La profonda crisi strutturale, economica prima che finanziaria, ma anche ambientale, energetica e bellica, del capitalismo occidentale è esplosa proprio quando, dopo il crollo del socialismo reale, i suoi agiografi sostenevano che si sarebbe esteso senza limiti, portando la ricchezza ovunque. Ma una tale crisi è anche opportunità, come dice l’etimologia del termine: e dunque diventa cruciale ragionare su quale società potrebbe sostituire quella attuale. Tali considerazioni per Bernocchi sono state ingigantite dalle esperienze degli ultimi anni a livello internazionale, ove milioni di persone, in maniera organizzata, nella versione altermondialista e antiliberista varata a Seattle e poi nei Forum mondiali, e in quelle dei governi popolari dell’America Latina e dei grandi movimenti indigeni, contadini e ambientalisti, e poi tra gli “indignati” delle primavere arabe, europee e statunitensi, hanno prodotto abbondante materiale per gestire diversamente l’ambiente e la produzione, il territorio e i Beni comuni, l’amministrazione cittadina e nazionale. Una fioritura del genere non si era mai vista nel dopoguerra, nettamente superiore all’alternatività prodotta, sulla gestione concreta dell’esistente, dai movimenti degli anni ’60 e ’70. Altrettanto dirimente per Bernocchi è stato constatare come il crollo del primo, gigantesco tentativo di superare il capitalismo non avesse prodotto la rinuncia al mutamento ma anzi lo avesse fatto rifiorire, a dimostrazione di quanto, a livello di massa, il “socialismo reale” non fosse più percepito come un’alternativa reale al capitalismo sviluppato ma addirittura come una sua variante peggiorativa.
Se il superamento del capitalismo è obiettivo attuale, c’è l’urgente necessità, secondo Bernocchi, di rivedere le teorie della transizione da un sistema all’altro, separando nettamente l’idea di nuova società dalla parabola concreta del “socialismo realizzato”, senza l’illusione di poter separare il “bambino dall’acqua sporca”. È il bambino che ha continuamente sporcato l’acqua e non si è mai pulito: dunque, la morta società non deve soffocare la viva possibilità di una futura di tutt’altro segno. Non è desiderabile una società tutta statalizzata, con lo Stato in mano ad un partito unico e ad una opprimente borghesia di Stato, altrettanto oligarchica di quella privata; è stato un inganno la presunta “dittatura del proletariato” e serve la massima democrazia e possibilità di organizzare i propri bisogni; non ha senso abolire ogni forma di iniziativa privata, persino per produzioni insignificanti; ed è persino reazionaria l’idea che i conflitti sociali si estinguano e che, se si presentano ancora, è solo dovuto a complotti di restaurazione.
Bernocchi prende di petto direttamente il Marx (ed Engels) politico, distinguendolo dal Marx analista del capitalismo. Tanto materialista e profondo il secondo, tanto idealista, contraddittorio e dannoso il Marx della dittatura del proletariato, della fine della lotta di classe e dei conflitti sociali, della statalizzazione completa. Bernocchi dimostra, testi e citazioni amplissime alla mano, la profonda influenza di queste indicazioni politiche erronee su tutta la storia della socialdemocrazia, prima, e del bolscevismo poi, e di quanto “leninismo”, per dirla con un paradosso, ci fosse in Marx ed Engels, utilizzando anche il conflitto tra comunisti e anarchici nella prima Internazionale e le previsioni di Bakunin sull’elitarismo e l’autoritarismo insiti nel marxismo politico.
L’ideazione nel 2010 del termine “benicomunismo” da parte di Bernocchi non è stata casuale: e, seppur all’inizio criticato per il suo “inestetismo”, il neologismo si è diffuso parecchio nell’ultimo biennio, senza peraltro alcun riconoscimento per l’ideatore, come peraltro accaduto ai due libri, valutati assai positivamente da tutti coloro che li hanno discussi e soppesati, ma ignorati dai mass-media. Il termine recupera l’anelito trasformativo insito nel termine “comunismo” (anche nelle versioni precedenti a quello “scientifico” marxiano) mixandolo con la centralità dei Beni comuni così come sta maturando nel pensiero collettivo. E per non creare equivoci sul senso dato al termine, in Oltre il capitalismo Bernocchi ha sottoposto a critica serrata ed assai documentata altre teorie italiche “benicomuniste”, decisamente distanti dalla propria (Negri-Hardt, Mattei, Rodotà ed altri). Per Bernocchi i Beni comuni sono un’entità storica mutevole e sono quei beni che una società considera indispensabili per tutti/e da non destinare al profitto, privato o di Stato. Qui ed ora essi riguardano ad esempio l’istruzione, la sanità, l’energia, l’ambiente, l’acqua e la terra ma anche la finanza pubblica, i soldi che lo Stato preleva ai cittadini e le industrie strategiche. Questi beni vanno sì sottratti ai privati ma socializzati e non solo statalizzati, visto che la vorace borghesia di Stato – così Bernocchi definisce l’insieme di ceti politici e amministrativi che gestiscono le strutture pubbliche – può utilizzarli per fini privati anche senza possederli individualmente.
Altrettanto fondamentale è la teoria di Bernocchi sulle alleanze sociali per la gestione del benicomunismo. In contrasto alla ideologia del Partito che gestisce l’esistente in nome degli interessi collettivi – ma in genere garantendo quelli propri di casta/classe – Bernocchi ritiene che le esigenze generali vadano realizzate nell’incontro tra i vari strati sociali interessati al cambiamento, che devono organizzarsi senza delegare ad altri i propri bisogni. Oltre ad una analisi dell’attuale frantumazione del classico lavoro operaio e dipendente, salariato in fabbrica o nei servizi e nel pubblico impiego, decisamente innovativa è l’analisi del lavoro autonomo e della piccola imprenditoria che Bernocchi si rifiuta di chiamare spregiativamente – come nella pessima tradizione marxista e comunista: e sul tema c’è in particolare un’asperrima critica al Gramsci dell’Ordine Nuovo – “piccola borghesia”, definizione ritenuta fuorviante ed inutile. La scissione tra lavoro dipendente e piccolo lavoro autonomo è giudicata uno dei più grossi ostacoli alla trasformazione, prodotta scientemente dal potere politico, economico e dai sindacati statalizzati in Italia e altrove.
Le alleanze paritarie, senza “reductio ad unum” politiche o sociali, senza egemonismi, sono un elemento fondante della teoria benicomunista di Bernocchi, che ritiene negativa la gerarchizzazione dei conflitti, ritenendo il conflitto capitale-lavoro rilevante come quello tra capitale e ambiente, o quello di genere o quello tra imperialismi e popoli in cerca di autonomia e indipendenza.
Nei due libri profondi interrogativi si addensano sulle possibilità di realizzare una vera socializzazione dei Beni comuni, che li renda davvero condivisibili dall’intera società. Bernocchi enuncia varie proposte per rendere più agevole tale socializzazione e rendere la gestione democratica dei Beni comuni non solo un diritto ma anche un dovere, esponendo alcune condizioni indispensabili che non sono date nella società attuale e mettendo però in guardia dal dare per scontato che tali condizioni sarebbero di per sé sufficienti ad eliminare quella la borghesia di Stato che impone la privatizzazione di fatto dei Beni comuni in mano a caste e ceti neoproprietari. E Bernocchi, anche rifacendosi all’esperienza dei Cobas – unico sindacato di certe dimensioni in Europa ad agire a livello politico, sindacale e culturale senza professionisti stipendiati – , sottolinea le enormi difficoltà riscontrate nel processo di rifiuto della delega e di partecipazione collettiva.
L’analisi delle possibilità di socializzazione dei Beni comuni ha spinto Bernocchi ad affrontare il complesso problema della “natura umana”, nello storico dualismo antropologico tra prodotto culturale o biologico, e ad elaborare la teoria dell’”egoismo altruista”: e cioè – rifuggendo dalla lettura marxista dell’“altruismo” e “collettivismo” innati negli uomini – il riconoscimento della necessità di conciliare la difesa e potenziamento dell’Ego con la indispensabilità degli Altri, della collettività. Bernocchi mette in evidenza, con notevole approfondimento psicologico e filosofico, le difficoltà di conciliare Io e Noi e della realizzazione dell’”egoismo altruista”.
I due testi sono anche un potente excursus su 50 anni di conflitti sociali e di movimenti di lotta in Italia e altrove. Per Bernocchi l’elaborazione teorica non è mai stata disgiunta dalla pratica politica, conflittuale e rivoluzionaria nei contenuti oltre che nelle forme. Analizzare la società e i suoi movimenti ed elaborare teorie interpretative, è per Bernocchi strumento fondamentale per orientarsi, senza limitarsi a fare “ginnastica rivoluzionaria”, nella attività trasformativa di ogni giorno, essendo la transizione un processo continuo. Per questo Bernocchi ha coinvolto nella sua produzione teorica esponenti dei movimenti degli ultimi decenni, e in particolare del movimento altermondialista. Con una cinquantina di essi/e ha discusso a fondo sul primo libro in decine di presentazioni in giro per l’Italia. Poi a quelli/e disponibili ha proposto di scrivere valutazioni, critiche e approfondimenti su Benicomunismo , pubblicandoli in Oltre il capitalismo, usandoli per arricchire i contenuti del primo libro.
Indubbiamente, questi due testi di Bernocchi costituiscono un importante e stimolante punto di partenza per tornare a riflettere e a discutere su temi assenti dal dibattito politico mainstream ma che invece sono essenziali per coloro che auspicano un cambiamento radicale e in positivo dello stato di cose presenti.
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