photo credits: Laura Taylor
“Ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte. Ci vuole impegno, lavoro e sacrificio”. Con queste parole il ministro leghista dell’istruzione Bussetti, in visita a Caivano e a Afragola, in Campania, ha sgomberato il campo dagli equivoci. Una risposta perentoria, forse anche stizzita, a chi gli chiedeva se forse per il Mezzogiorno sarebbero state stanziate maggiori risorse, soprattutto economiche. Del resto, se si fa astrazione dalla protervia della forma comunicativa di chi rappresenta il mondo insegnante e insieme le istituzioni repubblicane, non c’è da stupirsi più di tanto. Niente di nuovo sotto il sole, le parole del ministro sono chiare e coerenti con l’approccio ai problemi della scuola dell’attuale governo Lega-Cinque Stelle. In fondo vanno semplicemente prese sul serio. Esse rappresentano la cartina di tornasole che conferma quanto di pessimo l’attuale governo si accinge a fare collocandosi in continuità con quanto, in questi ultimi decenni, è stato prodotto sul terreno delle politiche scolastiche in termini di tagli alle risorse e svalorizzazione del ruolo insegnante. Con l’aggravante, per giunta, del rischio che si concretizzi rapidamente il progetto di autonomia regionale differenziata che finirà per beneficiare coloro che già godono di una condizione di vantaggio
Anche per il futuro, si ribadisce con estrema chiarezza, la scuola italiana, e quella del Mezzogiorno in particolare, continuerà a essere umiliata e penalizzata. Non ci saranno risorse economiche per gli insegnanti e le insegnanti né investimenti per le strutture laboratoriali e tecniche, nessun supporto per le scuole di frontiera né per le attività di manutenzione, nessun finanziamento per la ristrutturazione e la messa a norma degli edifici scolastici o per la fruizione del servizio mensa, né per la costruzione di nuovi asili nido e di nuove palestre. E così di questo passo.
Il calo della spesa per l’istruzione
Vale la pena ribadire, allora, qual è lo stato dell’arte a proposito del complesso, ma al tempo stesso strategico, tema dell’istruzione, provando a soffermarsi sui divari territoriali, in termini innanzitutto di spesa per l’istruzione, ma non solo, che insistono sul territorio italiano. Al riguardo torna utile una recente pubblicazione del 2015 promossa dalla Fondazione Res, Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia e intitolata L’istruzione difficile a cura di Pier Francesco Asso, Laura Azzolina e Emmanuele Pavolini (Donzelli Editore). Nonostante si tratti di una ricerca sulla scuola condotta con strumenti di indagine e finalità non sempre condivisibili, non manca il rigore dei presupposti metodologici e una notevole quantità di utili informazioni. Particolarmente interessante è parso il capitolo intitolato La spesa per l’istruzione in Italia: una comparazione internazionale e interregionale di Vito Peragine e Gianfranco Viesti.
Neanche a farlo apposta vengono immediatamente evidenziati i drammatici e bassissimi livelli di spesa per l’istruzione messi in campo negli ultimi venti anni: “la spesa per l’istruzione scolastica è in Italia su livelli inferiori rispetto agli altri grandi paesi avanzati, e ha conosciuto negli ultimi anni una sensibile riduzione, a differenza di quanto accaduto altrove. (…) Nel 2011 la spesa italiana per studente nell’istruzione primaria e secondaria (inclusa la post-secondaria non universitaria) era di 8534 dollari, espressi all’Oecd a parità di potere d’acquisto (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ndr). La media dei paesi Oecd era di 8868 dollari (+ 4% rispetto all’Italia): rispetto ai principali paesi Oecd extraeuropei, il dato italiano è molto inferiore a quello degli Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia; (…) Nel quadro europeo, è sensibile lo scarto rispetto alla media dell’UE-21, dove la spesa per studente è di 9126 dollari (+7% rispetto all’Italia). Lo scarto italiano è molto forte rispetto ai paesi Scandinavi, all’Olanda, al Belgio, all’Austria. La spesa per studente è più alta del 14% nel Regno Unito, del 12% in Germania e del 9% in Francia;” [pagg. 187-188].
Come si può constatare da questi primi dati, l’Italia investe in istruzione relativamente poco rispetto agli altri paesi capitalisticamente più sviluppati, molti dei quali fanno parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Ma, aspetto ancor più preoccupante, a differenza di molti altri paesi che a partire dalla crisi economica del 2008 hanno deciso di investire di più in formazione, in Italia si assiste a una diminuzione della spesa per studente. Continuano i due ricercatori: “la posizione relativa dell’Italia si è fortemente deteriorata nel periodo più recente: la spesa scolastica è notevolmente diminuita, contrariamente a quanto avvenuto in quasi tutti i paesi dell’Oecd. (…) Fra il 2008 e il 2011 si contrae di ben l’11,5%. Nello stesso periodo, pur segnato dalla crisi internazionale, la spesa per studente continua ad aumentare nei paesi Oecd del 5,4%, e negli stessi paesi dell’UE-21, del 2,7%. Negli altri paesi maggiormente colpiti dalla crisi la spesa per studente continua a crescere in Portogallo, resta stabile in Irlanda e flette (-3,5%, molto meno che in Italia) in Spagna. La forte riduzione della spesa scolastica è quindi un fenomeno prettamente italiano; solo l’Ungheria ha un dato peggiore” [pagg. 189-190]. Rispetto a queste cifre, non presentano sostanziali differenze i dati relativi alla spesa per l’istruzione in rapporto al PIL. I dati per il 2011, sempre da fonte Oecd, evidenziano un significativo divario tra la spesa italiana e quella degli altri 32 paesi su 34 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo: 4,6% del PIL contro una media dell’UE-21 pari al 5,8% e dell’insieme Oecd pari al 6,1%.
Le differenze tra Nord e Sud
Veniamo adesso ai divari fra il Nord e il Sud del Paese. L’articolazione dell’erogazione su base territoriale e regionale della spesa è tutt’altro che semplice, tuttavia anche qui alcune tendenze, se si osservano i dati elaborati per il settore dell’istruzione dalle fonti informative dei Conti pubblici territoriali, sembrano piuttosto chiare. Le tabelle sulla spesa totale consolidata per istruzione nelle regioni italiane evidenziano che, su un totale di 43.424.014 euro, al Nord vanno 27.116.865 euro e al Sud solo 16.307.150 euro. Una tale dinamica, che vale per il periodo che va dal 2002 al 2012 “non ha interessato tutte le regioni nello stesso modo. Nel periodo considerato, nelle regioni del Centro-nord la spesa è cresciuta del 21% mentre al sud del 5%”[pag. 196]. Sempre per il periodo compreso tra il 2002 e il 2012 “la spesa in conto capitale (…) ha visto una flessione in quasi tutte le regioni, anche a causa delle stringenti norme del patto di stabilità interno. Tuttavia anche in questo caso, il calo è risultato più marcato nelle regioni meridionali in cui la spesa si è quasi dimezzata, passando da 290 euro per studente nel 2002 a 194 euro nel 2012 (-47%)”[pag. 211]. Gli autori evidenziano il fatto che questa dinamica è spesso collegata al più intenso ricorso alle attività di tempo pieno e di tempo prolungato che, “molto più accentuato nelle regioni del Nord, incide sul numero di cattedre da attivare a parità di classi. (…) Il Molise è la regione con il più basso ricorso al tempo pieno (soltanto l’1,3% delle classi è a tempo pieno) seguita dalla Sicilia (3,84%) e dalla Puglia (3,98%). Al contrario, in Lombardia il 43,4% delle classi è a tempo pieno”[pag. 215]. Tradotto in linguaggio comprensibile anche ai non specialisti, questi dati mostrano che dalla possibilità di fruire del diritto al tempo pieno conseguono importanti ricadute non solo al livello della spesa ma anche al più complessivo livello dell’apprendimento e dell’acquisizione di competenze e abilità.
Infine, un ultimo sguardo alle condizioni dei manufatti all’interno dei quali il mondo della scuola si trova a operare. “Le condizioni generali degli edifici scolastici sono significativamente peggiori nel Mezzogiorno e in Sicilia rispetto alla media nazionale dei dati. Pur con le cautele necessarie dovute alla disponibilità dei dati, questo emerge con riferimento a una pluralità di indicatori. Inoltre, le necessità di manutenzioni sono maggiori, mentre gli interventi che vengono realizzati sono inferiori” [pag. 218]. “Anche le dotazioni accessorie degli edifici scolastici presentano forti disparità territoriali (…). Nella media nazionale tre quarti degli edifici scolastici dispongono di giardini o spazi all’aperto. Al Nord la percentuale arriva quasi al 90%, mentre scende intorno al 40% al Centro-sud; (…) Simile, ma con scarti meno accentuati, è la situazione delle palestre. Nella media nazionale poco più della metà degli edifici dispone di palestre: al Nord la quota è del 56%, al Centro-sud poco superiore al 40”[pag. 223].
Certo, la ricerca scientifica, con la dovizia minuziosa e l’abbondanza copiosa dei dati, non guasta mai. Purtroppo non possiamo essere certi che ai vertici del Ministero dell’Istruzione se ne tenga conto. Tuttavia, sarebbe anche stato sufficiente farsi una passeggiata per le aule di molte scuole del Mezzogiorno d’Italia nel corso dell’ultimo gelido inverno, per constatare, con una ampiezza di riscontri senza pari, la condizione di mortificante disagio e estrema deprivazione di studenti e studentesse, piombati in un sonnambulico stato di ipotermia, avvolti in coperte e imbacuccati dentro plaid trasportati da casa, per resistere stoicamente al freddo. Forse il ministro Bussetti, quando parlava di sacrifici e di impegno si riferiva anche a questo.
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