Torte e fichi secchi

Rsu e lotta contro le nuove gerarchie della scuola-azienda

photo credits: Jehyun Sung

Da molti anni ormai siamo abituati a vivere il progressivo processo di impoverimento del ruolo docente dentro l’organizzazione della scuola, sia come mancato riconoscimento della professionalità, soffocata e inghiottita dal processo di standardizzazione dell’insegnamento, sia come parallelo indebolimento del potere di partecipazione attiva attraverso gli organi collegiali. L’affermarsi del modello aziendalista nei due decenni passati ha infatti determinato una progressiva revisione del modello organizzativo delle scuole, accentuando la divisione tra il lavoro tecnico-organizzativo e quello didattico. La dimensione didattica è stata progressivamente declassata a lavoro “esecutivo” distinto da quello organizzativo, svolto da una cerchia ristretta di docenti, selezionati attraverso l’attribuzione dirigenziale di incarichi aggiuntivi.

L’articolazione del comando

Si è così affermato il potere gerarchico di una parte dei docenti (e a volte anche degli ATA) sugli altri. Il fatto che le nuove figure e i poteri che rivendicano non abbiano spesso alcuna legittimità normativa non impedisce la loro ampissima diffusione nelle scuole aziendalizzate, in cui rappresentano l’articolazione del comando della dirigenza. Questa gerarchia tra i lavoratori delle scuole trova la sua espressione più significativa nel gruppo che spesso si autodefinisce con il termine staff, un organo informale costituito dai collaboratori più stretti del dirigente.

Il processo di gerarchizzazione del lavoro nelle scuole avvenuto in nome della sacra efficacia-efficienza aziendale, ha un risvolto sul piano retributivo che raramente riesce ad emergere in modo trasparente e sul quale per lo più le RSU sono riuscite ad intervenire solo marginalmente. Il denaro è notoriamente il più potente fattore di fidelizzazione nella gestione del personale, esso, associato al riconoscimento di un ruolo gerarchico, veicola prestigio, senso di orgoglio e di superiorità, auto convincimento della qualità del proprio lavoro. Per questo il salario accessorio, nel suo valore simbolico, è stato un elemento importante nell’attacco al modello cooperativo e collegiale di funzionamento della scuola anche in presenza di risorse di modesta entità. Negli anni alcune voci del bilancio delle scuole, come il FIS o il fondo per l’autonomia, sono andate sempre più assottigliandosi, ma ad esse si sono affiancate altre fonti non ministeriali destinate anche al pagamento del personale. L’effetto di competizione innescato dalla distribuzione del FIS ha assunto una dimensione più ampia e complessa perché, soprattutto nella scuola secondaria, si sono appunto aggiunte altre voci di finanziamento, quasi sempre “nascoste” nei bilanci di istituto e pressoché invisibili ai più; anche le RSU non hanno facile accesso alle informazioni sull’utilizzo di tali fonti che, salvo eccezioni, non sono divenute oggetto di contrattazione. Il FIS in molte situazioni è così rimasto la torta dei poveri, sempre più piccola, regolamentata nella sua distribuzione da una contrattazione che nelle esperienze migliori ha assicurato il rispetto di criteri di uguaglianza e trasparenza, ma che, appunto, rimaneva limitata solo a una parte delle risorse disponibili.

La moltipliczione dei fondi

Fondi degli enti locali, fondi europei Pon, fondi dell’alternanza scuola-lavoro, risorse tratte dal contributo volontario, fondo premiale, fondi regionali IeFP, sono alcune delle voci utilizzate anche per la retribuzione di personale presenti, insieme al FIS, nel bilancio delle scuole. Qui si trova la ciccia per chi vuole mangiare, qui banchetta l’aristocrazia docente che può permettersi di snobbare il FIS e le discussioni sulla retribuzione dei fichi secchi, qui trova la compensazione ai salari da fame anche una parte del personale ATA utilizzato per finalità diverse da quelle del funzionamento ordinario della scuola.

L’esistenza di altre fonti di finanziamento delle scuole è tanto più nota quanto più si è prossimi al vertice dell’organizzazione e al Consiglio di istituto. Forse varrebbe la pena di riflettere a questo proposito sulla distribuzione dei posti riservati ai docenti (ma anche agli ATA) in Consiglio: a fronte del disinteresse e del disimpegno diffusi che portano la maggioranza a non prendere in considerazione l’ipotesi di candidarsi e partecipare, altri –dato il loro coinvolgimento in progetti vari – sono invece molto interessati e sempre presenti in Consiglio. Non credo ci sia possibilità di smentita: chi prende di più sta in Consiglio perché esso è l’organo in cui emerge più chiaramente il quadro finanziario e si possono seguire i propri interessi, una ragione in più per ripensare e rilanciare la partecipazione democratica al suo interno.

In sintesi dobbiamo prendere atto che i più rampanti e motivati sanno quali sono le torte e dove ritagliarsi le fette di integrazione salariale, sanno che niente è più naif e meno redditizio che spendere tempo a studiare, preparare lezioni, fare prove di verifica e correggerle, insomma che tutto bisogna fare oggi per aumentare il proprio riconoscimento lavorativo, nel ruolo come nel portafoglio, fuorché fare i docenti.

IL RUOLO DELLE RSU

Esistono ancora due ruoli elettivi nella scuola, due ruoli “gratuiti”, che hanno accesso potenzialmente al menù e alla distribuzione delle portate: il membro del Consiglio di Istituto e la RSU. Entrambi sono ruoli ambiti proprio perché possono garantire un controllo e un ruolo concertativo; di contro entrambi sono terreno di intervento Cobas per contrastare la formazione della divisione gerarchica del lavoro nelle scuole

Per quanto riguarda le RSU il campo di intervento è quello delineato nell’art. 22 del nuovo CCNL che esplicita le materie di contrattazione integrativa a livello di istituzione scolastica tra cui in particolare: i criteri per la ripartizione delle risorse del Fondo d’istituto; i criteri per l’attribuzione di compensi accessori… al personale docente, educativo ed ATA, inclusa la quota delle risorse relative all’alternanza scuola-lavoro e delle risorse relative ai progetti nazionali e comunitari, eventualmente destinate alla remunerazione del personale; i criteri generali per la determinazione dei compensi finalizzati alla valorizzazione del personale, ivi compresi quelli riconosciuti al personale docente ai sensi dell’art. 1, comma 127, della legge n. 107/2015.

Possiamo richiamarci a questa fonte contrattuale per rivendicare il diritto a contrattare sui criteri di attribuzione di ogni trattamento economico accessorio del personale della scuola. Dobbiamo evitare di farci circoscrivere alla sola contrattazione del FIS, ma dobbiamo al tempo stesso evitare di farci ingabbiare in una sequenza di contrattazioni autonome sui diversi fondi. L’obiettivo è invece avere sul tavolo contemporaneamente tutte le risorse da distribuire per contrattare in una prospettiva sistemica e complementare. I cumuli retributivi imbarazzanti dei soliti noti potranno emergere alla luce del sole, così come le doppie e triple retribuzioni ricevute per i medesimi incarichi ma da fonti diverse, ecc.

L’utilizzo di una strumentazione flessibile di tipo contrattuale può consentire (senza accrescere eccessivamente il carico di lavoro per le RSU) di mettere le mani sul piatto. A titolo di esempio si possono indicare il divieto di cumulo degli incarichi entro un certo limite, il tetto complessivo della retribuzione accessoria, il divieto di retribuire la stessa funzione più volte, da utilizzare come criteri vincolanti da inserire nella parte normativa del contratto di istituto (preservando contemporaneamente le vecchie indicazioni-guida sulla distribuzione allargata a tutti delle risorse disponibili anche attraverso il riconoscimento della flessibilità, cioè delle mansioni ordinarie e non riconosciute del lavoro degli insegnanti e degli ATA).

Un primo passaggio fondamentale è quello di chiedere come informazione preventiva la rendicontazione nominativa delle retribuzioni assegnate nell’anno scolastico precedente, relative a tutti i fondi e con la descrizione della funzione svolta.

Ciò vale anche per il bonus. Credo sia importante evidenziare che il comma 4 dell’art. 22 sopra riportato include il fondo premiale tra le materie di contrattazione. Fermo restando il rifiuto a contrattare nello specifico tale fondo, qualora ciò avvenga sui parametri esposti nell’art .20 della parte comune del CCNL o in base a criteri che prevedono la discrezionalità del dirigente, credo sia invece importante includerlo nei criteri generali esposti sopra. Anche il bonus infatti costituisce trattamento economico accessorio e deve essere soggetto ai criteri generali di contrattazione; non dimentichiamo che attraverso il bonus si sono spostati anche 2-3 mila euro a persona per lo svolgimento di funzioni che di solito erano già retribuite con altri fondi. In sintesi, il rifiuto di contrattare criteri premiali non significa escludere il fondo del bonus dai criteri generali che definiscono in modo complementare e globale l’accesso alla retribuzione accessoria, in tal modo la funzione premiale sul piano economico sarebbe in buona misura vanificata.

(Vedi articolo specifico sull’argomento a pagina 5)

Tutto ciò potrebbe apparire un compito oneroso e in parte lo è. Ma è una delle vie praticabili per aprire conflitti che diano inizio a un processo di ricomposizione collettiva, facendo emergere interessi comuni alla maggioranza. Questa dimensione comunicativa, questo orizzonte di condivisione, anche a partire da piccoli gruppi all’interno delle scuole, è condizione di senso delle proposte presentate. La disgregazione competitiva del corpo docente ha assunto la forma dilagante dell’individualismo, del disinteresse per la contrattazione collettiva (nazionale e d’istituto) e dello spostamento verso una gestione personalizzata anche della dimensione salariale. Un primo obiettivo chiaro e imprescindibile è dunque contrastare con ogni mezzo questa deriva individualistica, far emergere una coscienza collettiva come condizione di senso della pratica contrattuale.