photo credits: Nguyen Dang Hoang Nhu on Unsplash
Il tema della valutazione rappresenta da anni un terreno sul quale i vari ministeri e la vulgata mass mediatica si sono maggiormente impegnati per rappresentare la categoria docente come una categoria incapace di valutare: “agli insegnanti manca la cultura della valutazione” ci viene ripetuto in tutte le salse. Per questo, su questa presunta mancanza di “cultura della valutazione” da parte del corpo docente, il nostro primo obiettivo deve consistere nel disvelare cosa si nasconda dietro questa campagna che, a sua volta, ha rappresentato lo strumento “giustificativo” per introdurre una pseudo valutazione scientifica nella scuola che altro non è se non la riproposizione stantia del modello valutativo anglosassone da anni oggetto di critica negli stessi Usa ed in Inghilterra. In questi paesi personalità della cultura e del mondo pedagogico hanno già sottoscritto diversi documenti in cui esplicitano come le prove standardizzate ed esternalizzate sono quanto di meno scientifico si possa pensare: di oggettivo hanno solo il momento di tabulazione dei risultati; tutto il resto del processo è estremamente soggettivo e discrezionale. È il valutatore statistico che decide i quesiti, che predispone le risposte, che decide la risposta “giusta”. Questo modus operandi, e questa falsa scientificità indotta, hanno determinato quella che definirei come insensata ricerca di una assoluta verità “oggettiva” sul livello di apprendimento di alunne e alunni determinata da questa tipologia di prove, ricerca che condiziona in tal modo l’intero percorso educativo e didattico.
Questo processo teorico e pratico in Italia ha avuto come protagonista principale l’Invalsi che, partendo dal solito leit motiv della mancanza di cultura della valutazione da parte degli insegnanti italiani, attraverso il dispositivo dei test ha di fatto imposto un cambiamento radicale della modalità di azione didattica nella scuola. Infatti, dietro l’uso pseudo scientifico delle prove oggettive si cela, neanche tanto velatamente, l’obiettivo di “unificare” il processo di apprendimento-insegnamento, cioè di imporre un modello unico di fare scuola che si affianchi ad un altrettanto “scientifico” modello unico delle altre forme di relazioni umane. “La pedagogia” quindi come “l’economia”, “la politica”, ecc. L’uso performativo di queste forme grammaticali singolari viene a costituire, attraverso una improponibile visione “oggettiva” delle dinamiche sociali, un tentativo di influenzare il modo di essere, di pensare e di pensarsi di intere società. Tale “modello” sta performando anche i libri di testo che ormai si sono tutti adeguati al punto che spesso i paragrafi o i capitoli si chiudono con una proposta di autovalutazione definita “metodo Invalsi”. Il tentativo di espropriazione della funzione peculiare del docente diviene qui assolutamente esplicita.
Questa ossessione misurativa si scontra però inevitabilmente con la realtà di chi tutti i giorni lavora nella scuola creando da una parte un modello improponibile e dall’altra semplificando apparentemente le condizioni in cui si apprende e in cui si valuta ciò che si è appreso. Gli aspetti riflessivi e qualitativi non possono essere aspetti valutati all’interno del dispositivo dei test Invalsi. Da una immagine “fotogramma” del percorso di apprendimento di alunne e alunni si vorrebbe desumere un intero film!!
Per il nostro concetto di percorso valutativo ho invece in mente come metafora, in aperto conflitto con la staticità semplificata e banale delle rilevazioni statistiche oggettive, un brano di “Alice nel paese delle meraviglie”: LA PARTITA DI CROQUET. Qui la protagonista deve tener conto delle molteplici variabili in campo: terreno di gioco, palle, mazzapicchi e archi e si persuade infine che “quel gioco era veramente difficile”!
La metafora è appunto evidente: ritengo che valutare sia un’operazione estremamente complessa che implica molteplici varianti: chi valuta, chi viene valutato, quali apprendimenti vengono valutati, con quali strumenti…. Sono infatti convinta che solo il dubbio, la consapevolezza del valore euristico dell’errore, l’incalzare delle tematiche, rendano la conoscenza tale perché socializzata, nello sforzo continuo della ricerca comune. La stessa valutazione di alunne e alunni si potrà tendenzialmente avvicinare ad una definizione – per quanto provvisoria – solo coinvolgendo la pluralità dei soggetti che intervengono nel percorso educativo-didattico. Questo è un ruolo importante del Consiglio di classe spesso dimenticato o sottovalutato.
Per questo ritengo che solo la ripresa di una riflessione comune possa far riappropriare gli insegnanti di alcuni cardini che inquadrano l’intero percorso valutativo:
Credo che questa riflessione vada aperta anche alla luce di quanto sta emergendo in modo preoccupante nella scuola e cioè il non comprendersi più sui significati delle parole che sostanziano l’agire didattico dandoli per scontati. Osservo che l’utilizzo del linguaggio disciplinare e dei suoi termini specifici è spesso incoerente dal punto di vista semantico. O, ancora, che l’utilizzo di parole come valutazione o competenza, ad esempio, vengano associate ai più diversi significati. Questa babele linguistica mi preoccupa perché sta creando una superficialità terminologica che sta gradualmente determinando una difficoltà/impossibilità di confronto reale e approfondito sulle scelte pedagogiche e didattiche. Il non linguaggio, per parafrasare Vygotskij, sta creando un non pensiero.
Lo stesso tentativo di banalizzazione si riscontra nella modalità di svolgimento delle selezioni per il ruolo. Attraverso una pletora di domande (di solito 50) che possono essere centrate su qualsiasi argomento, con risposte già preconfezionate si dovrebbero valutare i docenti “meritevoli” del ruolo. In realtà si riesce a valutare solo il livello di capacità mnemonica e nozionistica dei candidati che in questo modo riceveranno a loro volta un imprinting su come impostare il lavoro didattico e valutativo.
Per questo il 6 maggio lo sciopero non riguarderà la sola scuola primaria (dove in tal giorno si effettuerà la prova Invalsi di italiano) ma rappresenta una data simbolo di una rivendicazione di tutta la categoria volta alla riappropriazione della funzione docente in tutti i suoi aspetti.
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