In questi primi cinque mesi del nuovo anno scolastico, il Centro Studi Scuola Pubblica (CESP) ha svolto oltre 30 seminari e convegni aprendo, dal Nord al Sud, importanti spazi di riflessione culturale e politica su alcune delle più urgenti problematiche scolastiche e sociali che attraversano le nostre aule e il nostro Paese.
Tra questi stanno suscitando grande interesse e partecipazione i seminari sulla medicalizzazione degli studenti e i bisogni educativi speciali, declinati in tutta la loro variegata articolazione, che sta rivelando scenari insospettati, come l’aumento (quasi del 100% in 15 anni) delle certificazioni di disabilità infantile e adolescenziale attraverso diagnosi neuropsichiatriche, che mettono in evidenza il palese processo di psichiatrizzazione cui si stanno sottoponendo le nuove generazioni e il conseguente abbandono della pratica educativa quale prassi per il superamento delle difficoltà nell’apprendimento.
Da alunni a pazienti
Tale abbandono avviene a favore di diagnosi che inducono le scuole ad una semplice gestione medica del problema, modalità che non produce cambiamenti effettivi, come dimostrano i dati sull’aumento della presenza nelle REMS (le residenze mediche speciali che hanno preso il posto dei vecchi ospedali psichiatrici dismessi definitivamente nel 2017) di pazienti provvisori, tra cui giovani con problemi scolastici che vengono “appoggiati” in tali strutture perché non si sa dove tenerli. Ma nel trattare la complessa problematica dei BES, gli scenari che si stanno aprendo riguardano le vere e proprie trasformazioni a livello cognitivo che l’uso dei social e degli strumenti informatici stanno determinando nelle nuove generazioni (nel 2018 sono diventati maggiorenni i primi “nativi digitali”, noi, come diceva Baumann siamo, invece, tutti immigrati digitali), nonché l’utilizzo da parte di un numero consistente di genitori delle diagnosi funzionali, spesso rilasciate da centri privati, per definire come disturbi specifici dell’apprendimento, ciò che spesso appare ai docenti semplice difficoltà nello studio. In realtà stanno rientrando nella definizione di BES tutti i comportamenti a rischio degli adolescenti, senza neppure che le diagnosi presentate nelle scuole, al di là degli opinabili test cognitivi, si basino su dati oggettivi e riscontrabili. Così, mentre si afferma che il disturbo DSA ha basi organiche certificate, tale affermazione non viene supportata da una diagnostica oggettiva e riscontrabile caso per caso.
In questo scenario appare evidente, però, il disorientamento della scuola, che la grande partecipazione dei docenti a questi seminari conferma, il che costituisce un segnale preciso rispetto al crescente malessere dei docenti e la consapevolezza che senza una presa di posizione consapevole e critica che ponga un freno a tale trend, non si avrà un cambio di passo, ma un inutile ed esponenziale aumento dei casi “diagnosticati”, con una ulteriore sottrazione di senso della scuola, oramai semplice ancella di medici, psichiatri, psicologi, pedagogisti, sociologi. Se consideriamo poi che gli alunni stranieri (come ha ampiamente illustrato Sebastiano Ortu nei seminari dedicati alla problematica), rappresentano il 9,2% della popolazione scolastica, cioè 815.000, ed hanno il 12% di certificazioni BES, possiamo ritenere che tale modalità sia una vera e propria schedatura dei giovani (in particolare immigrati) che continueranno ad essere visti, nel corso della loro esistenza, come soggetti a rischio da tenere sotto controllo medico.
Il Laboratorio scuola-società
Proprio la questione dei giovani immigrati, spesso oggetto a scuola di veri e propri atti di razzismo, rimanda all’altro Laboratorio scuola-società, che si sta dimostrando a sua volta di grande interesse e porta all’attenzione di docenti, studenti e genitori, l’importanza che la scuola rimanga un presidio di democrazia e rigetti tutte quelle manifestazioni di intolleranza che si stanno concretizzando nei confronti di coloro che vengono percepiti come “diversi”. Il tema delle migrazioni viene trattato da molteplici punti di vista: economico-sociale, politico–culturale (con la legittimazione del razzismo e le tendenze in atto sul piano istituzionale), giuridico costituzionale (con il confronto sistematico tra la legislazione ordinaria e il dettato costituzionale).
In particolare la questione si sta affrontando in modo da fornire ai docenti e agli studenti il quadro più ampio possibile, tanto riguardo alla generale politica immigratoria del governo (e dei governi precedenti), tanto rispetto ai nodi critici di una normativa che produce strutturalmente clandestinità e ha introdotto il reato di “immigrazione e soggiorno illegale”, quanto agli aspetti didattici relativi al tema dell’interculturalità e dell’accoglienza. Su quest’ultimo aspetto nei seminari si sta ponendo l’attenzione sul vero significato della pedagogia interculturale e sul valore che ha ciascuna persona più che ogni cultura, così come dal punto di vista delle discipline, si mette in evidenza la necessità di una revisione dei curricoli formativi (programmi scolastici, libri di testo, metodi) al fine di superare qualsiasi visione etnocentrica e orientamento monoculturale. A partire da questa impostazione appare importante sottolineare ai docenti di prestare attenzione al curricolo nascosto che può veicolare sotterraneamente e inconsapevolmente messaggi negativi che possono influenzare crescita e apprendimento.
Proprio il curricolo nascosto ci conduce al terzo laboratorio scuola-società sul quale si sta lavorando, insieme a quello di genere, per entrare nel merito di due problematiche difficili su cui intervenire, sicuramente le più complesse e drammatiche, che toccano aspetti relativi alla libera scelta dei singoli, sia rispetto all’autodeterminazione delle donne che ancora una volta viene violentemente rifiutata da una società sostanzialmente orientata ad un indiscutibile machismo ( che esplode nei continui gesti di violenza ai danni delle donne), sia rispetto alla libera scelta del proprio orientamento sessuale che ne mette in discussione il secolare potere.
Nelle scuole ristrette
Attraverso questi interventi il CESP sta assumendo una sempre maggiore autorevolezza presso la platea dei docenti che ne riconoscono la validità formativa e seguono con interesse gli interventi proposti, ma anche dalle stesse istituzioni grazie ai riconoscimenti che nel contempo vengono manifestati, in particolare per quanto riguarda il lavoro della rete delle scuole ristrette, oramai divenuto punto di riferimento anche per l’amministrazione penitenziaria. Quest’anno, infatti, il CESP – Rete delle scuole ristrette ha raggiunto un altro importante riconoscimento e ha presentato, su sollecitazione della stessa amministrazione penitenziaria, un importante progetto Con lo sguardo “di dentro”: Matera 2019, capitale europea della cultura. Diritto di accesso e partecipazione dei detenuti alla vita culturale della comunità. Al progetto il Ministro Alberto Bonisoli ha già dato il proprio ampio consenso, condividendo, punto per punto, le tappe che permetteranno, da marzo a dicembre 2019, di aprire le carceri italiane ad eventi artistici promossi insieme agli studenti “ristretti”.
All’interno degli appuntamenti previsti (seminari di formazione, mostre fotografiche e pittoriche, laboratori di disegno, spettacoli teatrali e musicali, laboratori di lettura, Festival delle arti recluse, Giornata nazionale del Mondo che non c’è inserita oramai stabilmente nel Festival dei Mondi di Spoleto) i veri protagonisti saranno i detenuti dei corsi di istruzione con sezioni nelle carceri che saranno parte attiva nei progetti proposti e saliranno sui palchi predisposti insieme ai docenti e agli studenti esterni, medi e universitari, che con loro stanno svolgendo un percorso di integrazione efficace. È per esempio il caso di Rebibbia a Roma, dove studenti universitari svolgono il proprio tirocinio con gli studenti “ristretti” frequentanti il Corso di biblioteconomia e bibliografia organizzato dal CESP insieme alla cattedra di bilbioteconomia e Bilbiografia dell’Università Roma TRE e il CEPELL-MIBAC (Centro per il Libro e la Lettura), o di Volterra, dove studenti drop out a rischio di espulsione dalla scuola entrano da due anni ogni giorno nella Casa di reclusione di Volterra, per seguire le quotidiane lezioni nelle classi frequentate dagli studenti “ristretti. L’esperimento, di grande responsabilità per chi se ne è assunto l’onere, sta ottenendo importanti risultati e vede impegnati gli stessi detenuti in un percorso di responsabilizzazione nei confronti degli studenti adolescenti che entrano in carcere.
Ciò che però sta emergendo veramente, a mio parere, nei laboratori scuola-società, è la necessità di una riflessione sull’approccio metodologico-didattico della scuola di fronte ai profondi cambiamenti intervenuti in questi ultimi decenni, a partire da quella rivoluzione informatica che sta determinando rivolgimenti innanzitutto nelle modalità di apprendimento dei giovanissimi, effetto che deve comportare una responsabile ridefinizione delle pratiche didattiche che vanno sicuramente rivisitate alla luce di tali epocali trasformazioni che impongono, oggi più che mai, alla scuola, di porsi di fronte a se stessa, a partire dai docenti, per riacquisire, innanzitutto di fronte a se stessi, autorevolezza, capacità di intervento teorico, giusta prospettiva professionale, per non continuare ad essere espropriati da una professione che non è di semplici trasmettitori di nozioni fini a se stesse, ma quello di educatore e docente che sappia intervenire in modo autonomo nei processi di apprendimento dei propri studenti.
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