Avevamo previsto con largo anticipo – e per la verità non era impresa difficile – i gravissimi danni che la L. 107/2015 (quella della sedicente “buona scuola”) avrebbe provocato all’istituzione scolastica – già largamente debilitata da almeno venti anni di immiserimento materiale e culturale – nonché alla professione docente. E di fronte alla realizzazione pratica del disastro, ci siamo chiesti quali fossero le cause principali della scarsissima reazione del grosso della categoria, apparentemente caduta in letargo dopo la grande mobilitazione nella prima metà del 2015 contro la legge stessa, prima della sua approvazione. Passività, superficialità, assenza di vera ostilità nei confronti della 107 da parte di docenti in gran parte oramai privi della consapevolezza del proprio ruolo, adattatisi alla nuova funzione di lavoratori/trici mentali tuttofare, di manovali intellettuali flessibili, compartecipi del drammatico impoverimento della scuola pubblica e dell’eutanasia della propria professione? Oppure semplice opportunismo, del genere assai diffuso in Italia da sempre, quel salire sul carro del vincitore e adattarsi alle sue richieste, quel “Franza e Spagna basta che se magna” che infesta da secoli il Bel Paese, quel trasformismo, camaleontismo e “gattopardismo” tanto ben celebrato da Tomasi di Lampedusa, magari intrecciato con l’altrettanto atavica paura del conflitto, radicata in tanti insegnanti? A tutt’oggi una risposta certa, univoca e condivisa, non l’abbiamo: e pur tuttavia, dopo la sconfitta dell’approvazione della legge e quella ancor più grave del fallimento della raccolta-firme per il referendum abrogativo dei punti più distruttivi di essa, abbiamo cercato di porre argine all’ulteriore disgregazione della scuola pubblica, facendo resistenza agli strapoteri dei presidi, al truffaldino bonus per sedicenti “migliori”, alla chiamata diretta dei docenti da parte dei capi di istituto, alla grottesca Alternanza scuola-lavoro, alla scuola quizzarola dell’Invalsi, al conflitto tra stabili e precari, tra vecchi e nuovi arrivati, intorno agli orari di cattedra e di potenziamento; e all’emarginazione profonda degli ATA, sempre più vessati e indifesi, senza strumenti per proteggersi dagli abusi quotidiani.

Però, malgrado il nostro impegno, permane una diffusa passività sui temi che riguardano l’asse culturale/didattico e la filosofia del fare scuola, e un desiderio di evitare conflitti su temi che, seppure deformino radicalmente l’istruzione e pongano l’insegnamento alla mercè di presidi e presunte “aristocrazie docenti” arriviste e aziendaliste (nonché di torme di genitori che usano i “social” come clava per colpire docenti che non apprezzano abbastanza i loro pargoli), non sembrano immediatamente intaccare i più tangibili e immediati interessi materiali dei lavoratori/trici, e cioè mantenimento del posto e orario di lavoro e del relativo stipendio. Basterebbe al proposito rilevare la vistosa differenza tra la mobilitazione delle ultime settimane delle diplomate/i magistrali che rischiano il posto di lavoro a causa dell’inaccettabile sentenza del Consiglio di Stato (sul cui tema rimandiamo all’articolo specifico) e quella del novembre scorso contro i più distruttivi provvedimenti della legge 107 (bonus, chiamata diretta, quiz Invalsi, Alternanza scuola lavoro ecc.): nel primo caso è sorto rapidamente e in gran parte spontaneamente – seppur con l’aiuto dei Cobas e di altre organizzazioni – un forte movimento di protesta, deciso e diffuso, che ha dato ottima mostra di sé nello sciopero dell’8 gennaio e nella manifestazione nazionale a Roma (oltre a manifestazioni locali in tante città); nel secondo, la protesta, pur su temi decisivi per la sorte dell’istruzione pubblica e della stessa professione docente, ha visto scioperare e manifestare solo una parte ristretta della categoria, quella forse più preparata culturalmente, politicamente e sindacalmente ma purtroppo insufficiente a rovesciare i rapporti di forza con l’aziendalismo scolastico.

Non si tratta però di mettere in gara o di dover scegliere tra i due terreni di conflitto: certo però, nell’immediato futuro, la calibratura dei tempi e delle forme di lotta dovrà tenere conto della discrasia manifestatasi nella categoria nell’affrontare i due terreni. Cosa che varrà oltretutto anche nelle modalità con le quali affronteremo il gravoso e importante impegno che ci attende nelle prossime settimane: le elezioni delle RSU, Rappresentanze Sindacali unitarie (aggettivo inopportuno, visto che unitarie non sono proprio, poiché si eleggono su diverse e conflittuali liste e programmi). Non siamo mai stati fan delle RSU ma vi abbiamo visto fin dall’inizio uno strumento, seppur limitato, di difesa sindacale per coloro che non vogliano sottostare alla scuola-azienda, ai superpoteri dei presidi e all’illegalità quotidiana negli istituti. E tanto più oggi, di fronte all’ingigantimento del ruolo autoritario dei capi di istituto, riteniamo che venire eletti/e nelle RSU costituisca comunque una difesa di fronte agli abusi, oltre che uno strumento COBAS per poter operare efficacemente nelle singole scuole. Il 17-18-19 Aprile si voterà dunque nelle scuole e le liste andranno presentate dal 14 febbraio al 9 marzo. Negli ultimi tempi, la pressione dei presidi e del MIUR per l’esautoramento dei poteri contrattuali delle RSU e per la loro subordinazione alle decisioni “padronali/aziendali” è divenuta sempre più forte, malgrado le tante lotte sindacali e vertenze giuridiche che abbiamo fatto per impedire la minimizzazione degli organi collegiali, il dominio e l’arbitrio dei dirigenti scolastici. Noi ci siamo battuti sempre contro la frammentazione della scuola pubblica, contro la sedicente “autonomia scolastica” e la logica aziendale che hanno prodotto il proliferare di “progetti” che hanno svilito la qualità dell’istruzione, mettendo in contrasto tra loro lavoratori/trici, grazie all’uso ricattatorio del fondo d’Istituto. Pur tuttavia, i Cobas hanno sempre partecipato alle elezioni RSU per renderle strumento di conflitto e di contrattacco nei confronti della scuola-azienda, consapevoli però che solo un’ampia partecipazione da parte della maggioranza dei colleghi/e può farci ottenere vittorie significative. E lo abbiamo fatto malgrado le regole del gioco, con le quali le RSU determinano non solo gli eletti/e nelle scuole ma anche la rappresentatività nazionale dei sindacati, siano profondamente anti-democratiche, visto che non viene data la possibilità di votare, insieme alla lista di scuola, anche su una lista nazionale per un sindacato anche se in una scuola non c’è un candidato/a alla RSU di quel sindacato. Quando, come nel 2015, ci è stato consentito di votare su liste nazionali per il CSPI (Consiglio Superiore Pubblica Istruzione) i Cobas hanno superato abbondantemente la soglia del 5% che concede la rappresentatività: e proprio per questo i sindacati monopolisti impongono questa assurda forma di conteggiare i voti nazionali, oltretutto dopo averci tolto da quasi venti anni il diritto di tenere assemblee nelle scuole e dunque di cercare i candidati/e per le RSU stesse. Malgrado ciò, è di grande importanza che le RSU Cobas continuino a svolgere il ruolo di difesa dei diritti di docenti e ATA e per il rispetto delle regole, spesso violate dai dirigenti scolastici, per una adeguata circolazione dell’informazione, contrastando la riduzione degli organici, tutelando e valorizzando il lavoro dei docenti e degli ATA opponendosi a qualsiasi modalità di divisione della categoria; garantendo trasparenza ed equità nella gestione del fondo d’istituto. Il compito delle RSU Cobas è impegnativo ma può essere meno gravoso se non ci si sfinisce in estenuanti trattative, tenendo anche presente che è possibile e coerente non firmare una contrattazione che non si condivide. Inoltre, la RSU Cobas non deve diventare colei che si fa carico da sola della risoluzione di ogni vertenza individuale, ma cercare piuttosto di sollecitare la più ampia partecipazione alla difesa del corretto funzionamento dell’attività scolastica e del massimo rispetto dei diritti e dei doveri dei suoi protagonisti. Infine, candidandovi con i Cobas alle RSU, difenderete il valore di civiltà che la scuola pubblica deve svolgere, come luogo di formazione di individui in grado di interpretare il mondo circostante, come modello di eguaglianza, solidarietà, lavoro collegiale, un luogo ostile al razzismo e alla xenofobia, ai privilegi per censo o classe economica, alla logica purtroppo assai diffusa della lotta di tutti contro tutti. Ma nello stesso tempo difenderete anche voi stessi/e, come docenti o ATA rispettosi dei diritti e dei doveri di ognuno/a dei protagonisti della scuola pubblica. Perché anche il potere scolastico, come tutti i poteri in Italia, tende ad infierire con chi ritiene isolato/a, senza difese, organizzazioni alle spalle, competenze sindacali e giuridiche; ma ci pensa parecchio prima di attaccare frontalmente chi invece ha accanto a sé un’organizzazione combattiva, conosciuta, preparata, militante e rispettata anche dai suoi avversari per la coerenza, la trasparenza, la distanza da ogni potere politico o economico costituito; e ancor più per il lavoro volontario, militante svolto dai suoi rappresentanti che, unici in Italia e in Europa, hanno costituito un sindacato di decine di migliaia di persone senza nessun sindacalista di professione ma mettendo a disposizione gratuitamente il proprio tempo libero dal lavoro. In particolare, questa difesa sindacale, in quanto eletti/e come Cobas nelle RSU, sarà fondamentale per i precari/e che, nella loro lotta per vedersi finalmente garantire un lavoro stabile, hanno bisogno di non essere da soli/e ad affrontare il potere dei presidi-padroni. Per tutte queste ragioni, dunque, vi chiediamo di candidarvi e far candidare nelle liste Cobas, di sostenerle e propagandarle, di votarle e di farle votare.