photo credits: Ashton Emanuel
Sono state numerosissime le iniziative pubbliche che, nel corso di quest’anno, hanno ricordato il centenario dalla morte di Rosa Luxemburg, uccisa dalle milizie volontarie dei Freikorps nella notte tra il 15 e il 16 Gennaio del 1919, e celebrato il suo magistero teorico e di pratica politica. Questo perché nello studio della vita e delle opere di Rosa Luxemburg è possibile rintracciare alcune piste di lettura in grado di parlare ai problemi del presente. Già dalle note biografiche è forte la tentazione di riconoscersi nella rivoluzionaria polacca per la sua coerenza etica: profuga, nomade e ebrea, considera il movimento dei lavoratori come un soggetto di massa artefice, almeno potenzialmente, di forme di vita radicalmente alternative a quelle del capitalismo. Della generazione successiva a quella di chi ha conosciuto Marx e Engels, come Wilhelm Liebknecht, Kautsky e August Bebel, vive la stagione dell’imperialismo fino alla tragedia della prima guerra mondiale e la rivoluzione del gennaio del 1919.
C’è chi ha sostenuto che i suoi scritti possono essere adeguatamente compresi solo alla luce dei suoi interessi di critica dell’economia politica riguardanti lo sviluppo del capitalismo, la dinamica dell’accumulazione e l’inarrestabile espansione del mercato mondiale. Nell’analisi dell’accumulazione del capitale emerge la ricerca di un fuori non capitalistico da intendere in una dimensione che non è solo spaziale e orizzontale ma anche verticale e che coinvolge l’umano in tutti i suoi aspetti. Non solo il conflitto tra capitale e lavoro ma anche la sussunzione e la mercificazione globale, del genere umano e della natura. Oggi gli specialisti parlerebbero di colonizzazione capitalistica dell’immaginario, in grado di determinare una profonda e oscura mutazione antropologica. Da qui la caparbia convinzione che il capitale è incompatibile con la vita e la conseguente conclusione che non può non darsi l’alternativa tra socialismo o barbarie.
Di fronte alla catastrofe della guerra, della violenza e della barbarie capitalistica la Luxemburg elabora una complessa strategia di resistenza e di controffensiva che si radica nell’autorganizzazione dal basso da parte dei consigli e nella convinzione che la democrazia non si esaurisce in elezioni occasionali ma è azione diretta delle masse. Alla vigilia della sua morte Rosa Luxemburg scrive che “nelle rivoluzioni borghesi, spargimento di sangue, terrore e assassinio politico sono stati le armi indispensabili alla classe in ascesa. La rivoluzione proletaria non ha bisogno del terrore per raggiungere i suoi obiettivi. Odia e aborre l’assassinio. Non ha bisogno di questi strumenti, perché lotta non contro gli individui, ma contro le istituzioni, perché non scende in campo con ingenue illusioni da vendicare con il sangue allorquando vengano deluse. Non è il tentativo disperato di una minoranza che con la violenza vuole modellare il mondo secondo le sue idee, ma l’azione di milioni di proletari che, chiamati ad assolvere al loro compito storico, trasformano la necessità storica in realtà” (Rosa Luxemburg, Che cosa vuole la Lega di Spartaco in Rote Fahne 14.12.1918).
Conquistare al socialismo le teste
Per realizzare tutto questo è necessario il cambiamento della testa delle persone: conquistare al socialismo le teste, sostiene la rivoluzionaria di Zamosc, ossia favorire la presa di coscienza degli oppressi e l’assunzione di responsabilità degli sfruttati. In questa direzione un ruolo determinante è svolto dalla sua attività di insegnamento presso la scuola di partito aperta nel 1906 a Berlino dalla Socialdemocrazia tedesca. A Rosa Luxemburg venne affidato, nel 1907, il corso di economia politica, con l’introduzione alle dottrine economiche di Karl Marx. Paul Frölich, nella sua monografia dedicata a Rosa Luxemburg, racconta, in pagine di rara bellezza, del talento pedagogico della rivoluzionaria polacca, intenta a fare emergere l’idea che il sapere deve favorire l’unione armonica di esperienza esistenziale e politica, teoria e pratica, sapere e vita. Scrive l’autore della biografia: “fino dalla prima ora la Luxemburg stabiliva un contatto diretto con gli allievi. Non stava in cattedra e non dava dei risultati bell’e fatti. Costringeva gli allievi a elaborarsi da soli le conoscenze. (…) Durante l’intero corso la Luxemburg limitava al minimo indispensabile il materiale scientifico che doveva dare. Attingeva a quelle conoscenze e rappresentazioni che erano già presenti nella testa degli allievi e mediante obiezioni e interrogativi le sottoponeva a un esame sempre più approfondito fino a fare emergere la vera immagine vivente delle cose. Il processo di pensiero vero e proprio era prima di tutto compito degli allievi medesimi. E con questo non è che si occupasse solo degli individui più dotati. Teneva sempre desta l’attenzione di tutti. (…) Così creava un’atmosfera carica di tensione in cui le facoltà intellettuali di ciascuno potevano svilupparsi e gli allievi venivano posti in uno stato d’animo estremamente favorevole alla creatività e all’emulazione. Dopo un simile esercizio intellettuale gli allievi si trovavano con loro sorpresa di fronte a conoscenze nuove, chiare e precise che non erano state impartite dall’esterno, non apparivano semplicemente luminose come dei teoremi nuovi, ma costituivano un patrimonio conquistato personalmente. (…) Quanto più era superiore ai suoi allievi per le sue conoscenze, per la forza del suo pensiero, per la sua personalità, tanto più questa disparità veniva cancellata nel lavoro comune in modo che nessuno si sentisse oppresso, che anzi nessuno sentisse la superiorità, salvo a rendersene conto quando la lezione era finita e l’incantesimo era rotto.”(P. Frölich, Rosa Luxemburg, La Nuova Italia, 1969, pp.179-181).
Un approccio alla trasmissione del sapere che evoca il magistero socratico, la capacità di sviluppare, attraverso la relazione dialogica, maieuticamente, la creazione di un sapere critico, autonomo e non eterodiretto. Un sapere svincolato dai pesanti gravami di nozioni da imparare mnemonicamente ma frutto di un processo di feconda elaborazione interiore in cui il protagonista è innanzitutto il discente. Anzi, sarebbe meglio dire i discenti, visto e considerato che a rafforzare la costruzione del sapere interviene la condivisione del lavoro comune nel quale disparisce la relazione gerarchica par fare posto ad un’orizzontalità dialettica nella quale viene riconosciuta esclusivamente l’autorevolezza e lo spessore intellettuale e morale della rivoluzionaria polacca.
E tuttavia, il talento pedagogico di Rosa Luxemburg va inteso adeguatamente. È improbabile infatti che si possa rintracciare nell’attività di insegnamento alla scuola di partito il risultato di una teoria pedagogica precedentemente sistematizzata e codificata. Ma non importa. Infatti, ci sono qua e là, nei testi della Luxemburg, spunti che rimandano inequivocabilmente a forme di produzione e trasmissione del sapere che vanno nella direzione di una liberazione che coinvolge il personale nel suo vissuto quotidiano: l’unione armonica di vita e politica, di teoria e pratica, di pensiero e azione, la critica al nozionismo, la necessità di partire dall’esperienza concreta, di dichiarare il proprio sapere situato e posizionato, il rifiuto del rapporto autoritario docente/discente, capo/semplice militante. Senza dimenticare il fatto che dall’attività di insegnamento nella scuola di partito usciranno due dei testi più importanti di Rosa Luxemburg, la Introduzione all’economia politica e l’Accumulazione del capitale, a testimonianza del fatto che l’attività di insegnamento, oltre a essere proficua per gli allievi, può avere un potente e positivo effetto retroattivo anche sulla riflessione teorica della docente.
Un’immagine del mondo: la catastrofe
È vero, Rosa Luxemburg ci consegna un’immagine del mondo che potrebbe essere condensata in una parola: catastrofe. L’esito del processo di accumulazione è la crisi, anche se essa non implica alcun finalismo necessario. Allo scoppio del primo conflitto mondiale sarà tra i pochi a denunciare la sciagurata scelta della Socialdemocrazia di votare i crediti di guerra e assumerà con forza una posizione antimilitarista contro la guerra e la violenza. Anche sotto questo rispetto la convinzione che la rivoluzione comporta un ritmo processuale, in costante divenire, si nutre del presupposto che i soggetti collettivi abbisognano di un percorso di costante autoapprendimento collettivo.
E stato detto che Rosa Luxemburg rappresenterebbe un problema psicologico, a causa del suo sentimentalismo filantropico come risultante di una scissione decadentistica. Chi scrive pensa, piuttosto, all’esperienza teorica e pratica della rivoluzionaria spartachista come a un’inesauribile e sconfinata risorsa. Una lottatrice contro il suo tempo, che combatte instancabilmente senza mai arrendersi. In una lettera a Kautsky arriverà a scrivere che “il pubblico sente sempre lo stato d’animo dei combattenti e la gioia di combattere dà alla polemica un suono limpido ed una superiorità morale” (Rosa Luxemburg, Lettere ai Kautsky, a cura di Lelio Basso, Editori Riuniti, p. 123). Per l’appunto maestra di polemica, così è stata definita la Luxemburg, a rappresentare il suo pervicace esercizio di trasparenza della parola e dell’esperienza come unica funzione guerriera di una donna che desidera disarmare con la parola e in grado di vivere attivamente una politica di relazione (S. Ricciardelli e N. Nappo, Lettere pubbliche e private di Rosa Luxemburg, destinata ad essere custode d’oche in I. Barbarossa, S. Ricciardelli, La Rosa e le spine, Atti del seminario internazionale su Rosa Luxemburg, Napoli, 4.12.2004, Edizioni Punto Rosso, 2005, p. 70). Ecco perché il suo comunismo si nutre della gioia e della meraviglia per il mondo e per l’altro. È il sentimento del sentirsi parte di una bellezza e di un’armonia superiori.
È ancora Paul Frölich a ricordare questa dirittura etica e a testimoniare questo rigore morale: “Rosa Luxemburg inculcava profondamente nei suoi allievi il disprezzo per le approssimazioni scientifiche e per la viltà nel campo del pensiero, e li spingeva al rispetto e all’entusiasmo per ogni impresa scientifica. Il lavoro comune non rappresentava per gli alunni solamente un profitto intellettuale, ma anche un arricchimento morale. (…) Conquistava gli uomini e li riempiva di concetti marxisti in tutta la loro ricchezza, e della volontà di combattere per la realizzazione di questi concetti.” (P. Frölich, Rosa Luxemburg, La Nuova Italia, 1969, p. 181). Il rigore critico, dunque, come strumento di trasformazione, per dichiarare inconcluso il mondo e per aprirlo alla possibilità di altri scenari di vita comune.
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