Alessandro Portelli (romano, classe 1942) è stato ordinario di letteratura angloamericana all’Università “La Sapienza”, è uno dei principali teorici della storia orale, ha raccolto poesie e canzoni popolari statunitensi e ha scritto diversi saggi sulla letteratura afro-americana. Ha collaborato con l’Istituto Ernesto De Martino, per il quale ha effettuato ricerche sulla musica popolare, curando diverse registrazioni per I Dischi del Sole.
FC – Hai cominciato a lavorare sulla storia orale e ti sei trovato di fronte alla “liquidità” della memoria in uno dei tuoi primi lavori, analizzando lo “spostamento” della memoria collettiva che riguardava l’uccisione dell’operaio ternano Luigi Trastulli, ammazzato dalla polizia a Terni il 17 marzo del ’49, durante una manifestazione contro l’adesione dell’Italia al Patto atlantico. Durante le interviste noti che la memoria collettiva della città operaia aveva spostato l’evento qualche anno dopo, nel ’53 durante gli scontri di piazza avvenuti in città per i licenziamenti politici nelle acciaierie. Quindi su questa dimensione dello spostamento della memoria collettiva, hai cominciato a costruire una teoria e una pratica della storia orale che ci ha offerto importanti e fondamentali testi storici. La storia orale è stata la voce delle classi subalterne, un discorso e una forma di sapere non ufficiale che proponeva una lettura della storia dal basso. Oggi invece vediamo che spesso la memoria non rappresenta più le classi subalterne, ma è memoria pubblica, memoria di Stato, penso al Giorno della memoria o, ancora peggio, al Giorno del ricordo, che vengono utilizzati per riscrivere non dal basso ma dall’alto la storia, falsificando o rovesciando i fatti. Cosa ne pensi di questa memoria pubblica, di Stato, che sembra essersi appropriata dello spazio della narrazione orale e della memoria delle classi subalterne, di questa operazione dall’alto di appropriazione di una memoria collettiva?
AP – La memoria non è semplicemente un deposito di informazioni ma rappresenta un lavoro di creazione di un rapporto tra il momento in cui si ricorda e il momento che viene ricordato e quindi di attribuzione di un senso del presente a questi momenti del passato. Questo processo non caratterizza solo il mondo popolare, è una funzione che caratterizza sempre il nostro rapporto col passato e anche nel lavoro della storiografia il problema di fondo sottinteso è sempre questo: quanto una ricostruzione di senso è condivisa. Direi che non mancano esempi di narrazioni storiche che sono diventate contemporaneamente popolari ed egemoniche. Un esempio è quello a cui ho dedicato molto tempo, quello sulle Fosse Ardeatine. Sulla strage delle Fosse Ardeatine, le istituzioni, a partire dalla chiesa cattolica, hanno promosso una narrazione falsa che poi è diventata anche senso comune, per cui questa dimensione c’è. Quello che sta accadendo con il Giorno della memoria e il Giorno del ricordo ha un po’ a che fare con quello che succede nel momento in cui una memoria, che era in parte emarginata, diventa memoria ufficiale. Questo è accaduto con la memoria della Shoah che non aveva tutta questa centralità nel discorso pubblico fino al caso Eichmann e poi fino all’arrivo del film Olocausto in televisione (1979 ndr).
Quello che succede è che quando una memoria del passato diventa narrazione di Stato, automaticamente genera – soprattutto in una fase come la nostra in cui c’è un forte scetticismo nei confronti delle istituzioni e dello Stato – immediatamente uno spazio di antagonismo. Per cui non è del tutto inspiegabile il fatto che, da quando esiste il Giorno della memoria, il numero degli italiani che dubitano che sia esistita la Shoah sia passato dal 2% al 15%: una narrazione storica identificata con le istituzioni nel momento di discredito di queste diventa immediatamente screditata essa stessa.
Nel caso del Giorno del ricordo succede una cosa ancora più complessa perché la memoria di destra ha sempre rivendicato una sua credibilità in quanto memoria soppressa, memoria negata, memoria alternativa. Tutti i libri di destra portavano i titoli “la verità su…“. Questa è una memoria che stava giustamente a margine. Nel momento in cui la destra, ormai sono 25 anni, ha preso il potere, politicamente controlla le istituzioni, la narrazione di destra del passato storico ha fatto una specie di manovra a tenaglia: da una parte è memoria ufficiale, è il Giorno del ricordo, con queste celebrazioni a Basovizza ecc, dall’altra però continua a praticare la retorica della memoria antagonista. Ormai sono venti anni che ogni anno si celebra la questione delle foibe e sono 20 anni che ci dicono che questa è una memoria taciuta, soppressa eccetera. Non è vero naturalmente, è una memoria di Stato anche questa, solo che riescono ad avere questa manovra a tenaglia, per cui è contemporaneamente – già lo vedevo nella memoria delle Fosse Ardeatine negli anni ’90 – memoria egemonica e memoria antagonista, e quindi praticamente diviene invincibile perché gioca su questo doppio registro.
FC – Nella lettura che ha fatto la sinistra storica -almeno fino al saggio di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza – erano state spesso volutamente sottaciute, rispetto alla Resistenza, la guerra civile e quella di classe. Questo testo ha aperto ad un’interpretazione molto più complessa della Resistenza. La destra ha sempre cercato di parificare, bilanciare i protagonisti e le responsabilità della guerra civile. In questa egemonia attuale della narrazione di destra c’è, da una parte, una sorta di inaccettabile vittimismo, dall’altra un’indecente parificazione tra la Shoah e le foibe in una sorta di delirante tentativo di riscrittura, di ribaltamento delle responsabilità e dei fatti storici, lavoro facilitato dal fatto che a sinistra non c’è più un orizzonte di lotta di classe che rivendichi quel tipo di Resistenza. Siamo arrivati al delirio che non si canta Bella ciao o Fischia il vento in quanto considerati canti divisivi e non fondativi, come la Resistenza, della Repubblica!
AP – Sono convinto che Bella ciao o Fischia il vento debbano continuare a essere divisivi. Fino a quando ci sarà qualcuno che ha nostalgia del fascismo e del nazismo il discorso antifascista deve essere tale. La memoria non deve servire a unificare, la memoria serve a discutere, a confrontarsi.
Nel caso della memoria della resistenza il libro di Pavone è ineccepibile e non lascia terreno a malintesi o altro. Nel clima di guerra fredda nel dopoguerra dare una certa versione unitaria di tutto il popolo italiano e negare l’idea di guerra civile era per la sinistra quasi un requisito di sopravvivenza perché serviva a legittimarsi nell’arco costituzionale. Quello che è successo è che nel momento in cui tutto questo è stato in qualche modo ignorato, sulle contraddizioni della Resistenza non abbiamo avuto un discorso per cui quando è riemersa la narrazione delle foibe, con questa nuova egemonia della destra, la sinistra politica non aveva un discorso, la sinistra non sapeva, anche se su Trieste, sulle foibe avevano lavorato storici di sinistra, ma la sinistra, non aveva un discorso alternativo. Questo è avvenuto, non a caso, dagli anni ’90…
FC – Ricordo Violante con il discorso sui Ragazzi di Salò…
AP – Violante coi Ragazzi di Salò è la cattiva idea per cui la memoria deve servire a riconciliare… manco per niente! Questa idea che bisogna riconciliarsi, teoricamente è una stupidaggine, inoltre è stato grave dire “i Ragazzi di Salò” contrapponendoli dunque a vecchi partigiani, quando invece Salò era piena di vecchi arnesi fascisti, mentre in realtà era nella Resistenza che c’erano tanti giovani, erano loro i ragazzi! Però nessuno ha mai detto ”i ragazzi della Resistenza“, quindi gli abbiamo regalato questa dimensione.
Comunque quello che è successo è che con il crollo del PCI, dopo la caduta del muro di Berlino, non avevano una narrazione antagonista a quella liberale, allo stesso modo quando è venuta fuori l’egemonia politica della destra, da Berlusconi in poi, la sinistra non aveva un discorso alternativo sul confine orientale. Per cui non è stata in grado di imporre un normale discorso storiografico.
Guardiamo pure tutto quello che è successo – senza che questo giustifichi i crimini dei partigiani jugoslavi e dei loro alleati italiani – senza che questo possa cambiare il giudizio di fondo su fascismo, antifascismo e democrazia.
FC – Non dimenticando nel contempo l’occupazione italiana, i campi di concentramento e sterminio italiani, Arbe e Gonars ecc. Nella legge che istituisce il Giorno del ricordo si parla solamente della memoria della tragedia degli italiani e delle vittime delle foibe come se la storia iniziasse nel 1944 e non almeno 20 anni prima…
AP – Molto spesso ricordare serve anche per dimenticare. Una cosa in comune che hanno il Giorno della memoria e il Giorno del ricordo è che ci invitano a ricordarci in quanto vittime, mentre la funzione fondamentale della memoria non sarebbe quella di ricordare quanto siamo stati eroici, quanto siamo stati vittime o quanto abbiamo sofferto, ma di ricordarci esattamente le cose orribili che noi abbiamo fatto. Quindi, per esempio, c’è la necessità, nel Giorno della memoria, di ricordare il ruolo degli italiani nella Shoah. A Roma quasi la metà degli ebrei deportati sono stati denunciati dagli italiani.
Per la storia ufficiale dovremmo ricordarsi solo delle cose cattive che ci hanno fatto gli altri, ma mai delle azioni terribili che abbiamo realizzato, per cui quando si dice “mai più” non lo diciamo a noi, ma lo diciamo agli altri. Si afferma “mai più permetteremo che ci massacrino nelle foibe“, non che mai più andremo a massacrare in Slovenia, in Croazia, in Montenegro, in Etiopia o in Libia.
FC – Su questo i lavori di Angelo Del Boca, di Giacomo Scotti hanno aperto uno squarcio sul mito degli italiani brava gente…
AP – I libri di scuola che adesso includono pagine e pagine sulle foibe, sul colonialismo italiano continuano a tacere. Abbiamo una responsabilità in quanto abbiamo sempre detto “sono stati i fascisti”. No, sono stati gli italiani, anche perché come ci ricordano gli afro-italiani oggi, il colonialismo italiano non comincia con Mussolini, ma negli anni ’80 dell’800 con il tentativo di occupazione dell’Etiopia.
FC – Molti storici a partire da Del Boca leggono la nascita del colonialismo italiano con la guerra al cosiddetto brigantaggio, una sorta di colonialismo interno…
AP – In questo senso proprio perché se la memoria deve servire a disturbare, allora le foibe sono il racconto di cui noi sinistra, noi antifascisti ci dobbiamo fare carico. È stato un grave errore non farci carico delle azioni negative fatte da quelli che stavano dalla nostra parte, perché non facendoci carico di questo noi abbiamo lasciato le porte spalancate alla narrazione di destra. In qualche misura – in quanto continuo a dirmi comunista- schematicamente Hitler non è un problema, ma Stalin sì. Allo stesso modo le Fosse Ardeatine per me sono un problema nella misura in cui sono un atto commesso da esseri umani, quindi da gente come me, ma non sono un problema politico, sono un problema umano. Le foibe sono un problema umano e politico in quanto sono state fatte “in mio nome“. Nella misura in cui abbiamo rimosso responsabilità, tutto quello che rimuovi ritorna fuori in forma di spettro.
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