La nave va

Come procede il percorso unitario contro la regionalizzazione dell'istruzione

Dallo sciopero unitario del 5 maggio 2015, quando l’intera scuola è scesa in piazza contro la legge 107/2015, non c’erano più stati momenti di condivisione tra i sindacati e le associazioni che si sono opposti ad una delle più contestate leggi sull’intero sistema scolastico. L’Appello unitario per fermare la regionalizzazione del sistema di istruzione (che pubblichiamo alla pagina seguente) sembra, però, aver rotto il silenzio e, per la verità, in quest’occasione ci sono stati momenti di condivisone e confronto che nella precedente occasione non c’erano stati, visto che si era avuta solo la convergenza su una data, senza un percorso unitario. La diversità dei punti di vista rimane tutta e, a guardare le bozze che hanno accompagnato il percorso per la costruzione dell’Appello unitario, si capisce bene qual è la distanza tra le posizioni, la diversa valutazione sui motivi che sono alla base dell’attuale regionalizzazione del sistema di istruzione (e non solo), a partire dalle responsabilità politiche dei governi che si sono succeduti e che sono stati in perfetta continuità d’intenti in materia di politica scolastica, passando per l’Autonomia scolastica e per la legge di parità, sino ad arrivare alla riforma del Titolo v della Costituzione che, all’art 116, comma 3, conferisce alle regioni competenza anche in materia di norme generali dell’istruzione.

 

Le radici della regionalizzazione

Per noi, infatti, la regionalizzazione è in continuità con il modello di scuola aziendalistica introdotta dal 1997 da Berlinguer (autonomia e competitività sono l’elemento centrale anche dell’autonomia differenziata delle regioni), ma lo sono anche le politiche di questo governo, sia con le dichiarazioni del ministro Bussetti che in un’intervista rilasciata al Corriere della sera, definisce la regionalizzazione “un’opportunità”, sia con l’esplicito riferimento, nel documento economico finanziario del 2019, alla necessità di dare piena attuazione al passaggio alle regioni a statuto ordinario di alcuni servizi erogati sino ad ora dallo Stato, ovverossia istruzione e sanità. Ma non è così, invece, per le organizzazioni sindacali maggioritarie che pur utilizzando ormai termini come “aziendalizzazione” e “istruzione merce”, coniati da noi già nel lontano 1997, non vogliono collegare l’autonomia al percorso che ha portato a tale mercificazione, perché sostengono (ben sapendo che così non è) che questo sia stato un cambiamento dei governi successivi rispetto a quanto era stato prospettato precedentemente. Per questo non ci stupiamo per il fatto che oltre alle regioni amministrate dalla Lega, anche quelle che fanno (o facevano) riferimento al PD, utilizzano l’art. 116, comma 3, del nuovo Titolo v della Costituzione, come cornice costituzionale per de-istituzionalizzare il sistema scolastico italiano. Ciononostante, sono stati fatti alcuni passi in avanti nell’interlocuzione stabilitasi tra organizzazioni e associazioni e nel confronto sono state trovate delle mediazioni che ci hanno permesso di inserire nel testo solo ciò su cui eravamo d’accordo e non i punti che avrebbero potuto creare frizioni tra le parti, nella reciproca libertà, ovviamente, di costruire iniziative autonome nelle quali portare avanti proprie analisi, proposte e critiche anche non condivise dagli altri. Si è ottenuto, comunque, il riconoscimento, almeno in due punti del testo, dell’obiettivo della mobilitazione: “È un appello alla mobilitazione rivolto al mondo della scuola e alla società civile per fermare un disegno politico disgregatore dell’unità e della coesione sociale del Paese”. “Di fronte ai pericoli della strada intrapresa, intendiamo mobilitarci, a partire dal mondo della scuola”. E questo è un elemento importante per cercare, insieme, di coinvolgere i lavoratori/trici della scuola, docenti ed ATA a mobilitarsi concretamente per la realizzazione di uno sciopero unitario.

 

Le competenze che potrebbero essere trasferite

Sappiamo tutte/i quale sia il pericolo insito nella regionalizzazione dell’istruzione, visto tutte le materie oggi proprie dello Stato in merito all’istruzione che sarebbero trasferite alle regioni: finalità, funzioni e organizzazione del sistema educativo di istruzione e formazione; valutazione degli studenti (INVALSI) con indicatori territoriali specifici; programmazione di percorsi di alternanza scuola-lavoro e formazione dei docenti; contratti regionali integrativi per il personale; programmazione formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; definizione del fabbisogno regionale del personale e sua distribuzione nelle istituzioni scolastiche; specifici criteri per il riconoscimento della parità scolastica e dei finanziamenti; organi collegiali e loro funzionamento; istruzione degli adulti; istruzione tecnica superiore; costituzione e disciplina di un fondo pluriennale per l’università; trasferimento delle risorse umane e finanziarie dell’USR e Ambiti Territoriali alla regione; procedure concorsuali regionali con ruolo regionale; definizione della percentuale del personale che si può trasferire dalle altre regioni, esclusi i dirigenti scolastici; applicazione della disciplina del personale iscritto con ruolo regionale ai docenti non abilitati.

 

Le mobilitazioni

Il percorso appena intrapreso sta, invece, già registrando riscontri positivi un po’ ovunque in categoria e questo è importante per tutti, per noi come per i maggioritari, visto che al di là di qualche fiammata estemporanea e localizzata, la scuola sino ad ora appare muta, mentre l’intento comune, esplicitato nelle riunioni unitarie dei promotori, è proprio quello di far partire le iniziative nelle scuole e sui territori. Le scuole vanno coinvolte a tutto tondo: con la presentazione nei Collegi dei docenti del testo dell’appello con una scheda per la raccolta firme, con assemblee congiunte con le RSU in modo da acquisire anche le firme del personale ATA, con banchetti di raccolta (che potranno svolgersi sia fuori dalle scuole durante la settimana, coinvolgendo così anche i genitori, sia nei fine settimana di fronte a librerie, cinema, teatri, supermercati ecc.). Per i territori bisognerebbe cominciare innanzitutto dalle regioni interessate, Lombardia, veneto ed Emilia Romagna ma, tra queste, è l’Emilia ad essere al momento il territorio più interessante, visto che è già ora in palese contraddizione nell’avallare la regionalizzazione del sistema scolastico ed è anche la più a rischio, perché tra novembre e dicembre si terranno le elezioni regionali e il centro sinistra rischia di perdere una sua storica piazzaforte. L’Emilia, peraltro, sostiene una propria presunta diversità rispetto alle altre regioni, perché la regionalizzazione emiliana si “limiterebbe”, secondo i promotori, all’istruzione tecnico professionale, lasciando i segmenti restanti allo Stato (d’altra parte cosa se ne farebbero di scuole che non hanno laboratori attrezzati e mediamente funzionanti, come quelli, appunto, dell’istruzione tecnico-professionale statale, con i quali far finalmente funzionare la formazione professionale regionale, sulla quale l’Emilia ha sempre puntato). Per questo nelle valutazioni su come costruire una mobilitazione diffusa e partecipata, si sta valutando l’opportunità di svolgere una serie di assemblee unitarie coinvolgendo anche i costituzionalisti visto che c’è un nodo costituzionale che riguarda il Titolo v, in quanto i principi degli artt. 33 e 34 della Costituzione delineano l’assetto dell’ordinamento costituzionale in attuazione del principio di uguaglianza – che dovrebbe essere il cardine della nostra democrazia – mentre, pur se in linea con quanto accaduto in questi ultimi vent’anni, tali principi vengono costantemente e palesemente violati da una legislazione che affida alle regioni competenze proprie dello Stato. I principi della Costituzione non possono, infatti, essere derogati attraverso leggi ordinarie o norme costituzionali, perché come la Corte Costituzionale ha affermato “i principi supremi dell’ordinamento costituzionale hanno una valenza superiore alle altre norme di rango costituzionale” e quindi non possono essere derogati da leggi ordinarie, “ma nemmeno da altre norme costituzionali e/o leggi attuativi dei trattati internazionali”. Quindi il principio di uguaglianza, essendo l’uguaglianza la precondizione della nostra democrazia, è un principio supremo del nostro ordinamento costituzionale. Quindi tutte le altre norme ordinarie e/o costituzionali devono essere interpretate sulla base di tale principio. È per questo che, di fronte ad un attacco di tale sorta, occorre trovare alleanze che permettano alla scuola di opporsi a tale disegno, coinvolgendo tutte le forze disponibili che non intendono retrocedere rispetto ai diritti sanciti da una Costituzione che appare oggi bersaglio di quelle forze reazionarie che cercano surrettiziamente di dividere gli Italiani su quei principi che sino ad oggi hanno invece costituito la sostanza della nostra unità ritrovata dopo l’oscura parentesi della dittatura fascista.