Marcare stretto

L'analisi dei più recenti avvenimenti politici e sociali nel nuovo libro di Piero Bernocchi

photo credits: Carla Arenas on Flickr

Il 27 gennaio Giuseppe Conte, in un’intervista – che a sentirla oggi dovrebbe provocare il linciaggio suo e del governo che presiede (ma anche dell’altrettanto irresponsabile e grottesca opposizione che ancora pensava alla guerra contro i migranti neri), sosteneva (…) che l’Italia era assolutamente pronta ad affrontare l’eventuale arrivo dell’epidemia” (di Covid-19 ndr). Come si è poi registrato, mai previsione fu più azzardata e
smentita dagli eventi successivi. I libri servono anche a questo, a tenere desta la memoria e a impedire che la realtà dei fatti, di fronte alle falsificazioni più strambe, possa essere rimossa. E quella appena citata è una delle più sferzanti e corrosive fra le innumerevoli considerazioni contenute nel libro di Piero Bernocchi Pandemie virali e contagi politici (Massari Editore, Bolsena, 2020).

Bernocchi raccoglie, in una sorta di diario di bordo, alcuni dei suoi contributi di analisi sociale e politica stilati negli ultimi anni. Apparentemente lo scritto sembra avere la cifra dell’indagine cronachistica, ricca di argute osservazioni sugli scenari dell’attualità italiana e internazionale: Salvini e il movimento delle sardine, la tragica attualità dei fenomeni migratori e i Cinque Stelle, il populismo e i limiti della sinistra d’opposizione. Ma, a guardare più a fondo, il libro di Bernocchi ci parla della crisi di civiltà nella quale il mondo intero sembra essere precipitato. È una crisi nella quale si intrecciano pandemie sanitarie e politiche, emergenze ambientali e climatiche, in un circolo sistemico che non va colto come il casuale affastellarsi di uno o più eventi episodici e congiunturali ma come un processo che durerà per parecchio tempo.

In effetti, nel focalizzare la propria attenzione sugli eventi degli ultimi anni, il libro coglie la natura periodizzante del collasso sanitario, politico e economico innescato dal Covid-19, ne evidenzia la dimensione processuale e si interroga sui possibili margini di intervento che, per rispondere alla crisi, sono riservati alle società nel loro complesso e ai movimenti anti-sistemici in particolare. Se si può leggere, come si è detto, come un diario, in presa diretta, dei principali avvenimenti degli ultimi anni, vi si può anche rintracciare la consapevolezza del fatto che lo scoppio della emergenza pandemica segna un punto di svolta fondamentale. L’utilità del libro risiede, per l’appunto, proprio nel sapere mostrare quale fosse il tema centrale del dibattito politico prima (Salvini, le sardine, il governo PD-M5S e il populismo nazional sciovinista) e dopo l’esplosione della pandemia, e come tutto si sia repentinamente trasformato e capovolto. Entro questo scenario il lavoro collettivo e l’azione comunitaria sono ritenuti imprescindibili. Urge, dunque, un cambio di paradigma.

La paura come passione triste

Il lavoro di Bernocchi sembra essere costruito a forma di cipolla, presenta più strati di lettura e, dunque, differenti livelli di riflessione. Non potendo riassumere nel breve spazio di un articolo l’estesa quantità di spunti e suggestioni offerte dal libro, ho pensato di individuare due o tre questioni che mi è sembrato possano rivestire, agli occhi del lettore, un interesse privilegiato. Si potrebbe innanzitutto cominciare dal tema della paura come passione triste, individuale e collettiva, in grado di assumere un ruolo determinante nel gioco delle complesse e contraddittorie dinamiche politiche. Questo interesse, nel libro, è declinato in più direzioni. Si veda, in primo luogo, come la paura venga strumentalizzata, e anche surrettiziamente suscitata, dalle volgari sparate dei leader della destra fascio-leghista, o come sia stata proiettata al centro dell’esistenza di ciascuno di noi a causa della tragica e inaspettata pandemia.

Fin dal primo degli articoli dedicati al tema dell’emergenza dovuta al Covid-19, l’autore coglie sia la drammatica inadeguatezza delle strutture sanitarie dovuta alla folle e drastica riduzione delle risorse economiche impiegate per la tutela del diritto alla salute (i funesti e sciagurati tagli alla Sanità), sia il drammatico pericolo che, a colpi di Decreti Ministeriali, possa essere fortemente limitata ogni attività pubblica, anche di incontro e di discussione. Il panico scatenato dall’emergenza ha determinato una sorta di preoccupante auto-limitazione e autoriduzione delle proprie attività, anche per reti politiche e strutture sindacali fortemente combattive. Come se ci fosse il pericolo di un controllo totale e reclusorio dettato, senza atti apertamente repressivi, da parte del sistema politico-istituzionale. In una logica da quarantena concentrazionaria che sta provocando pesanti danni fisici e psichici a milioni di persone. L’appello di Bernocchi è a non cancellare del tutto “la vita associata, politica, sindacale, culturale, lo stare insieme, la solidarietà e lo scambio tra uomini e donne associati/e, il sostegno reciproco; si eviti così di vedere l’altro/a addirittura come un nemico, un untore che mette a repentaglio la nostra integrità fisica e psichica”. Insomma, il rischio è che, pur riconoscendo la gravità dell’emergenza sanitaria, la condizione di emergenza determini processi di centralizzazione del potere e di introiezione e accettazione supina di provvedimenti restrittivi delle libertà individuali.

La crisi ambientale

Un’altra questione dirimente che spicca, qua e là tra le pagine del libro, riguarda la preoccupazione per la crisi ambientale: cambiamenti climatici, enormi quantità di rifiuti, produzione energetica attraverso i combustibili fossili, grandi opere costose e inutili, saccheggio dei territori, scriteriate attività estrattive, produzioni dannose ed inquinanti, iperconsumi: milioni di persone hanno preso coscienza che tutti questi elementi sono interconnessi in un sistema che sta portando l’intera società verso il collasso. Chi scrive trova importante, peraltro, connettere questa denuncia al fatto che l’emergenza pandemica risulta essere il risultato di uno squilibrio ecosistemico globale. La distruzione della biodiversità e la rarefazione del confine tra l’umano e le altre specie (su cui noi agiamo anche attraverso le modificazioni genetiche), determinano l’alterazione del ricambio organico, come Marx avrebbe scritto, tra mondo naturale e mondo umano. Si pensi alla deforestazione che comporta la distruzione di specie animali e vegetali, agli allevamenti intensivi, all’urbanizzazione forzata e all’abbandono delle campagne, tutti fattori che evidenziano i limiti di un’economia globale sempre più orientata verso una crescita irrazionale. Senza per questo volere assecondare quelle spiegazioni sul capitalismo pandemico che corrono il rischio di esentare dal compito di individuare, qui e ora, i responsabili delle inefficienze e della disorganizzazione sanitaria, Bernocchi sostiene che tutte le principali contraddizioni presenti nel capitalismo sono tra di loro collegate e devono trovare risposta in un movimento plurale e profondamente democratico. Resta il fatto che non è umanamente e politicamente possibile voltarsi dall’altra parte e sottovalutare le gravissime responsabilità dei governi nell’affrontare l’emergenza sanitaria.

Stato e capitalismo

L’ultimo tema che voglio ricordare è quello relativo alla questione del rapporto tra capitalismo e Stato che, a mio avviso, riveste un ruolo centrale nell’economia complessiva del libro. Il dibattito sul ruolo pianificatore dello Stato e sui suoi compiti in tema di erogazione di diritti sociali, economici e civili, in primis un’assistenza sanitaria pubblica, universalistica e degna di questo nome, è tornato, a seguito della pandemia di questi ultimi mesi, di straordinaria attualità. Secondo Bernocchi, presidiato com’è da invadenti forze burocratiche, politiche e forse anche criminali, lo Stato sembra essere destinato a essere, in maniera permanente, subordinato a logiche privatistiche al pari del capitale privato. Qui risiede uno dei punti nevralgici dello scritto: l’autore sottolinea la differenza che intercorre tra la nozione di statale e quella di pubblico. Se nel primo caso il controllo sociale e la direzione produttiva da parte dello Stato determinano una gestione capitalistica, indipendentemente dalle forme della proprietà, della ricchezza nazionale, e il conseguente rischio di una sussunzione del sociale dentro l’esclusiva determinazione di un Partito Unico, nel secondo caso l’evocazione della necessità di elaborare le coordinate di riferimento per una rinnovata sfera pubblica rimanda al tema della socializzazione dei beni comuni. Nazionalizzazione non significa automaticamente la socializzazione dei mezzi di produzione; cosa ben diversa può essere la socializzazione dei beni comuni dove per bene comune deve essere considerato “tutto ciò che la larga maggioranza della popolazione ritenga una ricchezza collettiva che esiga un controllo e una gestione pubblica e socializzata, in forme democratiche da stabilire ma di certo sottratta dalle mani sia del capitale privato sia della nomenclatura di Stato”. Bernocchi rivendica “la socializzazione di acqua, scuola e istruzione, sanità e salute, terra e sue produzioni basilari e regole dell’uso pubblico di essa e dell’ambiente, trasporti e energia, nonché (…) una parte significativa dei mezzi di informazione, comunicazione e conoscenza; ma anche (…) le principali produzioni industriali, strategiche ed essenziali, per il capitale ‘pubblico’ e collettivo – quello che oggi è nelle mani dello Stato tramite la tassazione dei cittadini/e e le rendite e i profitti della produzione statale e del patrimonio mobiliare e immobiliare ‘pubblico’- e dunque anche (…) le principali strutture bancarie e finanziarie.” Si tratta, evidentemente, di un obiettivo quanto mai arduo che comporta di necessità il dovere mettere in conto la possibilità di laceranti conflitti.

La debolezza dei movimenti

A fronte di tutto questo complesso intreccio di problemi esiziali, Bernocchi riconosce che il campo dei soggetti dell’alternativa, e tra questi i Cobas, non è riuscito a mettere a valore, stabilmente, un’alleanza organica, una forte coalizione in grado di affrontare insieme i vari fronti conflittuali, senza l’imposizione di egemonie organizzative al proprio interno e capace, portando a casa risultati significativi di positivo cambiamento, di influire significativamente anche sulle istituzioni e sui poteri. Da qui la riflessione sul valore e il senso dell’attivismo politico e della militanza, riflessione che campeggia approfonditamente nella prima parte del libro, dedicata alle figure mitiche di Sisifo, Icaro e Dedalo. Vi è, in conclusione, l’esigenza di ricostruire, a partire dalle aree della sinistra antagonista, antirazzista e antiliberista, un nuovo movimento di massa in grado di trasformare positivamente l’esistente. Tuttavia, per realizzare tutto ciò occorre cambiare paradigmi di riferimento, emanciparsi innanzitutto dalle persistenti tare settarie ed auto-ghettizzanti. Tenendo sempre a mente che, e il movimento delle sardine sta lì a ricordarcelo, imprevedibili e inattese energie covano misconosciute e ignorate tra i cittadini e le cittadine, energie che attendono soltanto l’occasione buona, e sovente improvvisa e imprevista, per manifestarsi ed esplodere. Perché, come scrive Bernocchi, “una cosa è certa: non essere riusciti/e in un’impresa, personale o collettiva, tecnica o politico-sociale, per alcune centinaia di anni non è un buon motivo per non continuare a provarci”.