photo credits: Carnagenyc
Dal 7 al 17 novembre scorso a Bonn si è tenuta la Cop 23 (la 23° Conferenza annuale ONU sul clima) nella quale i rappresentanti di 195 Paesi più l’UE, si sono riuniti al principale scopo di trovare strategie di applicazione concreta degli Accordi di Parigi, raggiunti nella Cop 21 del 2015, in tema di riduzione dei gas climalteranti. Accordi storici che, a seguito dei proclami enfatici dei leader mondiali, avevano suscitato grandi speranze per il contenimento del gravoso problema del surriscaldamento globale.
Il ‘clima’ fiducioso è però ben presto svanito dopo le analisi degli ecologisti sul testo conclusivo dal quale sono invece emerse significative criticità, in primis: la mancata istituzione sia di “un comitato di controllo del rispetto delle disposizioni” che di un “meccanismo sanzionatorio” per chi non rispetti gli impegni sottoscritti. In pratica si tratta di accordi giuridicamente non vincolanti il cui rispetto è riposto nella sensibilità ambientale dei governi e nella loro determinazione politica nel trasformarla in atti concreti.
La Conferenza di Bonn che si era aperta con queste premesse e col dichiarato scopo di accelerare sulla strada dell’implementazione degli Accordi di Parigi e di fissare più stringenti regole, dopo due settimane di incontri serrati si è conclusa senza alcuna decisione importante. Un fallimento in parte annunciato e confermato dall’assenza dei principali leaders mondiali, ad eccezione di Merkel e Macron, e del grande circo mediatico internazionale che ha, salvo alcune eccezioni, disertato, e quindi oscurato al grande pubblico, l’evento.
Quattro tuttavia risultano, seppur di basso profilo, i risultati conseguiti degni di nota:
Tutto il resto un’empasse totale. In pratica non sono state assunte significative decisioni in merito:
Le responsabilità del fallimento sono principalmente riconducibili agli egoismi nazionali dei Paesi più sviluppati i quali, nonostante i proclami di voler comunque andare avanti a prescindere dalle posizioni di Trump, si sono distinti per le assenze o per dichiarazioni ‘fumose’.
Lo stato attuale dell’atmosfera
Mentre a Bonn andava in scena la rituale commedia delle parti, i più recenti report in materia, prodotti da vari Istituti di ricerca, fotografano una situazione in allarmante evoluzione, sia per quanto riguarda la composizione chimica dell’atmosfera, che per le condizioni meteo-climatiche globali.
In base al report diffuso dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) a fine ottobre la concentrazione di anidride carbonica, principale gas serra, in atmosfera si sarebbe ormai stabilizzata a fine 2016 oltre le 400 parti per milione, con un aumento di 3 punti rispetto all’anno precedente. In pratica un netto e strutturale sforamento della soglia di sicurezza fissata a 350, oltre la quale le possibilità di riduzione diventano estremamente più complesse. Infatti anche se riuscissimo fin da oggi ad abbattere totalmente le emissioni inquinanti, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera continuerebbe ad aumentare per alcuni decenni, a causa dell’inerzia del fenomeno, rendendo problematico il rientro sotto tale soglia.
La presenza di anidride carbonica nell’atmosfera ha subito un forte incremento rispetto all’era pre-industriale (1750) registrando ad oggi una crescita del 145% con una brusca impennata nell’ultimo mezzo secolo, durante il quale è salita di ben 80 punti. Una crescita che rischia di vanificare, se non affrontata drasticamente, gli obiettivi fissati agli Accordi di Parigi: contenere l’aumento della temperatura media terrestre non oltre i 2 gradi centigradi (possibilmente 1,5) rispetto al periodo preindustriale, entro la fine del secolo. Se consideriamo che in base allo stesso report del WMO la temperatura media degli oceani e dell’atmosfera è aumentata di ben 1,1 °C rispetto all’era pre-industriale e le peculiarità del sistema Terra rispetto al ciclo di assorbimento dell’anidride carbonica, il quadro da complesso si trasforma in drammatico: in assenza di interventi concreti finalizzati all’abbattimento delle emissioni globali, in base alle previsioni degli scienziati, saremmo proiettati verso una crescita della temperatura media terrestre compresa fra i 3° ed i 5°, con catastrofiche conseguenze climatiche sulle produzioni agricole e sulla vita delle persone
Riscaldamento globale e cambiamenti climatici
Inoltre il report del WMO denuncia in modo allarmante come “con ogni probabilità il 2017 sarà uno dei tre anni più caldi di sempre”, confermando il trend di inesorabile riscaldamento già statisticamente rilevato: 16 dei 17 anni più caldi dall’inizio delle rilevazioni meteorologiche sono stati quelli del nuovo millennio, oltre al 1983.
I dati diffusi dalle varie Organizzazioni e Istituti di ricerca si riferiscono ovviamente al sistema Terra nel suo complesso, senza prendere in considerazioni le implicazioni locali dei fenomeni in atto, che purtroppo talvolta presentano i loro aspetti più drammatici in termini di anomalie meteorologiche con conseguenti devastanti effetti ai danni dell’ambiente e delle persone. In numerose regioni terrestri infatti negli ultimi anni è stato riscontrato un sensibile incremento degli eventi climatici estremi quali uragani e inondazioni catastrofiche, bombe d’acqua e piogge torrentizie, ondate di calore e di siccità da record, scioglimento delle calotte polari e innalzamento del livello degli oceani.
Secondo i dati WMO il periodo gennaio-settembre 2017 ha avuto una temperatura media globale di circa 1,1 °C al di sopra del livello pre-industriale con varie zone dell’Europa meridionale, come l’Italia, il Nord Africa, parte dell’Africa orientale e meridionale oltre alla Russia asiatica e alla Cina hanno raggiunto temperature massime senza precedenti. Gli Stati Uniti nordoccidentali e il Canada occidentale, al contrario, hanno registrato temperature più basse rispetto alla media del trentennio 1981-2010.
Come invertire la rotta?
Il riscaldamento globale ed i cambiamenti climatici accompagnati da un preoccupante aumento dei fenomeni meteorologici estremi non risulta quindi una mera questione accademica ma un preoccupante fenomeno che tocca la vita dei comuni cittadini a partire dai danni subiti a seguito degli eventi catastrofici, per finire all’impatto sulle produzioni agricole che stanno subendo drammatiche riduzioni con nefaste conseguenze, principalmente sulla vita dei contadini del Sud del mondo che in misura maggiore sono costretti ad abbandonare le loro terre ormai inaridite per cercare una speranza di sopravvivenza altrove. Il fenomeno delle migrazioni forzate per cause climatico/ambientali è in drammatica ascesa tant’è che nel 2016 ha subito un ulteriore incremento arrivando a toccare la preoccupante cifra di 23 milioni e mezzo di persone e al quale l’ONU e le Convenzioni internazionali, in particolare quella di Ginevra, dovrebbero finalmente riconoscere lo status ufficiale di “Profughi climatici” e garantirne la possibilità di richiesta di asilo politico a chi cerca rifugio all’estero.
Gli Accordi di Parigi rappresentano un passo avanti verso la lotta al surriscaldamento globale ma non basta: sia per il loro carattere non vincolante che per la mancanza di resoconti da presentare sull’operato dei Paesi aderenti. In pratica tutto è demandato alla volontà politica degli stati che come è oramai accertato si scontra con enormi interessi economici, in primis quelli delle multinazionali del settore energetico e automobilistico.
La situazione si va facendo sempre più drammatica ed i tempi di intervento sempre più ristretti per cui l’attendismo dei leader mondiali non trova più alcuna giustificazione. Occorre intervenire in fretta e con azioni incisive tese a superare il modello di sviluppo attuale basato sul perseguimento infinito della crescita e sulla dipendenza dalle fonti fossili e introdurre nuove forme produttive basate sull’economia circolare, sull’agroecologia, sulla decarbonizzazione e sulla transizione energetica verso le rinnovabili in una prospettiva di cambiamento ecosocialista della società, l’unica in grado di garantire i diritti dei lavoratori e quelli dell’ambiente, legati inesorabilmente a doppio filo nella resistenza al capitalismo. La giustizia climatica è anche giustizia sociale.
Agire ora, subito, senza tentennamenti prima che sia troppo tardi e l’alterazione del sistema Terra risulti irreversibile. Perché non sono solo in gioco le sorti dell’ambiente e del pianeta, bensì quelle dell’intera umanità
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