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“Gli insegnanti inadempienti disattendono il patto sociale ed educativo su cui si fonda la comunità nella quale sono inseriti. Il puro e semplice rientro in classe avrebbe comportato un segnale altamente díseducativo. Per questo si è dovuto trovare un ragionevole equilibrio tra il diritto dei docenti non vaccinanti di sostentarsi e il loro dovere di non smettere mai di fornire il corretto esempio”. Così il Ministro Bianchi sul rientro a scuola del personale non vaccinato, sospeso e privato dell’intero stipendio.
Si tratta di parole gravi, ma coerenti con la pessima gestione della pandemia (governi Conte e Draghi). Non si è, infatti, investito sul sistema sanitario (smantellato da una serie ininterrotta di tagli di risorse); non sono state svuotate le classi pollaio; non c’è stato nessun reclutamento straordinario del personale; infine, non è stato fatto nessun investimento nell’edilizia scolastica, nel sistema dei trasporti e rispetto agli stessi dispositivi di sicurezza (se si escludono gel e mascherine, peraltro non sempre efficienti).
Colpisce il carattere punitivo del provvedimento, in particolare per quanto riguarda i docenti. Questi ultimi, infatti, pur obbligati a sottoporsi ad un tampone ogni 48 ore – a proprie spese-, non potranno fare lezione ma saranno destinati – con un orario esteso a 36 settimanali – a svolgere altri compiti. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile, visto che anche nel periodo di assenza di questi docenti i casi di contagio nelle scuole sono proseguiti con numeri significativi. Ci si chiede poi perché vietare di entrare in classe ai docenti con un tampone negativo quando nelle stesse aule vi sono alunni non vaccinati e senza obbligo di tampone ed eventuali vaccinati asintomatici.
Se tale divieto non discende da obiettive esigenze sanitarie, è insopportabile che sia conseguenza di una “condotta diseducativa”, una scelta da stato etico (ti punisco per quello che esprimi, non per ciò che fai), incompatibile con un sistema democratico.
Siamo, inoltre, di fronte a un’illegittima utilizzazione dei docenti in compiti non rientranti nella funzione della propria area contrattuale. Il MI ha infatti esteso a questi ultimi la disciplina applicata al personale dichiarato temporaneamente inidoneo per motivi di salute, deducendo erroneamente dalla normativa vigente un principio generale, per cui tutti i docenti non impegnati nelle attività di insegnamento sarebbero tenuti a svolgere un orario di lavoro di 36 ore. L’art. 28 del CCNL 2018 non lo prevede, per cui la nota ministeriale n. 659/2022 è in palese contrasto con il CCNL. Tale prolungamento dell’orario di servizio, peraltro, rappresenta una ingiustizia da eliminare al più presto anche nel caso dei docenti “inidonei”.
Mentre nella scuola si “procede punendo”, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana si è rivolto alla Corte Costituzionale ritenendo rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.l. n. 44/2021 (convertito in l. n. 76/2021). Secondo il CGA, è legittimo dubitare della coerenza del piano vaccinale obbligatorio con i principi in passato affermati dalla Corte, secondo cui un vaccino obbligatorio non deve incidere negativamente sullo stato di salute di chi vi si sottopone. Di più, secondo il CGA il numero di eventi avversi, la inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale […] non consentono di ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini anti Covid e delle evidenze scientifiche” tale condizione.
Inoltre i giudici siciliani hanno ritenuto la sospensione dal lavoro per effetto dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale in contrasto con gli articoli 3,4,32,33,34 e 97 della Costituzione. Un tema, quest’ultimo, che come Cobas Scuola abbiamo immediatamente denunciato, contestando l’introduzione dell’obbligo vaccinale per i lavoratori della scuola (peraltro già vaccinati al 90% circa) che ha “rimesso in discussione il delicato equilibrio che deve essere garantito tra i diversi diritti costituzionali: all’ istruzione, che non può che essere in presenza e per tutti (art. 34 Cost.); alla salute, ‘come fondamentale diritto dell’individuo’, ma anche come ‘interesse della collettività’ (art.32); al lavoro e ad una retribuzione che garantisca libertà e dignità (artt. 4 e 36); alla libertà personale (art.13)”. Ecco cosa chiedevamo nell’agosto 2021: “I Cobas Scuola hanno sostenuto che la vaccinazione, nella situazione determinata da decenni di tagli alla sanità, sia uno strumento fondamentale, anche se non l’unico, per combattere la pandemia, ma al contempo hanno ribadito il carattere volontario di tale scelta, chiedono che il CdM revochi immediatamente l’obbligo vaccinale, garantendo una prosecuzione serena della vita scolastica”. Oggi, non solo non è avvenuta alcuna revoca, ma si è aggiunto – riguardo al rientro a scuola del personale docente non vaccinato- il divieto di fare lezione, che rappresenta un’inaccettabile vessazione.
Porre fine a un tale accanimento, questo sì profondamente diseducativo per usare le parole del Ministro, significa provare a riproporre, nonostante problemi e contraddizioni, la scuola inclusiva della Costituzione.
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