.Lgs che il DM prevedono quella che viene presentata come una grande novità: una parte del colloquio deve valutare conoscenze e competenze maturate nelle attività relative a ‘Cittadinanza e Costituzione’. Questo mi provoca un particolare senso di spaesamento di tipo kafkiano, perché evidentemente il fatto che io, insieme a tanti altri colleghi dell’Istituto Tecnico Economico (la vecchia Ragioneria) da 37 anni insegni (o almeno ci provi), per ben 99 ore all’anno, Diritto costituzionale in quinta deve essere ignoto ai politici e ai tecnici del Miur! In ogni caso, tanta giusta enfasi sulla Costituzione rischia di diventare vuoto esercizio parolaio se si riducono in tutti gli indirizzi– come è avvenuto con la riforma Gelmini – le ore di Diritto – Economia, di Storia e, in generale, le ore d’insegnamento. Per non dire che le nuove linee guida ministeriali per gli ITE – finora per fortuna non applicate dai docenti- prevedono in quinta una drastica contrazione del diritto costituzionale a vantaggio del diritto amministrativo.
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