Sciopero 17 marzo

L'ultima occasione per bloccare gli effetti più disastrosi della 107

photo credits: Alejandro (Alex) Quinones

È parere largamente diffuso che, sebbene nell’oceanico NO alla Riforma costituzionale abbiano certamente contato le volontà di difendere il poco che resta di democrazia istituzionale e della assai svilita Costituzione, l’elemento principale sia stato il rifiuto delle politiche sociali ed economiche del governo Renzi, e in particolare della “cattiva scuola” della L. 107/2015. Ma Renzi, nell’imporre il governo-fotocopia Gentiloni, non ha tenuto in alcun conto tali ragioni del NO: e dopo aver confermato al governo Boschi e Madia, autrici delle due riforme bocciate (Costituzione e Pubblica Amministrazione) e Poletti, responsabile dell’altrettanto inviso Jobs Act, ha silurato solamente la ministra Giannini, che non rimpiangeremo certo, ma che ha solo firmato la distruttiva L. 107, scritta in realtà dai responsabili scuola del PD. Tant’è che la sostituzione al MIUR ha premiato Valeria Fedeli che è una convinta sostenitrice della legge, e che ha come principale titolo di “merito” la sua passata stagione da segretaria generale dei Tessili Cgil, accredito per offrire ai sindacati “rappresentativi” una presunta “neo-concertazione”.

Fedeli è effettivamente riuscita a cloroformizzare ulteriormente i Cinque sindacati scuola (Cgil, Cisl, Ul, Snals e Gilda) che, abbandonando la lotta e invitando la categoria al disarmo fin dall’autunno 2015, hanno contribuito significativamente alla passivizzazione nelle scuole, dopo la eclatante lotta della primavera-estate 2015. Ma il tutto è avvenuto senza alcuna concessione concreta né ai Cinque, né tanto meno a docenti, ATA e studenti. Anzi: a gennaio il governo Gentiloni ha varato otto decreti applicativi della 107, ignorando ogni forma di dialogo con i protagonisti dell’istruzione pubblica e ogni revisione significativa della legge.

Seppure tra fumi di ambiguità e di retorica di bassa lega, le otto deleghe aggravano il già disastroso panorama della L. 107. Per il futuro reclutamento dei docenti non si riconoscono le abilitazioni già conseguite né il servizio prestato. Per i diversamente abili, si superano i limiti di studenti previsti dalla L. 517/78 (20 per classe) e si mira a ridurre il numero degli insegnanti di sostegno, introducendo corsi di “aggiornamento” improvvisati per tutti gli insegnanti, per delegare progressivamente tale attività all’intero personale docente. Il decreto sull’Istruzione Professionale, che pure viene riportata all’interno dell’Istruzione “tout court”, lascia le porte aperte ad una futura integrazione/parificazione regionale con la Formazione Professionale extra-scuola, prevedendo nel contempo indirizzi di studio minimalisti e meramente esecutivi. Per gli studenti delle Superiori, si stabilisce la centralità dell’alternanza scuola-lavoro, in una forma scoperta di apprendistato gratuito, con flessibilità fino al 40% del monte orario, con presenze pomeridiane vincolanti per docenti ed ATA, “contratti d’opera” offerti dalle imprese tramite loro “esperti”, la valutazione dello studente come “bilancio di competenze” in base ad una presunta “cultura del lavoro”. E l’alternanza scuola-lavoro viene introdotta con una tesina anche alla Maturità, divenendo di fatto materia di esame e sostituendo addirittura la pur discutibile Terza Prova che comunque un qualche richiamo alle materie vere lo presupponeva. In quanto poi al ‘sistema integrato 0-6 anni’, unificando, sotto l’egida degli Enti Locali, asili-nido, scuole materne comunali e dell’Infanzia statali, abbassa notevolmente il livello della scuola dell’Infanzia pubblica, creando caos gestionali in scuole primarie già sovraccariche di pesi e di ruoli, visto che i “poli per l’infanzia” accoglierebbero in un unico plesso o in edifici vicini bambini/e fino a 6 anni di età in uno stesso percorso educativo.

Ad aggravare ancor più il quadro, con il decreto sulla valutazione i quiz INVALSI acquisiscono definitivamente un posto cruciale nell’istruzione pubblica. Nella scuola primaria i risultati dei quiz costituiscono parte decisiva della cosiddetta “autovalutazione” degli istituti. Nella scuola media solo apparentemente i quiz sono tolti dall’esame finale perché le rilevazioni nazionali in italiano, matematica e inglese nella classe terza rappresentano requisito ineludibile di ammissione all’esame conclusivo. E anche nella scuola superiore aver svolto i quiz durante l’ultimo anno è condizione indispensabile per l’ammissione all’esame di Maturità, ove gli esiti vengono riportati nel curriculum e successivamente faranno testo per l’accesso all’Università.

Insomma, il decreto chiarisce come la valutazione periodica dei docenti, quale atto basilare del complesso e delicato processo dell’apprendimento, abbia ceduto completamente il posto alla valutazione delle prove standardizzate, considerate strumento più qualificato per la “misurazione” degli studenti, delle scuole e degli insegnanti stessi, con il conseguente netto ridimensionamento del valore della professione docente, alla quale viene sottratto uno degli elementi essenziali.

Dunque, queste deleghe aggravano le disastrose brutture della L. 107, dal famigerato “bonus” per i docenti “meritevoli” (i cui nomi le scuole continuano a tenere nascosti) allo strapotere dei presidi, dalla truffa di un “organico di potenziamento” utile solo a ingigantire la conflittualità tra docenti, ai ricatti pesanti sulla mobilità e sull’organico triennale, fino all’obbligo di “un’alternanza scuola-lavoro” che mescola l’apprendistato gratuito ed inutile e la cialtroneria di accordi con aziende “amiche”. Il tutto provocando un’ulteriore, drammatica dequalificazione del lavoro degli insegnanti, sempre meno educatori e sempre più “operai intellettuali” flessibili e tuttofare, a drammatico compimento di un ventennio di immiserimento materiale e culturale di una scuola che si vorrebbe “azienda innovativa” e che per lo più appare una bottega cialtrona, arruffona, gestita da presidi-padroni arroganti e incompetenti, ove si impone ai docenti, sia quelli “contrastivi” sia quelli conniventi, di procedere quietamente all’eutanasia della propria professione.

Come docenti ed ATA, con il contributo di studenti e cittadini che hanno a cuore la scuola pubblica, abbiamo poche settimane di tempo per respingere queste deleghe e nel contempo far cancellare almeno i punti più disastrosi della L. 107. Per questo abbiamo deciso di convocare per il 17 marzo lo sciopero generale della scuola, insieme ad altri sindacati (Unicobas, Anief, FederATA, Usb) che si oppongono alla L. 107 e ai decreti applicativi, cercando il massimo di unità possibile una volta preso atto del totale ritiro dal conflitto da parte dei Cinque sindacati “rappresentativi”, pienamente coinvolti nei nuovi “giochi di ruolo” concertativi con la ministra Fedeli.

Oltre al ritiro delle deleghe, con lo sciopero e le manifestazioni chiediamo che:
1) la mobilità sia gestita con titolarità su scuola, eliminando gli incarichi triennali decisi dal preside e garantendo la continuità a tutti i docenti;
2) nell’organico delle scuole tutti i/le docenti insegnino e tutti/e si facciano carico degli altri compiti necessari per il funzionamento della scuola, riducendo l’orario di cattedra;
3) i fondi del sedicente “merito” , della Carta del docente e del Fondo di istituto siano destinati alla contrattazione nazionale per un aumento che, insieme a rilevanti fondi da stanziare per il contratto, garantisca a docenti e ATA il recupero almeno di quel 20% di salario perso nel più lungo blocco contrattuale della storia della Repubblica;
4) siano assunti i precari – docenti ed ATA – con almeno 36 mesi di servizio su tutti i posti disponibili in organico di diritto e di fatto;
5) sia ridata alle scuole superiori la libertà di istituire o meno l’”alternanza scuola-lavoro” e di determinarne il numero di ore;
6) vengano eliminati i quiz Invalsi come strumento per valutare scuole, docenti e studenti;
7) sia restituito ai lavoratori/trici il diritto di partecipare ad assemblee indette da qualsiasi sindacato e applicato un sistema proporzionale di voto senza sbarramenti per l’accesso ai diritti sindacali, con un voto a livello di scuola e uno nazionale per determinare la rappresentatività dei sindacati ai tre livelli.

Va inoltre messo in rilievo – nello sciopero e nelle manifestazioni – che un punto particolarmente ignobile nella L. 107 è la cancellazione totale degli ATA, cioè di una intera categoria di lavoratori/trici che, malgrado siano assolutamente indispensabili e decisivi per il buon funzionamento della scuola pubblica, sono stati in questi anni già abbondantemente “martirizzati”, spesso anche più degli stesso docenti. Da questo punto di vista, ci pare davvero importante come COBAS aver sviluppato in queste ultime settimane un dialogo con FederATA – organizzazione sindacale degli ATA che ha esordito nel conflitto scuola il 18 marzo 2016 con un riuscito sciopero che coinvolse decine di migliaia di lavoratori/trici – che ha portato anche tale organizzazione ad indire lo sciopero del 17 marzo. Il confronto serrato tra COBAS e FederATA ci ha fatto riscontrare, a proposito della piattaforma di lotta degli ATA, una coincidenza di vedute in particolare sui seguenti punti, oltre a quelli già citati in precedenza negli obiettivi generali: 1) ampliamento dell’organico ATA;
2) revisione dei parametri per il calcolo degli organici e inserimento degli Assistenti Tecnici in organico di diritto delle scuole di primo grado;
3) passaggio all’area superiore C per tutti gli Assistenti Amministrativi e Tecnici, all’area As per i Collaboratori scolastici e all’area D per gli Aministrativi di 2° posizione economica;
4) soppressione dei commi della legge 109/2014 che vietano le supplenze brevi degli Amministrativi e Tecnici e limitano fortemente la sostituzione dei Collaboratori;
5) re-internalizzazione dei servizi di pulizia;
6) formazione in servizio.

Infine, nella mattina del 17 marzo si svolgeranno manifestazioni regionali o inter-regionali a Roma (MIUR, V.le Trastevere, ore 9.30), Torino, Venezia, Bologna, Napoli, Bari, Cagliari, Palermo e Catania.