Jean Vigo probabilmente è un caso unico nella storia del cinema. Morto nel 1934 a soli 29 anni, realizza soli 4 film, tra il 1930 e il 1934, la cui durata complessiva non arriva a 3 ore. Ma ciò è bastato a farlo diventare, giustamente, un regista altamente considerato dalla critica e un eminente riferimento per autori come Francois Truffaut, Emir Kusturica, Leos Carax…
Lo spettatore televisivo italiano più acculturato conosce bene almeno alcune sequenze dell’ultimo film di Vigo, L’Atalante, (non completato per sopraggiunta morte da tubercolosi) poste a sigla del programma Fuori orario.
Gli altri 3 film di Vigo sono:
Jean Vigo
Jean Vigo nasce a Parigi nel 1905, figlio unico dell’anarchico Eugène Bonaventure de Vigo, fondatore e direttore di due giornali La Guerre sociale e poi Le Bonnet Rouge. Nel 1917 Eugène, per le sue posizioni antibelliciste, finisce in prigione dove verrà trovato morto, strangolato dai lacci delle sue scarpe. L’estrema destra scatena una campagna virulenta e minacciosa contro la famiglia Vigo, tanto che Jean viene rifiutato da un liceo all’altro e tenuto a distanza dai suoi compagni di classe. Jean e la madre vanno via da Parigi e si rifugiano, per il tempo necessario a che le acque si calmino, a Montpellier da un parente fotografo che inizia Jean alla tecnica delle immagini fotochimiche.
Vigo, reduce della tragica esperienza familiare, è un protagonista della Parigi degli anni Venti: la capitale delle avanguardie artistiche, il punto d’attrazione per tanti artisti statunitensi (Henry Miller, Anaïs Nin, Man Ray, Gertrude Stein, Ernest Hemingway…). La strabiliante concentrazione parigina di personalità artistiche è connotata generalmente da diffuse simpatie politiche e spesso da un convinto impegno nella sinistra estrema, vale a dire comunisti e anarchici. Jean Vigo è partecipe dell’esperienza surrealista, distilla idee anarchiche che ritroviamo pari pari nelle sue opere. Proprio per questo i film di Vigo non avranno facile circolazione, sopra tutti, Zero in condotta, che in Francia potrà essere visto solo nel 1945.
Il direttore responsabile di questo giornale, Pino Bertelli, ha dedicato al regista francese un ottimo saggio dal titolo Jean Vigo. Cinema della rivolta e dell’amour fou (ed. La Fiaccola, 2009). Con questo titolo Bertelli indica le fondamenta tematiche dell’opera di Vigo: la rivolta e l’amour fou che, ovviamente, trovano riscontro estetico nella rappresentazione formale in cui si impastano candido lirismo e irrisione beffarda, inquadrature abituali e punti di ripresa insoliti.
Contenuti e forme dei film di Vigo hanno fatto intravedere a molti critici accostamenti alle opere di scrittori come Rimbaud, di Céline, Mallarmé, Breton e di registi come Bunuel, Clair, Gance.
Zero in condotta
L’intreccio di Zero in condotta è abbastanza semplice. Finite le vacanze, alcuni ragazzini tornano in un austero collegio francese, dove docenti e sorveglianti, adulti ottusi, infliggono loro punizioni severe e li privano della libertà e della creatività. Quattro ragazzi, puniti con uno zero in condotta, decidono di ribellarsi, complice un nuovo sorvegliante, più vicino alla mentalità dei giovani che a quella rigida degli altri adulti. I quattro preparano un accurato piano che attuano il giorno in cui si celebra una festa nel cortile del collegio, alla presenza delle autorità civili e scolastiche, facendoli bersaglio dai tetti di sberleffi e del lancio di oggetti vari, per, infine, fuggire per i lastrici verso un vagheggiato mondo libero.
Evidenti in Zero in condotta ci sembrano i seguenti tre richiami a film antecedenti:
Zero in condotta è un aperto inno alla ribellione non alla rivoluzione, ci spiega Bertelli nel testo citato: “Il ribelle è contro ogni forma di governo e la rivolta è il principio di distruzione d’ogni forma di autorità. Il rivoluzionario ha nel cuore la faccia del boia che sarà. Il ribelle non è un fanatico dell’ideologia ma un poeta della libertà.”
Nel film, gli schieramenti sono nettissimi: da un lato gli alunni: giovani, creativi, esuberanti, oppressi; dall’altro lato gli adulti, insegnanti, sorveglianti (ad eccezione di uno), preside ed autorità varie: ottusi, repressivi, tronfi. E Vigo non ha dubbi sulla parte con cui schierarsi, anche perché il collegio l’aveva vissuto di persona per otto lunghissimi anni. Certo la contrapposizione tra alunni e adulti è assoluta e non trova corrispondenza con la scuola di oggi, ma dobbiamo tener conto che il film ci parla di un collegio (non di una scuola) del 1930.
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