PAGARE E SORRIDERE

Non accenna a sparire il balzello del “Contributo volontario” nelle scuole pubbliche

La scuola, come il resto della società italiana, è sottoposta da alcuni decenni a trasformazioni radicali che si susseguono a ritmi frenetici. Metamorfosi che spesso, purtroppo, sono contrassegnate da tratti distintivi involutivi. Per sovrappiù, i processi trasformativi che investono la scuola sono il risultato di un mastodontico accumulo di norme spesso contraddittorie, enigmatiche, contorte. Il che ha generato un proliferare di provvedimenti da parte delle amministrazioni centrali e locali la cui legittimità è sovente nulla o quantomeno dubbia.

In questa cornice si inserisce una delle fattispecie più diffuse: il cosiddetto “contributo volontario”, vale a dire la richiesta di un balzello da parte delle scuole alle famiglie degli alunni che le frequentano.

Gli scopi per i quali si pretendono tali tangenti soni i più vari e fantasiosi: consentire la realizzazione di laboratori e uscite didattiche, sistemare palestre, approvigionarsi di carta igienica, detersivi e toner, effettuare la manutenzione di apparecchiature ecc.

Si noti il ribaltamento semantico operato: “contributo volontario” per indicare una gabella che non è per nulla spontanea, ma anzi è sollecitata e, in alcuni casi, pretesa con la minaccia di escludere l’alunno che non sborsa da alcune attività didattiche. Siamo dalle parti della “Buona scuola” per denominare il peggior cambiamento subito dall’istruzione pubblica negli ultimi trent’anni.

L’aspetto più curioso della faccenda è che l’illegittimità della richiesta del “contributo volontario” è stata denunciata da diversi anni e in maniera abbastanza diffusa, tanto da forzare il MIUR a stigmatizzare formalmente tali pratiche, anche se non siamo a conoscenza di interventi ministeriali nei confronti delle scuole che ne hanno abusato. Ma nonostante ciò, numerosi DS continuano diabolicamente a perseverare nell’errore. Vuoi vedere che tutti quei discorsi dei superpoteri dati ai presidi con la legge 107 ha provocato svariati casi di ipertrofia dell’io.

 

La consistenza del fenomeno

Dati precisi sulla materia non sono disponibili. Solo il Censis nel suo rapporto annuale sullo stato sociale dell’Italia relativo al 2010 dà conto dell’avvio di un indagine sull’argomento, che ha coinvolto poco più di mille scuole. La conclusione del Censis era che “i contributi volontari versati dalle famiglie sono un’entrata sempre più fondamentale per la gestione e la didattica delle scuole statali”. Le scuole che taglieggiavano le famiglie, secondo l’indagine del Censis, erano più della metà e in dettaglio: “La frequenza della richiesta del contributo volontario aumenta al crescere dei livelli scolastici: si va dal 34,7% di scuole dell’infanzia all’85,6% dei licei. Le somme richieste a livello prescolare o di scuola dell’obbligo sono in media di modesta entità (16,4 euro nella scuola dell’infanzia e 19,8 euro nella scuola secondaria di I grado). Nelle scuole di II grado, invece, il contributo medio supera, per tutti gli indirizzi, gli 80 euro pro-capite. Le oscillazioni intorno alla media sono però molto ampie e nelle scuole intervistate si raggiungono anche i 100 euro per scuole dell’infanzia e primarie e i 260 euro dei licei”.

Dati più recenti di quelli riportati non ne conosciamo, ma basta fare un giro sui siti delle scuole e spulciare la finestra “amministrazione trasparente” per rendersi conto che la situazione sembra essersi cristallizzata se non inasprita, dato che i “contributi volontari” vanno a coprire circa un terzo delle risorse finanziarie a disposizione della scuola.

A fronte di tutto ciò, riteniamo ancora utile richiamare le linee essenziali della questione

 

Fonti normative

Intanto è bene aver presente quali sono le principali norme in merito ai “contributi volontari”: l’art. 13 della L. 2 aprile 2007, n. 40; la Nota MIUR n. 1007 del 28/4/2011; la Nota del MIUR n. 312 del 20/3/2012; la Nota MIUR n. 593 del 7/3/2013.

In dette note il MIUR biasima la pratica di richiedere Tasse improprie alle famiglie e pone l’accento sul fatto che continuino “a pervenire a questo Dipartimento da parte delle famiglie, numerose segnalazioni di irregolarità ed abusi nella richiesta dei contributi scolastici” (nota MIUR del 2013). Si noti che anche le note del MIUR dei due anni precedenti sull’argomento partivano dalla premessa che erano giunte svariate segnalazioni da parte delle famiglie; dal che si deduce che le prime due note del MIUR non avevano sortito alcun risultato, e lo stesso pensiamo sia accaduto con la terza nota.

Nella nota del 2012, il Miur scrive: “non pare superfluo precisare che i versamenti in questione sono assolutamente volontari, anche in ossequio al principio di obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore, ribadito, più di recente, dalla legge n. 296/2007 (legge finanziaria 2007). In merito, le istituzioni scolastiche dovranno fornire le dovute informazioni alle famiglie e tenere ben distinti i contributi volontari dalle tasse scolastiche che, al contrario, sono obbligatorie”. Dunque, il MIUR ribadisce la gratuità della scuola dell’obbligo (estesa nel frattempo fino al 3° anno delle superiori) in base al dettato costituzionale Costituzione: i genitori già pagano la scuola attraverso la tassazione generale e dunque ogni altro versamento alla scuola deve essere “tassativamente” volontario.

La stessa nota del 2012 definisce le finalità dei “contributi volontari”: “le risorse raccolte con contributi volontari delle famiglie devono essere indirizzate esclusivamente ad interventi di ampliamento dell’offerta culturale e formativa e non ad attività di funzionamento ordinario e amministrativo”. Quindi non si possono chiedere soldi per comprare materiale di facile consumo, per riparare macchinari ecc., come avviene nella gran parte dei casi.

Sempre la nota del 2012 dispone che “le famiglie devono preventivamente essere informate sulla destinazione dei contributi in modo da poter conoscere in anticipo le attività che saranno finanziate con gli stessi ed eventualmente decidere, in maniera consapevole, di contribuire soltanto ad alcune specifiche azioni”; e inoltre che “alla fine dell’anno scolastico andrà assicurata una rendicontazione chiara ed esaustiva della gestione dei contributi, dalla quale risulti come sono state effettivamente spese le somme e i benefici che ne ha ricavato la comunità scolastica”. Questo non accade quasi mai e i genitori pagano senza sapere né prima né dopo dove finiscono i loro contributi.

Ancora la nota del 2012 informa che “all’atto del versamento, poi, le famiglie vanno sempre informate in ordine alla possibilità di avvalersi della detrazione fiscale di cui all’art. 13 della legge n. 40/2007” oltre che della L. 107/15, il che abbiamo constatato avviene ben di rado.

Nella nota del 2013, invece, il MIUR sottolinea come i contributi devono essere esclusivamente volontari e i comportamenti delle scuole che tendessero a presentare il contributo come obbligatorio e/o connesso all’atto dell’iscrizione “si configurano come vere e proprie lesioni al diritto allo studio costituzionalmente garantito” e “per i soggetti che sono responsabili della gestione, come una grave violazione dei propri doveri d’ufficio”.

La stessa nota ricorda che “qualunque discriminazione risulterebbe illegittima e gravemente lesiva del diritto allo studio dei singoli”. Evidentemente sono stati segnalati episodi avvenuti nelle scuole che rientrano in tale fattispecie, tanto da indurre il MIUR a segnalarne l’illegittimità.

 

Come uscirne

Ma a fronte di un quadro normativo chiaro i “contributi volontari” incalzano e, soprattutto, i genitori pagano. Sono ben l’82% i genitori che li pagano, secondo i dati del Censis del 2010. Certo qualcuno si rifiuta di sottomettersi all’abuso o ha portato vittoriosamente in tribunale i DS per l’estorsione subita, ma una così alta percentuale di taglieggiati “volontari” può essere spiegata con le paura di eventuali discriminazioni nei confronti dei figli oppure con il desiderio di garantire condizioni migliori di studio per la prole.

Insomma, da una parte lo Stato non garantisce risorse sufficienti a un regolare funzionamento delle scuole pubbliche (l’aliquota di PIL in Italia è molto inferiore a quella dei Paesi consimili) dall’altra le famiglie pagano per evitare che i loro figli studino in scuole disastrate. Da una parte lo Stato piange miseria quando si tratta di finanziare il welfare ma nello stesso tempo spende e spande per stipendi della casta, grandi e dannose opere, spese militari ecc. Dall’altra le famiglie sono sottoposte a una delle tassazioni più pesanti al mondo non ricevendo in cambio servizi dignitosi in quantità sufficiente e sborsano altro denaro per comprare servizi dai privati o per i “contributi volontari”.

Non sarebbe il caso che le famiglie smettessero di mettere rattoppi alle inadeguatezze (volontarie) dello Stato e reclamassero con decisione un inversione di tendenza della spesa pubblica?