La ripresa delle lezioni nell’autunno 2017 avviene dopo due anni complessi e tormentati che hanno inciso pesantemente sulle condizioni della scuola pubblica e dei suoi lavoratori/trici. Nella primavera-estate 2015 la scuola è stata scossa da una protesta di amplissime dimensioni, seconda solo all’insorgenza Cobas del 1987-88 e al conflitto contro il “concorsaccio” berlingueriano del 2000. La Legge 107/2015, promossa dal governo Renzi, fu contestata da centinaia di migliaia di docenti ed ATA con uno sciopero generale (5 maggio) con partecipazione record (intorno al 70%), manifestazioni per mesi e uno sciopero degli scrutini con adesioni notevoli. La L. 107, esiziale punto d’arrivo delle trasformazioni della scuola avviate un ventennio prima dal ministro Berlinguer e dal centrosinistra prodiano, venne approvata solo grazie a due eventi concomitanti: a) il massimo fulgore dell’egemonia di Renzi che convinse il governo a forzare la mano; b) l’isolamento dei difensori della scuola pubblica, che non poterono contare sull’opposizione parlamentare (tranne alcune “comparsate” dei Cinque Stelle) né su settori sociali che pure avrebbero dovuto avere a cuore le sorti della scuola pubblica.
Di per sé, quella sconfitta, peraltro onorevole, non sarebbe stata distruttiva: lo è stato però ciò che è accaduto nell’anno scolastico successivo. Innanzitutto la passività, già nell’autunno 2015, di gran parte dei protagonisti della ribellione, certo influenzata pesantemente dal ritiro dei Cinque sindacati monopolisti (Cgil-Cisl-Uil, Snals e Gilda), inseritisi nella protesta per non lasciare campo libero ai Cobas: una resa così dilagante da far pensare che, per la maggioranza dei docenti ed ATA, la L. 107 non fosse davvero traumatica se la sua approvazione bastava per ridurre al minimo la resistenza. Che l’ostilità alla legge non fosse così radicale come pensavamo, ce lo ha poi dimostrato l’insuccesso della raccolta referendaria: occasione, quella dei 4 referendum contro la L. 107, che si è poi dimostrata ancora più rilevante del previsto, dato che i referendum si sarebbero svolti dopo la lunga serie di sconfitte del renzismo, culminate con il NO alla riforma costituzionale: e basti vedere il cedimento governativo nei confronti dei referendum sul lavoro per essere certi che avremmo potuto cancellare per via referendaria il peggio della L. 107.
Sulla sconfitta hanno pesato molti fattori, tra cui il limitatissimo impegno di oltre la metà della FLC, quello irrilevante della Gilda e la liquefazione di tanti comitati locali e presunte reti nazionali, tanto straripanti sui social quanto inconsistenti nella presenza reale sui territori. Ma resta un dato non occultabile: circa i tre quarti dei docenti ed ATA non sono neanche andati a firmare. Passività, superficialità, assenza di vera ostilità nei confronti della 107 o addirittura tacito sostegno ad essa da parte di una categoria in maggioranza oramai priva della consapevolezza del proprio ruolo, adattatasi alla nuova funzione di lavoratori/trici mentali tuttofare, di manovali intellettuali flessibili, complici dell’immiserimento materiale e culturale della scuola pubblica? Interrogativi ancora aperti ora, ad un anno da quella sconfitta, a cui abbiamo cercato di porre argine negli ultimi mesi, facendo resistenza agli strapoteri dei presidi, al truffaldino bonus per sedicenti “migliori”, alla chiamata diretta dei docenti da parte dei capi di istituto, alla grottesca Alternanza scuola-lavoro, alla scuola quizzarola dell’Invalsi, al conflitto tra stabili e precari, tra vecchi e nuovi arrivati, intorno agli orari di cattedra e di potenziamento; e all’emarginazione profonda degli ATA, sempre più vessati e indifesi, senza strumenti per difendersi dagli abusi quotidiani.
Se andiamo a vedere i risultati di questo ultimo anno di resistenza e di lotta, forse le ombre prevalgono sulle luci: ma queste ultime non vanno minimizzate. Più oscurità che chiarezza, certamente, nei conflitti sul bonus per i sedicenti “migliori”: su questo tema si sta esercitando quella parte della categoria che si presenta come una sorta di aristocrazia docente. Solo che, a differenza della “aristocrazia operaia”, non si tratta di lavoratori/trici più qualificati, specializzati, esperti o capaci: anzi, in gran parte si tratta di docenti che fuggono dall’insegnamento e si dedicano a vacui “progettifici” o al controllo degli altri insegnanti, garantendo ai presidi – e per questo vengono premiati – collaborazionismo e sudditanza alle mutevoli esigenze aziendaliste.
Però, permane anche una diffusa passività sul tema, una non-voglia di conflitti, anche grazie alla tattica di tanti presidi che distribuiscono qualche mancetta – umiliante se si pensi ad esempio che la media dei bonus in un ampio campione di scuole romane oscilla sui 300 euro annui lordi – al maggior numero di persone. Forse i conflitti sul tema aumenteranno via via che la piramide distributiva si restringerà e a prendere i soldi “veri” – cosa che già avviene in molte scuole – sarà non più del 10% della categoria: per il momento però la passività è stata maggioritaria. E persino di più lo è stata sull’Alternanza scuola-lavoro, malgrado il diffondersi di “alternanze” ridotte alla più insultante e inutile manovalanza in pseudo-attività che servono alle scuole per far credere agli “utenti” che facilitino l’immissione nel “mondo del lavoro” e alle aziende per sperare di ottenere facilitazioni dalle strutture istituzionali o qualche “business” dalle scuole stesse. È davvero preoccupante come pochissimi docenti, studenti e famiglie si siano finora ribellati a questa pratica degradante, che dovrebbe essere vissuta come umiliante in particolare dagli insegnanti per il fatto che tanti studenti, pur di scappare dalle loro lezioni, accettano le più stupide performances pseudo-lavorative. Per ribaltare questo assurdo vagabondaggio aziendalista, abbiamo programmato una intensa campagna autunnale, richiedendo, come già nel quesito referendario, il ritorno alla libertà per le singole scuole di decidere se effettuare l’Alternanza (però davvero seria e svolta in ambienti adatti) e in che misura.
Dove invece le luci prevalgono, è sulla confortante reazione alla chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi. In centinaia di scuole, grazie anche all’interessata collaborazione di tanti presidi in conflitto con il MIUR per ottenere più soldi e più potere ma anche di altrettanti consapevoli dei rischi di una scelta passibile di denunce di clientelismo e familismo, la mozione Cobas che respingeva la “chiamata diretta” ha conquistato nettissime maggioranze nei Collegi ed ha trainato la decisione generalizzata dei presidi di seppellirla per questo anno, aprendo la porta ad una lotta intensa per la sua cancellazione definitiva. E se teniamo conto che abbiamo sempre denunciato l’assunzione diretta dei docenti come il vulnus più potente per la scuola pubblica, questa prima vittoria ci infonde fiducia nella possibilità di invertire il processo disgregante della L. 107. Bisognerà, però, calibrare bene la difesa di una buona istruzione pubblica con quella degli interessi immediati di lavoratori/trici magari “disattenti” rispetto ad esempio agli effetti negativi dell’insegnamento quizzarolo dell’Invalsi o dell’Alternanza ma attenti a tutto ciò che possa peggiorare la propria condizione lavorativa materiale, come la “chiamata diretta” o la divisione del lavoro tra cattedra e potenziamento o negative modifiche del proprio orario ecc.
Non a caso, nello scorso anno scolastico, gli ATA, che subiscono le peggiori condizioni salariali, d’orario e di lavoro, hanno scioperato molto più dei docenti (addirittura il triplo, in alcune occasioni e in molte regioni).
Infine, incombono due appuntamenti importanti: il rinnovo delle RSU e quello del contratto di lavoro. L’ultima elezione delle RSU si è svolta a marzo 2015 e dunque il rinnovo dovrebbe avvenire a marzo 2018. Non siamo mai stati fan delle RSU, anzi abbiamo considerata negativa la trattativa aziendalistica nelle scuole; ma abbiamo visto fin dall’inizio nelle RSU l’unico strumento, seppur limitato, di difesa sindacale per coloro che non vogliano sottostare alla scuola-azienda, ai superpoteri dei presidi e all’illegalità quotidiana negli istituti. E tanto più oggi, di fronte all’ingigantimento del ruolo autoritario dei capi di istituto, riteniamo che venire eletti/e nelle RSU costituisca comunque una difesa di fronte agli abusi, oltre che uno strumento Cobas per poter operare efficacemente nelle singole scuole. Per questo, ci impegneremo al massimo per far eleggere il maggior numero di RSU Cobas. In più, apriremo un conflitto molto importante sulla rappresentanza sindacale: mentre Lor Signori vorrebbero toglierci persino il diritto di sciopero (che, lo ricordiamo, è un diritto individuale, non delle organizzazioni), noi, nel corso della campagna elettorale, denunceremo come nella scuola – e in tutto il Pubblico Impiego e nel Lavoro privato – non si è mai voluto verificare con elezioni quali siano i sindacati davvero rappresentativi. Dunque, ci batteremo affinché, insieme alla scheda per la RSU di scuola, venga data ai lavoratori/trici una seconda scheda per votare a livello nazionale il proprio sindacato preferito, per valutare chi davvero è rappresentativo, tenendo presente che nell’ultima occasione di voto nazionale (per il CSPI, ma non valido per la rappresentatività) nel 2015 superammo agevolmente la soglia del 5%, quota da raggiungere per essere considerati rappresentativi.
In quanto, infine, al rinnovo contrattuale, annunciato per l’autunno, è già chiaro che, in cambio di pochi spiccioli, i Cinque sindacati monopolisti sono disponibili ad inserire nel contratto le peggiori norme della L. 107. Noi richiederemo il recupero almeno di quel 20% di salario perduto negli ultimi 10 anni, ma valutiamo comunque decisivo impedire l’inserimento della L. 107 negli obblighi contrattuali, che chiuderebbe definitivamente docenti ed ATA nella gabbia della scuola-azienda.
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