Quer pasticciaccio brutto de Viale Trastevere

Marea di ricorsi contro gli arbitrii del MIUR per il concorso scuola

photo credits: Maico Amorim

La legge 107 e il “licenziamento”
 dei docenti precari


L’ultima legge sulla scuola liquida, in soli due commi, oltre 200.000 docenti precari che, tra II e III fascia di istituto, dal prossimo 1° settembre, non avranno più la possibilità di essere inseriti nelle graduatorie delle singole scuole in quanto non appartenenti alle Graduatorie ad esaurimento o, perché non in possesso di un titolo abilitante. Nello stesso tempo la legge non indica in che modo i docenti potranno inserirsi nelle graduatorie, se già abilitati, o come potranno acquisire l’abilitazione, mentre stabilisce come uniche possibilità per l’assunzione a tempo indeterminato: a) il superamento di un concorso pubblico per titoli ed esami, che sarà riservato, però, solo ai già abilitati; b) lo scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, oramai chiuse persino a coloro che un’abilitazione ce l’hanno, ma non hanno fatto in tempo ad entrarvi (anche se non per colpa loro). 
A peggiorare il quadro (per tutti i precari, anche per chi è inserito nelle Graduatorie ad esaurimento), interviene, poi, il famigerato comma 131 della legge, nel quale si stabilisce perentoriamente che, sempre dal 1° settembre prossimo, non si potranno superare i 36 mesi di supplenza (anche non continuativi), perché allo scadere di tale periodo, si verrà licenziati definitivamente. Ci si chiede come mai i precari, di fronte a questa evidente vessazione, non invadano le piazze italiane ogni giorno, rivendicando il diritto ad esercitare una professione la cui abilitazione molti di loro se la sono già guadagnata sul campo, dopo un percorso costellato da studi e da infiniti corsi, per non parlare dei master e delle borse di studio in Italia o all’estero, che sembrano, invece, non avere alcun valore.
ma è una questione generazionale e questa generazione più che alle lotte, si affida ai ricorsi, ai contenziosi infiniti, ai “mi piace” dei social, cui non corrisponde la presenza dei “corpi” in piazza, come dimostrano le decine di richieste per imbastire ricorsi di ogni tipo, che sono, però, richieste di tutela e di supporto per pretendere il rispetto di norme e diritti, materie su cui sembrano essere, ma non per colpa loro, completamente a digiuno.

 

Il ritorno del canale unico
 (di reclutamento)


Rispondendo a quanto scritto nella legge 107, il MIUR ha, nel frattempo, emanato bandi concorsuali, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento dei docenti per il “nuovo” organico dell’autonomia, che comprende posti comuni, di sostegno e di potenziamento, come recita la legge, che sposta silenziosamente il baricentro della docenza dall’organico di diritto all’organico di fatto, dal posto comune a quello di potenziamento, mescolandoli e integrandoli, mentre subordina la copertura dei posti alla discrezionalità del dirigente. In questo modo il governo ha riportato la storia del reclutamento indietro di quasi quaranta anni, annullando quanto conquistato attraverso le mobilitazioni dei precari di allora, che imposero il secondo canale di reclutamento, affiancandolo a quello del concorso ordinario (primo e unico canale sino ad allora). In quel modo si tutelavano i docenti che dopo tre anni dall’indizione del concorso, non perdevano i diritti acquisiti e venivano inseriti nel cosiddetto “doppio canale” di reclutamento.

Una vicenda, quella attuale, che è peraltro peggiorativa rispetto a quanto accadeva in quegli anni, perché oggi, attraverso l’autonomia scolastica, arrivata ora alla sua fase di applicazione definitiva, si affida all’assoluta discrezionalità del dirigente l’assunzione del docente neo immesso in ruolo (senza contare i docenti soprannumerari e/o trasferiti, i quali pure loro andranno a finire negli albi territoriali e saranno sottoposti alla scelta del dirigente).

Nei bandi attuali, peraltro, il requisito di ammissione ai concorsi (le cui graduatorie avranno nuovamente durata triennale e poi decadranno) risulta essere il possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento e in tal modo il MIUR esclude espressamente dalle prove i docenti privi del titolo abilitante, mentre proprio loro avrebbero avuto diritto a parteciparvi, come sempre è stato

Sino ad ora. Per questo contro tali bandi gli insegnanti “precari” della scuola statale, inseriti da anni nella III fascia delle graduatorie di istituto, che non hanno conseguito l’abilitazione per motivi indipendenti dalla propria volontà, hanno messo in campo centinaia di ricorsi. Tra questi docenti ve ne sono molti che hanno maturato più di 360 giorni di servizio (cioè di due

anni) e, spesso, più di 36 mesi (ovvero tre anni), motivo per il quale, in base alle normative comunitarie europee (direttiva 199/70/Ce), l’amministrazione avrebbe dovuto immetterli in ruolo, mentre ha invece, di fatto, provocato la precarizzazione di gran parte del personale docente.

 

Un po’ di storia

Il meccanismo del reclutamento attraverso il superamento di concorsi pubblici e/o riservati, viene cambiato nel 1990, con l’istituzione di specifiche scuole di specializzazione (le SSIS), articolate in indirizzi, per provvedere alla formazione dei docenti delle scuole secondarie che rilasciavano, con l’esame conclusivo del corso, un diploma avente valore di esame di Stato, che abilitava all’insegnamento per le aree disciplinari alle quali si riferivano i relativi diplomi di laurea (ovviamente richiesti per l’iscrizione ai corsi). Il diploma rilasciato dalla scuola di specializzazione, costituiva titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi (per titoli ed esami) a posti di insegnamento nelle scuole secondarie ed era tra i titoli valutabili in relazione al punteggio col quale l’esame veniva superato.

La concreta attivazione delle SSIS è avvenuta, però, solo a decorrere dall’anno 2000/2001 (Berlinguer-De mauro) e le stesse sono restate in vigore fino all’anno 2008, quando sono state abrogate (negli stessi anni, 1997/98, viene istituita la Laurea in scienze della Formazione Primaria, con valore abilitante). Nel settembre 2010, l’allora ministra dell’istruzione, Gelmini, ha riformato la disciplina relativa alla formazione iniziale degli insegnanti, istituendo i TFA e poi, con i successivi decreti ministeriali sono stati istituiti i Percorsi Abilitanti Speciali (PAS). Per molti docenti, dunque, per cause indipendenti dalla loro volontà è stato oggettivamente impossibile conseguire l’abilitazione richiesta dal bando, semplicemente perché non sono stati indetti percorsi abilitanti.

Visto che la partecipazione al concorso prevede, dunque, l’esclusione di una parte di docenti ed è permessa solo ad alcuni a scapito di altri, ci si trova di fronte ad un fatto che vìola apertamente il principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 della Costituzione, dove si afferma, invece, che non vi può essere discriminazione alcuna.

 

La richiesta

I docenti precari, attraverso il ricorso al TAR del Lazio richiedono un provvedimento cautelare d’urgenza. È, infatti, più che evidente che l’esclusione dei ricorrenti costituirebbe grave e irreparabile pregiudizio. Ma, ancor più evidente è che tale situazione produrrebbe un gravissimo danno alla stessa Amministrazione: l’eventuale assunzione dei vincitori sarebbe senza dubbio soggetta a numerose azioni per la revoca degli incarichi e per il risarcimento dei danni.

Per questi motivi, con i ricorsi, si chiede di ammettere, anche con riserva, i ricorrenti alle prove scritte.

 

I Cobas

Come è ampiamente noto, i Cobas hanno sviluppato negli anni una reazione autoimmune nei confronti della dilagante “ricorsite”, ma di fronte alla protervia con la quale si vuole espellere un’intera generazione di docenti dalla scuola (mentre si mantengono in cattedra gli insegnanti più “vecchi” d’Europa), anche creando dal nulla nuove classi di concorso per le quali nessuno ha il titolo abilitante, e mentre i docenti che potrebbero parteciparvi hanno acquisito negli anni i titoli sino ad oggi richiesti per la docenza o, addirittura, sono ricercatori universitari in quell’ambito specifico, ci ha imposto di scendere in campo. Così abbiamo impugnato i Bandi concorsuali e depositato centinaia di ricorsi. A costo zero per i singoli docenti, naturalmente.