Il movimento che esplose nel luglio 2001 a Genova contro il G8 aveva alle spalle lo spettacolare successo del primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre (in Brasile a gennaio, con i suoi 70 mila partecipanti) che segnò la nascita di una grande coalizione contro la globalizzazione liberista, il cosiddetto movimento no-global (o altermondialista). Come per tutti i movimenti di grande diffusione, è difficile individuarne una genesi precisa, agendo quasi sempre varie concause. Però, riteniamo che l’impulso più potente per l’avvio del movimento fu il salto di quantità e di qualità nel processo di mercificazione globale indotto da un liberismo che, nello sforzo planetario di mettere in campo nuove merci, vi stava trascinando anche settori e territori fino ad allora estranei al dominio del profitto privato e del mondo-merce, come i servizi pubblici, l’istruzione, la sanità, i trasporti; e nel contempo, la natura intera, l’acqua, la vegetazione, le sementi e qualsiasi potenziale fonte energetica. Però, pesò molto anche il dilagare, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, di una guerra diffusa globale e permanente, che spinse alla protesta intere popolazioni (non a caso, il punto più alto no global fu la mobilitazione mondiale del 15 febbraio 2003 – senza precedenti nella storia umana – quando, su impulso del movimento italiano, scesero in piazza quasi 100 milioni di persone in tutto il pianeta per fermare la guerra in Iraq); nonché l’intera gamma dei conflitti ambientali, divenuti da allora tema cruciale; e poi i conflitti di genere e quelli del lavoro salariato precarizzato. Ma di fronte a questo arcobaleno di conflitti, ciò che a nostro parere ha reso quel movimento, almeno in Italia, superiore per qualità persino a quello del ’68, è stata in primo luogo una ben più profonda conoscenza della società, dell’economia e della produzione; e in seconda battuta, le modalità della vita interna, quelle regole del gioco che permisero i successi di una coalizione così vasta e complessa. Negli anni precedenti, come COBAS avevamo tentato a più riprese, ma con scarso successo, di avviare alleanze che superassero il vizio storico di dare la massima centralità al proprio conflitto e al proprio tema identitario, con la conseguente incapacità di coalizzarsi senza imporre gerarchie. Finalmente nel movimento no-global si affermava l’idea che, nel conflitto con il capitalismo, fosse sbagliato imporre un tema come dominante e capace di inglobare tutti gli altri: ma che invece tutte le facce conflittuali dovessero convivere senza gerarchie o primazie tematiche o di organizzazione.

Forti di queste consapevolezze, lo scorso anno, come COBAS e insieme a varie strutture protagoniste di quel movimento, nonché organizzazioni giovanili del tutto recenti (ad esempio Fridays for Future), con la sigla Genova 2021 abbiamo utilizzato il Ventennale dell’antiG8 del 2001 come occasione non solo di riflessione su quel poderoso movimento ma anche per valutare le possibilità di far ripartire, immersi come eravamo nella stagnazione conseguente al blocco pandemico di movimenti e iniziative, coalizioni e alleanza paritarie che, su quel modello organizzativo aggiornato, potessero riaprire la conflittualità diffusa in Italia e con estensione europea. Tale iniziativa, svoltasi tra il 19 e il 21 luglio, pur coinvolgendo varie forze italiane e anche europee più o meno eredi di quell’esperienza, ha raggiunto solo in parte gli obiettivi prefissi: e fondamentalmente per due ragioni. In primo luogo ha prevalso, nell’informazione massmediatica ma anche nello spirito di una parte significativa di chi venne a Genova al di fuori ed oltre la nostra iniziativa, una lettura dell’antiG8 come punto culminante della parabola del movimento noglobal, un apogeo che, attaccato e frantumato dalla repressione statale – concentrando dunque l’attenzione sull’aggressione ai cortei, sull’uccisione di Carlo Giuliani, sulla feroce mattanza della Diaz e le umiliazioni e violenze nella caserma di Bolzaneto – sarebbe poi rifluito a causa di quella che venne interpretata da analisti malevoli come una sconfitta e una dimostrazione di incapacità da parte delle leadership di movimento di padroneggiare una situazione assai complessa. In realtà il vero apogeo, il vero sviluppo delle migliori potenzialità del movimento noglobal si manifestarono piuttosto nei tre anni successivi, dal 2001 al 2004, con una punta massima nel 2003. Insomma, a nostro avviso, Genova 2001 non è stato il punto più alto del movimento noglobal italiano, toccato invece sia con il Forum Sociale Europeo a Firenze nel novembre 2002, con almeno 500 mila persone coinvolte, e ancor più nella già citata giornata mondiale del 15 febbraio 2003 per impedire la guerra in Iraq. Non è azzardato dire, anzi, che il FSE di Firenze del novembre 2002 sia stato il momento più rilevante di tutta la storia internazionale dei Forum Sociali e dell’altermondialismo, non solo per il numero dei partecipanti e delle organizzazioni coinvolte ma anche per la capacità che ebbe di riunire quei due aspetti che i Forum successivi, europei e mondiali, non sono più riusciti a sintetizzare allo stesso livello: e cioè il Forum come “evento”, luogo di incontro e di discussione profonda tra diversi, e il Forum come “processo”, stimolo e motore delle mobilitazioni, in grado di promuovere iniziative unitarie, convergenze reali nelle lotte quotidiane e operatività politica pur nelle diversità strutturali, politiche, sindacali e culturali. Proprio da Firenze partì la proposta, che lanciammo come COBAS insieme all’ARCI, di una mobilitazione europea contro la minacciata invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e della Nato: e tale proposta, approvata all’unanimità, venne da noi riportata, come delegazione italiana, anche al successivo Forum Mondiale di Porto Alegre (gennaio 2003) che convalidò la data del 15 febbraio come giornata mondiale di mobilitazione per fermare l’imminente guerra. Come è ben noto, non riuscimmo a impedire l’invasione dell’Iraq: ma il 15 febbraio in circa 140 paesi del mondo si tennero manifestazioni straordinarie (con la punta massima in Italia, magari non i tre milioni dichiarati e accettati dai media, ma di sicuro la manifestazione più grande del dopoguerra) che portarono in piazza circa 100 milioni di persone, e cioè a memoria d’uomo la più grande mobilitazione politica della storia.

Il New York Times definì il movimento noglobal, nowar e altermondialista “la seconda potenza mondiale” (dopo gli USA, intendeva), certamente esagerando: ma di fatto, successivamente, né i Forum Europei né quelli Mondiali riuscirono più a raggiungere simili risultati. Sulla base di queste considerazioni, durante il Ventennale di Genova, lanciammo come COBAS la proposta di utilizzare anche il Ventennale del FSE di Firenze, nel prossimo novembre, per riprendere il filo di quel discorso e di quel modello di organizzazione e mobilitazione, con i dovuti aggiornamenti, per rianimare le relazioni e le iniziative di lotta a livello nazionale ed europeo, secondo la formula delle convergenze, delle coalizioni tra diversi ma “paritetici” (sia come tematiche sia come organizzazioni), capace di dare spazio ad ogni tema rilevante e ad ogni componente, confermando anche il principio noglobal delle decisioni prese non a maggioranza ma con larghissimo consenso, al limite dell’unanimità.

E tanto più oggi, nel clima già devastato dalla pandemia e ancor più funestato da una guerra dirompente non solo per l’Ucraina criminalmente martoriata ma per l’Europa tutta, l’idea del processo di preparazione del Ventennale del FSE fiorentino appare di ancor maggiore interesse rispetto a quando lanciammo la proposta: e, dunque, stiamo compiendo i primi passi per garantire il più ampio coinvolgimento di forze e movimenti italiani e europei, “vecchi” e nuovi. In tale quadro per noi un particolare interesse lo riveste la possibilità di riannodare i rapporti, assai attenuatisi negli ultimi anni, con la galassia del sindacalismo conflittuale e alternativo europeo. Infatti va ricordato che nel periodo di massimo “splendore” del movimento altermondialista, i sindacati in generale e quelli conflittuali e alternativi in particolare hanno svolto un ruolo importante e sono stati uno dei soggetti più propositivi e attivi nelle mobilitazioni tra le svariate anime che componevano il movimento stesso.

I sindacati di base e conflittuali europei sono riusciti a mettere in campo un buon livello di relazione e interscambio, fondamentali nella riuscita delle iniziative legate ai dibattiti e analisi all’interno dei Forum e dei vari seminari e convegni, così come motore delle mobilitazioni e uno dei loro soggetti trainanti. Come COBAS ci siamo spesi su entrambi i fronti con risultati notevoli, dando un contributo fattivo e stabilendo positive relazioni con organizzazioni sindacali, europee in particolare, alternative e aventi un approccio e una azione politico sindacale molto vicina alla nostra. Va detto che il generale rifluire del movimento e l’esplodere della crisi economica del 2008 hanno fatto sì che buona parte di queste proficue relazioni si siano perse o allentate a livello globale; per quanto riguarda le organizzazioni sindacali alternative queste sono state in massima parte riassorbite nelle dinamiche interne ai vari stati nazionali, dovendosi confrontare e scontrare con i pesanti impatti generati dalla crisi medesima e, ancor più, con le misure antipopolari e di tagli strutturali che sono stati una costante, con le varie declinazioni nazionali, nell’azione politica di tutti i vari governi. Lo stato di crisi non è stato certamente superato nell’attualità, anzi si è aggiunto l’ultimo biennio funestato dalla pandemia e l’esplodere di nuovi e sempre più pericolosi fronti di guerra. Ciò nonostante, si sono dati elementi di ripresa del dialogo tra i sindacati conflittuali; a livello italiano svariate sigle hanno ricominciato un dialogo, si è giunti ad uno sciopero generale [lo scorso 11 ottobre] convocato congiuntamente da una quindicina di sigle e il confronto sta proseguendo su mobilitazioni comuni legate a temi sia generali che categoriali, dalla mobilitazione prevista per la scuola centrata sull’Invalsi (6 maggio) a quelle di carattere più generali legate alla guerra, alla crisi ambientale e alla lotta contro il carovita e l’impoverimento generato dalla “economia di guerra” che il governo Draghi sta imponendo.

Al di fuori dei confini nazionali stiamo riprendendo contatti: in particolare negli ultimi mesi abbiamo partecipato ai congressi di due organizzazioni dello stato spagnolo, la Intersindical Valenciana e la Confederaciòn Intersindical (quest’ultima raccoglie 15 organizzazioni di base a livello regionale ed è una delle più grosse, forse la maggiore, organizzazioni sindacali alternative d’Europa),  con le quali avevamo sempre avuto ottime relazioni nel movimento altermondialista. Durante questi incontri abbiamo anche ripreso contatti con altre organizzazioni catalane, svizzere, francesi e portoghesi, in corrispondenza dei congressi citati. In tali riunioni abbiamo riscontrato una prima convergenza sull’idea di ridare impulso a un percorso comune tra le organizzazioni conflittuali a livello europeo, tramite un’alleanza fattiva che punti alla costruzione di mobilitazioni concrete e coordinate a livello europeo. Il processo è all’inizio, la scommessa è importante, il Ventennale di Firenze, preceduto da altri incontri, dovrebbe essere una tappa importante di questo percorso, che ci sembra fondamentale, stante che le politiche dei vari stati europei e le problematiche connesse ci impongono di trovare risposte che travalichino i confini degli Stati nazionali.