No, tu no

Cosa c'è dietro la retorica dell'inclusione

photo credits: Rubén Bagüés

Tra le tante novità che hanno travolto la scuola negli ultimi anni registriamo anche quella dell’inclusione di cui trattiamo in questo articolo.

Il concetto di inclusione segue e sostituisce quelli di inserimento e di integrazione, che nel tempo hanno avuto corso tra i banchi di scuola. Una rapida carrellata dell’evoluzione di questo processo negli ultimi settant’anni non può omettere le seguenti tappe:

1947. Il MPI definisce la metodologia per costituire le classi differenziali.

1962. Nasce la Scuola media unica con le classi per gli alunni “disadattati”.

1969. Si liberalizzano gli accessi alle facoltà universitarie.

1977. La L. 517 introduce l’insegnante di sostegno.

1992. La L. 104 definisce i diritti sull’handicap.

1997. L’UNESCO introduce il concetto di BES con cui ci si riferisce a “tutti quei bambini e giovani i cui bisogni derivano da disabilità oppure difficoltà di apprendimento”.

2001. L’OMS pubblica l’ICF (International Classification of Functioning ovvero Classificazione Internazionale del Funzionamento).

Dunque il concetto di cercare di costruire una scuola che non esclude si origina da un continuo processo di adeguamento; il che dimostra che si tratta di una concezione variabile nel tempo frutto della temperie culturale, sociale e politica.

Un progetto complessivo

Sull’inclusione si insiste molto nei percorsi formativi universitari e nella formazione dei docenti. L’origine di ciò sta nelle pressioni fatte da organismi europei e mondiali, attraverso numerosi documenti, tra i quali ricordiamo:

  • Conferenza di Salamanca sui Bisogni Educativi Speciali (UNESCO, 1994): è il manifesto della scuola inclusiva.
  • SEN Code of Practices (DfES, 1994 e 2001).
  • Disability and Discrimination Act (1995)
  • Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente della Commissione della

Comunità Europea (2000) .

  • Documento UNESCO sull’inclusione del 2002.
  • Dichiarazione di Madrid (2003).
  • Convenzione ONU sui Diritti delle persone con Disabilità (2006).
  • 48ª Conferenza Internazionale sull’Educazione dell’UNESCO “Inclusive Education: the way of the future” (2008),
  • Linee Guida per le Politiche di Integrazione nell’Istruzione (2009) dell’UNESCO

Se ricordiamo che molti dei nefasti cambiamenti degli ultimi decenni della scuola italiana (mercificazione del sapere, introduzione acritica delle tecnologie informatiche, didattica per competenze ecc.) sono avvenuti con le stesse modalità (organismi europei e planetari che indirizzano le politiche scolastiche e parlamenti nazionali che li rendono operativi), comprendiamo che siamo di fronte a un piano complessivo di trasformazione dell’istruzione attraverso vari tasselli aventi lo stesso scopo.

Inclusione e personalizzazione

Il concetto di inclusione viene legato a quello di personalizzazione, partendo dal presupposto che ogni allievo è una unicità per stili di apprendimento, per provenienza, per capacità relazionali ed emotive. Ecco come il pedagogista Massimo Baldacci spiega la differenza tra i due concetti: «Individualizzazione si riferisce alle strategie didattiche che mirano ad assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, attraverso una diversificazione dei percorsi di insegnamento.
Personalizzazione indica invece le strategie didattiche finalizzate a garantire a ogni studente una propria forma di eccellenza cognitiva, attraverso possibilità elettive di coltivare le proprie potenzialità intellettive (capacità spiccata rispetto ad altre/punto di forza).

In altre parole, la personalizzazione ha lo scopo di far sì che ognuno sviluppi propri personali talenti; nella prima gli obiettivi sono comuni per tutti, nella seconda l’obiettivo è diverso per ciascuno (pluralità di percorsi formativi/piste indirizzate verso destinazioni differenti, possibilità di scelta da parte dell’alunno, grado di consapevolezza circa il proprio profilo di abilità, realizzazione di un adeguato contesto didattico)», (“Individualizzazione”, da Voci della scuola, a c. di G. Cerini e M. Spinosi, “Notizie della Scuola”, Tecnodid, 2003).

Prosa e contenuti evocano i documenti del MIUR, che in sostanza decretano il passaggio dal concetto di integrazione, considerata come atto del condurre l’alunno marginalizzato alla normalità, intesa come media delle prestazioni, all’inclusione intesa come sviluppo del potenziale umano per alunni con DSA, diversabili e poveri, in special modo, ma in generale indirizzata a tutti.

Le proposte istituzionali e la realtà
Il quadro teorico sommariamente riportato si è tradotto in diverse indicazioni del MIUR (ripetute come litanie nelle scuole) centrate sull’adattabilità del sistema scolastico alle esigenze degli alunni, il che è difficilissimo da realizzare in un contesto pienissimo di contraddizioni. Vediamone qualche aspetto in dettaglio, mettendo a confronto nella tabella che segue alcuni principi della pratica inclusiva e la realtà delle nostre scuole.

 

FONDAMENTI DELL’INCLUSIONE

PREDICATI DAL MIUR

REALTÀ
Sinergia di tutti gli attori scolastici
  • Competitività: staff di presidenza, bonus, regalie ai dipendenti che dicono sempre sì ai DS.
  • Patetiche performance dei sostenitori della valutazione del merito… degli altri: il MIUR verso i DS, i DS verso i docenti, i docenti verso gli allievi.
Modello pedagogico basato su percorsi flessibili per rispondere ai bisogni di tutti
  • Rigidità del sistema scolastico, sempre più burocratizzato: proliferazione di circolari, aumento della produzione scritta per i docenti.
  • Lavoro dei docenti sempre meno mirato al perfezionamento dei processi di insegnamento/apprendimento e naufragato in una pletora di mansioni autoreferenziali e sostanzialmente inutili.
Spostamento dell’attenzione dall’insegnamento all’apprendimento per cogliere la pluralità dei soggetti (ciascuno con un proprio stile di apprendimento) più che l’unicità-docente.
  • Classi pollaio
  • Quiz INVALSI
  • Prove parallele uguali per tutti
  • Pratica ossessiva della valutazione
Differenziazioni delle metodologie didattiche: laboratori, metacognizioni, problematizzazioni, tutoraggio, TIC ecc.
  • Pensiero unico dell’innovazione tecnologica. Milioni di euro spesi a solo beneficio dei produttori informatici.
  • Fiducia smisurata nella priorità delle metodologie sulla sostanza degli apprendimenti.
  • Fine di molte esperienze in compresenza (Educazione tecnica, maestra unica ecc.)
Ristrutturazione dello spazio classe Edifici e arredi quasi sempre inadeguati
Considerare l’alunno nella sua globalità e nel suo multidimensionale sistema di relazioni. Valutazione per competenze, che privilegia la spendibilità e la mercificazione di quanto appreso rispetto alla trasferibilità e alla creatività
Realizzazione di un progetto di vita, come bisogno di vivere, di trovare un senso all’esistenza – ASL stracciona, dequalificante

– Diffusione di progetti di lavoro, di logica d’impresa, di imprenditorialità individuale per la scuola media e primaria.

Il tutto finalizzato alla formazione di sudditi, di lavoratori poco qualificati, ultraflessibili, che non possano e non riescano a ribellarsi

 

Insomma, siamo di fronte a discorsi imbellettati che intendono coprire una realtà fatta sempre più di alunni poveri, di famiglie che non possono comprare i libri di testo ai figli, di strutture scolastiche inadeguate ecc.

Che fare?
Difficile riuscire a muoversi contro la forte corrente innovatista che ci sta travolgendo ma qualcosa da fare ci sentiamo di proporla: sicuramente non risolveremmo tutti i problemi di inclusione ma di sicuro renderemmo la scuola più vivibile e funzionale per chi ci studia e ci lavora.

Intanto, ogni docente singolarmente può lavorare sulla motivazione allo studio, facendo risaltare aspetti come:

 

  • Fattori della mobilità sociale ieri e oggi; magari motiva poco allo studio ma fa acquisire consapevolezza della nostra società.
  • Lo studio come strumento per interpretare meglio la realtà in cui si vive ed è più facile evitare di farsi gabbare.
  • Si vive più a lungo se si è più colti e, in genere si vive meglio: ciò è dimostrato da diverse ricerche.

Non possiamo, però accontentarci di fare del nostro meglio in classe, nonostante il disastro presente oltre la porta dell’aula ma occorre impegnarsi collettivamente. Il percorso da intraprendere è quello di battersi per l’azzeramento di tutte le prospettive, le scelte e le norme adottate in questi vent’anni e ricominciare da capo seguendo un’altra rotta. Per capire qual è la direzione giusta, basta fare il contrario di quel che si è fatto sinora. A titolo d’esempio:

  • intendere la cultura come coscienza critica e dialettica e non come competenze professionali per trainare il turismo e mercificare ambiente e paesaggio;
  • intendere e praticare la democrazia come effettiva istanza egualitaria e partecipativa e non come demagogia demoscopica;
  • investire massicciamente sulla scuola;
  • ritornare a una scuola della cooperazione e non della competitività e dell’individualismo;
  • ritornare a una scuola liberata da miriadi di progetti, staff di presidenza, figure di sistema;
  • abolire i voti in tutti i gradi di scuola;
  • abolire l’INVALSI e valutare in modo ragionevole ciò che si è fatto e non fare ciò che qualcuno vuole valutare;
  • riportare l’aggiornamento ad opportunità di riflessione e crescita cooperativa e non di spesa individuale per il business della formazione;
  • evitare di stravolgere la classe ma far funzionare una pluralità di ambienti operativi funzionali all’apprendimento;
  • ricondurre le tecnologie informatiche al loro ruolo naturale di strumenti;
  • migliorare la qualità degli insegnanti tutti piuttosto che indurre rastrellamenti dei migliori;
  • abolire l’alternanza scuola-lavoro e riaffidare alla scuola il compito di preparare a una cultura critica del lavoro e della realtà;
  • consolidare l’esperienza della scuola italiana di inserimento delle disabilità nei contesti scolastici senza limitazioni ed evitare di categorizzare ogni forma di disagio e di difficoltà, protocollandone gli interventi.