Era il 2017 quando proponemmo alla dottoressa Valeria Silvestri di prender parte ad un nostro progetto di cooperazione internazionale. La sua missione consisteva nel coordinare la formazione del personale sanitario di un ospedale pubblico sperduto all’interno della Tanzania, nelle vicinanze del lago Vittoria. Con mille dubbi e un po’ di timore accettò di andare al Manyamanyama, e questa esperienza le cambiò la vita. Tornò altre volte in quell’ospedale, sempre come medico cooperante. Pubblicò un libro, “La lampadina di Bunda”, scaricabile dal sito di Azimut onlus o acquistabile cartaceo contattando Azimut. Il ricavato del libro andò a finanziare la realizzazione della sala parto del villaggio di Karukekere. Nei primi mesi del 2021 Valeria decide di trasferirsi in Tanzania per ulteriori studi e ricerche. È da Dar Es Salaam, porta di ingresso alla Tanzania, che ci invia questo piccolo racconto che vi proponiamo di seguito.
Dar es Salaam, 05.06.2021
Il messaggio WhatsApp mi raggiunge alla scrivania, mentre scorro una lista infinita di protozoi per la prova pratica di domani.
I “wadudu” (parassiti) sembrano essere finalmente usciti dall’anonimato dei primi giorni, quei raccapriccianti momenti in cui il Professore parlava delle abitudini dei bacarozzi nelle caffetterie sub-sahariane ed io mettevo in discussione la mia sanità mentale per il solo fatto di trovarmi ancora qui.
Il punto è questo: c’è uno spazio sul giornale per raccontare una storia.
Se voglio, posso scrivere la “mia storia”, questo “fatto” recente che parla di Africa, dell’intimità nel pericolo che per un attimo è stato ferocemente condiviso. Per poi rivestirsi di nuovo delle possibilità in più di sfangarla che ci portiamo appresso da casa, quando veniamo da fuori.
Decido che voglio e che posso parlare di malaria. E decido anche che, per spiegarla bene, questa storia… non la racconterò.
Perché di fatto è così: è una storia che quando prende la piega del noir spinto, di solito non si racconta. È un silenzio che rimbomba di voci rotte di mamme e bambini, che rimbalzano da secoli sulle ali di una zanzara.
Posso però raccontare un’altra cosa.
“Ci sarebbe un posto sul Lago Vittoria, si chiama Bunda. Hanno donato un ecografo e se vuoi serve qualcuno che lo introduca ai colleghi dell’ospedale…”.
In questa storia c’è un professore di cardiologia che chiama in una sera di agosto, c’è un’Associazione molto attiva che propone idee, c’è un villaggio di pescatori, una capanna sperduta dove la luce si accende grazie a un pannello solare, c’è una sala parto con un soffitto a pezzi, un libro scritto per finanziare la copertura del tetto, ci sono stoffe colorate che prendono forma per aggiungere stanze e comprare un lettino…ci sono tante persone bianche e nere.
E poi c’è una dottoressa che ha risposto al telefono quella sera di agosto. Che è tornata in Tanzania per studiare l’Africa nelle sue Università. Quella che intreccia la sua storia con quella dei colleghi della scuola di Sanità Pubblica e che nelle discussioni di classe vede roteare le prospettive in un modo che fa girare la testa, e che fa capire quanto sono complessi i problemi del mondo.
Quel mondo in cui se succede qualcosa di brutto e ti salvi, non sai se le preghiere sono state ascoltate da Dio o da Allah o da entrambi, perché gli amici sono tanti e dio non sempre è uno.
Dove porterà questo intreccio di idee, di progetti, di persone, di amicizie, di finanziamenti, di sogni, di aspettative, di storie… di vita?
Oggi mi sono svegliata. Il collega ha appena condiviso la foto del suo ultimo intervento di educazione alla salute. C’è tanta gente che lo ascolta e un cartellone giallo grande come una casa, con una zanzara che sembra un elicottero. C’è scritto: ZERO MALARIA.
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