Percorsi accidentati

Immissione in ruolo: un passaggio sempre più complesso e doloroso

Per molte colleghe e colleghi che insegnano da anni a tempo determinato il momento del passaggio in ruolo dovrebbe essere un punto di arrivo felice. E invece le regole che disciplinano le immissioni in ruolo sono diventate talmente vincolanti e oppressive che fanno rimpiangere la condizione di precariato. Per molte/i, si prospetta la scelta non facile tra l’accettazione di un posto lontano a tempo indeterminato, con il il vincolo quinquennale di permanenza, e il mantenimento di una situazione di un lavoro precario non lontano da casa.

 

Clausole restrittive

Le norme dell’ultimo anno sono state del tutto peggiorative: in particolare, la legge 159/2019, di conversione del DL 126/2019, all’articolo 17 ha previsto una serie di clausole restrittive, tra cui il vincolo quinquennale per chi entra in ruolo e il depennamento da tutte le altre graduatorie, in modo da inchiodare per cinque anni il personale ad una scuola e togliere ogni possibilità di variazione della carriera professionale:

3. A decorrere dalle immissioni in ruolo disposte per l’anno scolastico 2020/2021, i docenti a qualunque titolo destinatari di nomina a tempo indeterminato possono chiedere il trasferimento, l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione in altra istituzione scolastica ovvero ricoprire incarichi di insegnamento a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso soltanto dopo cinque anni scolastici di effettivo servizio nell’istituzione scolastica di titolarità, fatte salve le situazioni sopravvenute di esubero o soprannumero. La disposizione del presente comma non si applica al personale di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, purché le condizioni ivi previste siano intervenute successivamente alla data di iscrizione ai rispettivi bandi concorsuali ovvero all’inserimento periodico nelle graduatorie di cui all’articolo 401 del presente testo unico.

3-bis. L’immissione in ruolo comporta, all’esito positivo del periodo di formazione e di prova, la decadenza da ogni graduatoria finalizzata alla stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato o indeterminato per il personale del comparto scuola, ad eccezione di graduatorie di concorsi ordinari per titoli ed esami di procedure concorsuali diverse da quella di immissione in ruolo”.

Ci ritroviamo, mutatis mutandis, in una situazione assurda analoga a quella creata dal grande piano di reclutamento su base nazionale previsto dalla L. 107/2015 (governo Renzi). Dopo anni di precariato, di viaggi, supplenze mancate, supplenze a singhiozzo, contratti artificiosamente spezzati, l’agognato ruolo significa per molti far le valigie e lasciare casa, affetti, interessi per trasferirsi altrove: una scelta che non tutte/i sono nelle condizioni di fare, per i sacrifici enormi che comporta. Per chi ha figli minori, o genitori anziani, o attività radicate nel territorio, abbandonare tutto non è una prospettiva allettante. Chi deve prendersi cura di una persona anziana difficilmente la trasferisce lontano dal luogo in cui vive come si trasporta una valigia.

 

Perché non si assume sull’organico di fatto?

La situazione diventa indigesta quando si ha chiara coscienza che il posto di insegnamento che si deve abbandonare è tuttora disponibile, ma non essendo un posto vacante e disponibile, burocraticamente classificato come organico di diritto sarà occupato da un’altra/o collega in condizioni di precariato.

E questo è il primo problema: non è un assioma evidente che si debba immettere in ruolo su un posto in organico di diritto, e nemmeno una prassi consolidata. Per molti anni sono state fatte le immissioni in ruolo sui posti in organico di fatto, salvo richiedere la domanda di trasferimento durante l’anno scolastico nell’ambito della provincia in cui si è entrati in ruolo. Anche lo scorso anno, per tutto il personale ATA, il passaggio in ruolo è avvenuto su tutti i posti disponibili in organico di fatto. Dopo di che ogni neoassunto/a ha avuto un posto stabile con la domanda di mobilità. In passato è stata prevista anche per il personale docente l’immissione in ruolo su posti in organico di fatto oltre che di diritto. In alcuni anni si era previsto un organico aggiuntivo (molto più funzionale del cosiddetto organico di potenziamento) sul quale si potevano operare immissioni in ruolo. E quest’anno, con l’emergenza COVID, c’era e c’è una necessità sociale di prevedere un organico aggiuntivo sul quale si potrebbero fare anche immissioni in ruolo. Agendo in tal modo, si permetterebbe al personale neo-immesso in ruolo di stabilizzarsi, trovando una sede definitiva il prossimo anno scolastico, fruendo anche dei posti che si rendono disponibili dai futuri pensionamenti.

La scelta politica di immettere in ruolo solo su posti vacanti, in organico di diritto, si connette alla decisione, sempre politica, di costringere il personale neo-immesso in ruolo al vincolo quinquennale sul posto accettato. Un vincolo che vuole impedire ogni possibilità di mobilità, ogni trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione e financo la possibilità di accettare una supplenza annuale su un’altra tipologia di posto o altra classe di concorso. Il che connota il passaggio in ruolo come il passaggio a una vita di prigionia. Con effetti raccapriccianti: chi accetta, perché non ci sono altre possibilità, un posto lontano, per cinque anni sarà costretto a vedere che i posti che si liberano vicino a casa saranno assunti da altri con minore anzianità di servizio o minor punteggio in graduatoria.

Con queste regole insieme draconiane e assurde, il passaggio in ruolo per molte/i docenti comporta non solo un notevole disagio, ma anche un notevole impegno economico: per molte persone significherà pagare due abitazioni, oltre che sostenere le spese di viaggio per tornare a casa.

Per una persona di giovane età il trasferimento in altra zona per motivi lavorativi può essere una possibilità, ma per chi ha più di quaranta o addirittura cinquant’anni, il che è la regola, il passaggio in ruolo diventa semplicemente un incubo. la questione assume quindi aspetti socialmente significativi.

 

Il tortuoso iter per divenire insegnanti di sostegno

Ancora più assurda appare la situazione per i docenti di sostegno.

In primo luogo, per acquisire il titolo di specializzazione occorre superare un test super-selettivo (sono ammessi al TFA di sostegno mediamente quattro concorrenti su cento); occorre frequentare tutto l’anno quattro ore di lezione al giorno, svolgere attività di tirocinio, superare venti esami. Dopo tale iter, chi acquisisce la specializzazione, dovrebbe entrare in ruolo il giorno successivo, senza ulteriori prove, o concorsi. Invece lo stato prevede che si debbano fare concorsi a cattedra, nelle more dei quali, chi insegna su sostegno permane nella condizione di precariato.

Sull’organico di sostegno, tutti i governi degli ultimi 15 anni hanno deliberatamente scelto di autorizzare in organico di diritto la metà dei posti effettivamente necessari, in modo tale che l’altra metà sia autorizzata in organico di fatto. E poi hanno deciso che le immissioni in ruolo possano avvenire solo sull’organico di diritto. L’effetto di questa diabolica combinazione è che, anche se ci sono centinaia di posti sotto casa, un/a docente di sostegno per passare di ruolo deve accettare una cattedra a centinaia di chilometri da casa. Con tutti i disagi esistenziali e gli oneri oneri economici sopra descritti. E da quest’anno, come si è visto, non potrà chiedere avvicinamento.

 

Indicazioni di buon senso

Tutte queste misure portano a maledire il passaggio in ruolo e fanno propendere alcune/i per la rinuncia al ruolo. A chi giovi tutto questo non è chiaro. Se si guarda al problema economico, pagare un posto di ruolo a Teulada anziché a Palau, a Trieste o Otranto è uguale. Se si aggiunge che comunque un docente non di ruolo percepisce una indennità di disoccupazione da luglio a settembre, il risparmio globale per l’erario è minimo. Si tratta di una politica diretta a mantenere una parte della classe docente nella situazione di precariato. Benché ogni governo emani proclami trionfali sul reclutamento di decine di migliaia di precari, il ritmo, la misura, le regole e le modalità del reclutamento sono tali che coprono il turn-over dei pensionamenti, senza stabilizzare la maggioranza dei precari, scoraggiano l’immissione in ruolo e generano comunque un nuovo precariato.

Per queste ragioni, dobbiamo chiedere alcune modifiche essenziali:

  1. l’abrogazione immediata dei commi 3 e 3bis dell’articolo 399 del Test Unico 297/1994, come modificati dai commi 17 octies e 17 novies della legge 159/2019, che prevedono, per un docente che entri in ruolo, il vincolo quinquennale e il depennamento da tutte le graduatorie in cui si è inseriti;
  2. la contestuale abrogazione dell’articolo 13, comma 3 del Decreto legislativo 159/2017, come integrato e modificato dall’articolo 17, comma sexties della legge 159/2019, che prevede il vincolo quinquennale;
  3. la possibilità di essere immessi in ruolo su posti in organico di fatto;
  4. la possibilità di chiedere trasferimento, assegnazione provvisoria e utilizzazione, nonché di accettare supplenze da altre graduatorie, in base all’articolo 36 del CCNL 2007, a partire dal primo anno di ruolo.
  5. per chi accetti un posto di ruolo, la conservazione delle posizioni nelle altre graduatorie in cui si è iscritti;
  6. per chi è già in ruolo ma con riserva, la possibilità di scegliere all’atto della nuova nomina la sede di cui si è titolari.