Alla fine Bonaccini ce l’ha fatta ed ha evitato il peggio, non dovendo mai dimenticare che in politica, come nella vita quotidiana, la logica del meno peggio diviene necessaria in alcuni momenti cruciali in cui il meglio è lontanissimo. Se la sfida fosse avvenuta sul piano amministrativo della regione, non ci sarebbe stata gara tra lui e una Borgonzoni totalmente digiuna in materia. Ma lo scontro voluto da Salvini è avvenuto sugli unici, veri punti di forza del salvinismo, l’ostilità verso i migranti e le ossessioni securitarie, ove la posta in gioco era il governo nazionale e la conquista dei “pieni poteri”. Salvini ha spostato il terreno di gara fino ad eccessi che hanno messo a disagio persino una parte del suo gruppo dirigente: ha annullato una candidata già incolore e sprovveduta, ha preso di petto le Sardine, ha insultato Bibbiano ed ha raggiunto il culmine con la ignobile citofonata. A posteriori questa tattica iper-aggressiva è stata un clamoroso autogol, ma la certezza l’abbiamo avuta solo a spoglio in corso, perché fino a pochi giorni prima i sondaggi davano un leggero vantaggio alla destra. Se si è arrivati a rovesciarli fino a determinare uno scarto considerevole a favore di Bonaccini (oltre 7 punti), un merito va certamente alla condotta, apparentemente remissiva e anti-mediatica di Bonaccini, il quale, memore del disastro umbro, ha tenuto lontano da sé i leader nazionali PD, si è guardato bene dallo strumentalizzare le Sardine e ha evitato di farsi trascinare nella battaglia nazionale, rifiutando di rispondere alle fanfaronate salviniane. E soprattutto ha rivendicato con successo il lavoro da lui svolto sul piano gestionale nella regione, malgrado anche l’Emilia Romagna e una parte significativa del suo popolo abbiano pagato un tributo alla crisi e alle politiche social-liberiste (che hanno ricevuto anche nel recente passato le nostre sacrosante e doverose critiche) attuate nella regione, o programmate, come è il caso gravissimo dell’autonomia differenziata, che nella versione “soft” è e sarà – a meno di improbabili ripensamenti di Bonaccini – da respingere esattamente come la versione “hard” leghista.
Il ruolo delle Sardine
Ma probabilmente questo non sarebbe bastato senza l’inaspettato sostegno della mobilitazione delle Sardine, scese in piazza in difesa della democrazia, contro il razzismo, la xenofobia, la diffusione strumentale di odio, paura e ossessioni securitarie. I maniaci dei complotti si mettano l’anima in pace. Per quello che sappiano dei quattro giovani che l’hanno avviata, l’iniziativa è stata totalmente autonoma, improvvisata, legata alla voglia di agire con un exploit di richiamo mediatico; e il grande successo delle prime due manifestazioni, a Bologna e Modena, ha sorpreso anche loro. Il resto è venuto di conseguenza, come una valanga che una volta messa in moto va da sé. È fuor di dubbio che i quattro volessero reagire al culturame salvinista dilagante e alla sua onnipresenza di piazza, e anche cercare di dare una sveglia a quel popolo solidale disgustato dal razzismo e dalla violenza ducesca della Lega. È pur certo che non sono partiti sulla base di una “trasversalità” che equiparasse nella critica il centrosinistra e la destra fascistoide di Salvini e Meloni. E molto limpidamente non solo non hanno predicato una equidistanza modello Cinque Stelle d’antan (“non siamo né di destra né di sinistra, siamo oltre”, secondo le buffonerie d’epoca alla Di Battista/Di Maio) ma hanno rivendicato la loro appartenenza ad un seppur generico campo di sinistra, usando come colonna sonora “Bella ciao” e riproponendo il classico anelito affinché la “sinistra” torni a fare la sinistra.
Però, la cosa più importante riguarda le risposte spontanee di centinaia di migliaia di persone in tutta Italia. Su queste reazioni avevamo contato molto, circa un anno e mezzo fa, quando di fronte all’orrido governo Lega-5 Stelle e al rapido spostarsi di simpatie e sostegno dai 5 Stelle alla Lega, promuovemmo, come COBAS e insieme ad altri soggetti politici e sociali, la manifestazione del 10 novembre 2018 e successivamente il Forum Indivisibili e Solidali. Eravamo convinti che, seppure razzismo, xenofobia, ossessioni securitarie e tutto l’armamentario della Lega e dei FdI stavano conquistando la maggioranza degli italiani, esisteva pure una forte minoranza (intorno al 30-35%, scrivemmo) che era invece inorridita dal fascistume incombente e dalla cultura reazionaria e fomentatrice di odio verso i più deboli: un popolo solidale che non trovava modo di manifestarsi collettivamente. Ed eravamo partiti bene: il successo quantitativo (circa centomila persone in piazza, con l’adesione di più di 500 soggetti politici, sindacali, sociali e culturali) e qualitativo del corteo del 10 novembre 2018, lo aveva dimostrato. Ma poi, invece di poter valorizzare tale partecipazione e le tante realtà locali che l’avevano ingigantita, siamo stati bloccati, nostro malgrado, dai soliti e sempre più insopportabili comportamenti concorrenziali e auto-centrati della sinistra “gruppettara”. E il vistoso calo della partecipazione alla manifestazione del 9 novembre 2019, rispetto all’anno prima, è dipeso assai più dal meccanismo di preparazione e gestione, passato attraverso mille mediazioni e tic vecchio stile, che dal cambio di governo.
La fine del gigantesco bluff a Cinque Stelle
Il tracollo elettorale dei Cinque Stelle era ampiamente prevedibile. Pur tuttavia il dato numerico è impressionante. In Emilia i Cinque Stelle sono passati dal 34% delle Politiche del 2018 al 4,7% (voto alla lista e 3,2% al candidato presidente), mentre in Calabria sono precipitati dal 44% del 2018 al 6,2%. Il responso delle urne ha testimoniato ulteriormente la fine del gigantesco bluff a Cinque Stelle, la cui incredibile durata è spiegabile solo con l’estrema crisi della politica e dei partiti e con la grande abilità manipolatrice della coppia Grillo-Casaleggio senior. Il più rilevante bluff della storia dell’Italia repubblicana è stato costruito sul mito terzaforzista del non essere di destra né di sinistra, usato per mixare temi di destra e di sinistra, mettendo in piedi quello che poteva essere un Comitato di cittadini benintenzionati a raggiungere alcuni obiettivi specifici (ridurre le spese della politica e le ruberie, difendere l’ambiente e l’acqua pubblica, eliminare i vitalizi dei parlamentari, cancellare la prescrizione dei reati ecc.). Solo che l’impresa impossibile è stata quella di costituire invece un partito monocratico e privatizzato, intenzionato a governare tramite la mutazione di cittadini di buona volontà, ma sprovveduti politicamente, in improvvisati e inattendibili statisti. Mettendo insieme una truppa ultra-raccogliticcia, subordinata ad un duopolio indiscutibile (Grillo e Casaleggio senior e poi junior), con personale raccolto dall’estrema destra all’estrema sinistra, non ci voleva molto a prevedere l’esplosione una volta giunti davvero a governare il Paese. La vicenda ha assunto caratteri grotteschi con il passaggio repentino dal governo con gli ex-nemici della Lega a quello con gli ancor più nemici del PD: ma in definitiva era evidente che il momento delle scelte sarebbe arrivato e, aggravato dall’inconsistenza politica dei conduttori, avrebbe prodotto una disgregazione della truppa parlamentare, alla quale la fuga tardiva di Di Maio, modello Schettino, ha solo messo il sigillo. Al momento, l’unica via percorribile per ciò che resta del M5s sembrerebbe l’ingresso nella coalizione di centrosinistra, ma questo significherebbe accettare pubblicamente la subordinazione al PD, probabilmente provocando una clamorosa scissione interna. In ogni caso le turbolenze della disgregazione del M5S influiranno non poco sul governo Conte, le cui sorti, consolidate dalla vittoria di Bonaccini, sono però messe a rischio dallo sbriciolamento dei grillini.
Ma il “popolaccio” non ha perso forza
Sarebbe grave errore trarre conclusioni affrettate dalla sconfitta di Salvini, illudendosi su un ridimensionamento degli orientamenti popolari nazional-sciovinisti, razzisti, xenofobi e securitari. Non uso, per dimostrare il persistere di tali orientamenti, il risultato della Calabria, perché non lo ritengo davvero significativo, per il contesto del tutto particolare, e perdente alla radice, della candidatura Calippo, sponsor alle elezioni di cinque anni fa del centrodestra, riesumato da Zingaretti dopo che aveva rinunciato alla candidatura per i Cinque Stelle e infine “ripudiato” da buona parte della sinistra locale, che non è andata a votare (con un tasso di astensione del 55%); nonché per i caratteri della vincitrice Santelli, rappresentante di una destra moderata berlusconiana, lontana dagli eccessi salviniani. Ma anche solo restando nel contesto emilian-romagnolo, vanno ricordati i seguenti dati:
Infine, mai dimenticare che l’Emilia Romagna era comunque il terreno più sfavorevole per la destra radicale. In sintesi, non ho dubbi che se si votasse oggi a livello nazionale, la destra vincerebbe e Salvini-Meloni supererebbero, anche da soli, il 40%.
Prospettive per un’opposizione radicale e a tutto campo
Data la rilevanza che la mobilitazione delle Sardine ha assunto e le centinaia di migliaia di persone coinvolte, dovendo delineare una prospettiva per una forte opposizione sociale, politica, sindacale e culturale contro il permanere di una maggioranza politica reale di destra con forti caratteri reazionari e liberticidi, ma al contempo anche contro il social-liberismo governativo di “sinistra”, è inevitabile partire proprio dai possibili sviluppi della mobilitazione sardinista. Se fino ad ora il gruppo promotore si è mosso con una certa abilità, non sarà facile che resista alle tentazioni incombenti, a partire dall’idea, surreale ma sponsorizzata da parecchie voci autorevoli, secondo la quale il PD dovrebbe sciogliersi e addirittura rifondarsi su basi sardiniste. Se comunque consideriamo le centinaia di migliaia di cittadini/e scesi in piazza, ci sono due cose che disperderebbero promettenti forze nascenti se si tentasse di perseguirle:
Questa possibile impasse chiama in causa le forze dell’attuale, frammentata sinistra antagonista, antiliberista, anticapitalista o radicale che dir si voglia. Sul piano elettorale, anche queste elezioni ne hanno fotografato l’assoluta, quasi grottesca, irrilevanza. In Calabria nessuno ha voluto metterci la faccia ma in Emilia Romagna si sono presentate ben tre liste di “sinistra-sinistra”, che per lo più hanno attaccato Bonaccini (messo sullo stesso piano dei leghisti) e le Sardine, con il bel risultato di racimolare in tre un po’ meno dell’1% . Al di là di queste figuracce, appare evidente che in una fase di rinnovata polarizzazione, in cui non c’è più posto manco per il terzaforzismo a Cinque Stelle, spazi elettorali a livello nazionale per una sinistra radicale non se ne vedono e a breve neanche a livello regionale. Ma se ragioniamo in termini di movimenti sociali o di mobilitazioni sindacali e politiche nel corpo vivo della società, allora l’improvvisa esplosione sardinista ci dovrebbe ricordare quante energie covano misconosciute tra i cittadini/e e attendono spesso l’occasione buona per manifestarsi. Verificheremo se la tela unitaria della coalizione degli Indivisibili e Solidali non è lacerata ed è anzi potenziabile. Ma in ogni caso, dovremmo tentare un dialogo con ciò che si muoverà nel territorio sardinista e nel contempo inviare ulteriori sollecitazioni a quei movimenti oramai piuttosto consolidati, come quello femminista, ecologista/climatista e dell’ambientalismo territoriale contro le Grandi Opere dannose e inutili. Alle quali forze – se si sarà finalmente capaci di liberarsi dalle storiche tare dell’auto-centratura, della presunta autosufficienza, della pretesa di egemonizzare gli altri imponendo i propri temi, se si riuscirà a vedersi come una parte del tutto e di intessere alleanze, che, senza alcuna reductio ad unum, potenzino la lotta comune – potrebbe spettare l’oneroso compito di far maturare in milioni di persone, dotate di spirito democratico, antirazzista, antifascista e antiautoritario (di cui le Sardine potrebbero aver costituito la prima grande emersione pubblica) anche una prospettiva di trasformazione positiva dell’esistente che sappia fare i conti non solo con la destra estrema ma anche con i disastri perpetrati dalla “sinistra” liberista.
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