Cambia giro

Inaccettabile la partenza del Giro d'Italia 2018 a Gerusalemme in ossequio a Israele

photo credits: Photo RNW.org

Il 7 maggio 2018 il Giro d’Italia, una delle corse ciclistiche più importanti del mondo, è partito da Gerusalemme (porta di Giaffa). Grazie anche all’esborso di 16 milioni di euro, il governo di Tel Aviv si è così assicurato (nel 70° anniversario della fondazione di Israele) un enorme “spot pubblicitario”.

Si tratta, però, anche di una gravissima provocazione, sia perché il 2018 è il 70° anniversario della Naqba (la catastrofe araba), sia perché da marzo era iniziata la “marcia del ritorno” del popolo palestinese per denunciare l’occupazione israeliana e la trasformazione della striscia di Gaza in un’enorme prigione. Una marcia non armata nella quale, sotto il fuoco israeliano, sono morte decine di persone e migliaia sono stati i feriti.

A nessuno può sfuggire, quindi, come gli organizzatori italiani della corsa (in primo luogo “La Gazzetta dello sport”) abbiano fatte proprie le posizioni israeliane: in particolare, quella che considera Gerusalemme – città simbolo delle maggiori religioni monoteiste – “unita e indivisa”, con una legge che il Consiglio di sicurezza dell’ONU (risoluzione 478) ha definito nulla, priva di validità e un ostacolo per la pace in Medio Oriente.

Ancora, gli organizzatori hanno scelto di chiudere gli occhi di fronte alle continue violazioni dei diritti umani subite dal popolo palestinese anche attraverso demolizioni di case ed espulsioni forzate: come nel caso di dozzine di città beduine palestinesi che si vedono rifiutate il riconoscimento e i servizi di base e le cui abitazioni sono sottoposte a continue demolizioni. Di fronte a tutto ciò molte organizzazioni della società civile hanno prima provato inutilmente a convincere gli organizzatori a non far partire la corsa da Gerusalemme, e successivamente hanno organizzato manifestazioni di protesta durante tutte le tappe italiane del giro. “Non pedalare per i crimini israeliani #cambia giro!”: questo lo slogan condiviso a partire dalla prima tappa italiana (Catania), quando solo la presenza di uno spropositato schieramento di polizia ne ha consentito lo svolgimento. La gara è, comunque, partita in ritardo, con i corridori costretti, nella principale via cittadina, a utilizzare solo una parte della carreggiata stradale, data la presenza dei manifestanti. Stesso copione nelle altre tappe, nonostante i mezzi di informazione abbiano fatto di tutto per oscurare striscioni e bandiere palestinesi, fin quando nell’ultimo giorno, a Roma, non sono stati “costretti” a dare visibilità alla protesta.