La notizia positiva, all’indomani del vergognoso accordo sottoscritto da Eni e Antonio Giannelli, presidente dell’ANP, è la reazione decisa e diffusa di settori importanti della scuola, in un contesto di sostanziale prolungata acquiescenza.
I due soggetti lo scorso 12 dicembre hanno condiviso e pubblicizzato una strategia di azione comune, programmando seminari formativi territoriali in nome della sostenibilità ambientale nelle scuole. Obiettivo dichiarato accaparrarsi quote consistenti della formazione del personale docente delle scuole di ogni ordine e grado, che a partire dal prossimo anno scolastico dovrà impartire l’insegnamento dell’Educazione Civica come materia di studio obbligatoria, per 33 ore annue, in applicazione dell’art. 2 della L. 92/2019. Provocatoriamente, i temi riguardano cambiamento climatico, efficienza energetica, gestione e trattamento rifiuti nella filiera da economia circolare, bonifiche ambientali.
ENI chiama, ANP accorre
Ma l’ANP, la più grande associazione sindacale dei DS, aveva davvero bisogno di ENI? Stando alle dichiarazioni del suo presidente, è evidente il grado di naturale ed organica integrazione tra i due soggetti, che da lungo tempo condividono cultura manageriale e reciproca disponibilità. ENI è in testa alla classifica dei soggetti nazionali nei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (l’ex Alternanza scuola lavoro), sia con i “tours nelle valli dell’energia” nei luoghi estrattivi e presso le raffinerie, sia on line.
ENI chiama, ANP mette a disposizione la sua rete capillare per influenzare le scuole di ogni ordine e grado. Giannelli esalta il principio biunivoco di convenienza e di massima esperienza sul campo, che solo chi ha inquinato molto (sic!) può garantire.
Se vogliamo prevenire i furti facciamoci formare dai ladri di professione!
Eni, Stato parallelo, artefice di una politica estera autonoma e dominante sulla Farnesina, dei condizionamenti su politici e stampa, è di fatto una multinazionale capace di indirizzare l’azione politica interna ed estera, imponendo la propria agenda per la concreta attuazione di una conveniente (per ENI) strategia di Green New Economy.
Cruciali le politiche energetiche nel vicino Oriente e nel Mediterraneo per rideterminare i rapporti di forza con la Turchia per il blocco di Cipro, l’accordo internazionale per la costruzione di EastMed/Poseidon, il più grande gasdotto al mondo, nel contesto degli scenari di guerra di Iraq e Libia.
Il più grande attore trasformista, polipo dai cento tentacoli, ovunque presente, capace di narrazione mediatica orientata al green, ENI è molto attiva nello sviluppo di giacimenti, estrazione e raffinazione di idrocarburi, come certificano i risultati economico-finanziari dei primi 9 mesi del 2019.
Nel terzo trimestre 2019 la produzione di idrocarburi di ENI è aumentata del 6%, così come sono cresciuti il portafoglio di asset upstream, gli investimenti per lo sviluppo di giacimenti di idrocarburi e le scoperte di risorse esplorative.
Ma la distanza tra scelte reali e auto-rappresentazione pubblicitaria è evidenziata dalla recente sanzione di 5 milioni di euro irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per “pubblicità ingannevole nella campagna ENI diesel+”.
Il contrasto all’accordo ENI-ANP
Gli appelli al boicottaggio dell’accordo ENI-ANP hanno trovato un punto di sintesi operativa nella diffida formale prodotta ad inizio febbraio dal costituzionalista Michele Carducci. Appoggiata ad adiuvandum da decine di soggetti, studenti e genitori. La diffida a recedere riveste importante valore politico per il richiamo alla natura della formazione in uno spazio costituzionale riservato al bene comune, puntando a sanzionare in solido ENI, ANP e MIUR, in virtù della Convenzione per la tutela dei diritti dei minori, della Convenzione di Aarhus sull’informazione ambientale, del Regolamento UE (1367/2006 art. 6) sulla priorità dell’interesse alla verità in tema di emissioni climalteranti, nonché del principio consolidato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale sulla c.d. riserva di scienza (sulle questioni scientifiche non si può mentire nei luoghi educativi).
ENI in tribunale
In molti si chiedono perché oggi sia avvenuta l’intesa ENI-ANP.
Il punto di osservazione privilegiato che mi offre la residenza nella Basilicata Saudita facilita il compito per rispondere. Presso il Tribunale di Potenza è in corso il processo (c.d. Petrolgate 1) contro ENI per concussione, corruzione, falsificazione dei codici CER per illecito smaltimento dei rifiuti petroliferi (oltre 850 mila tonnellate reiniettate nel pozzo dismesso Costa Molina 2), ai danni della diga del Pertusillo (che serve 3 milioni di persone in 3 Regioni) e della Val Basento, dove ogni giorno 100 betoniere scaricano veleni a Tecnoparco spa, il terminale del tubo digerente petrolifero, pronta ad accogliere anche i fanghi di lavorazione di Tempa Rossa, seconda piattaforma su terraferma per grandezza nella’UE. Tutto ciò a seguito delle indagini che portarono, per la prima volta nella storia della Repubblica, alle dimissioni del ministro del MISE Guidi. Secondo i PM, grazie all’alterazione dei codici rifiuto, ENI ha risparmiato fino a 100 milioni sui costi di smaltimento. Anche le emissioni in atmosfera nelle vicinanze del Centro Oli Val d’Agri di Viggiano, sistematicamente in eccesso, venivano taroccate.
Sempre a Potenza si sta svolgendo il Petrolgate 2, processo per disastro ambientale, ai danni di 13 soggetti, anche pubblici, tra cui gli ultimi 3 dirigenti ENI a Viggiano all’epoca dello sversamento di oltre 400 tonnellate di greggio e potenzialmente responsabili del suicidio del giovane ingegnere responsabile produzione Gianluca Griffa, il cui memoriale di denunzia dei fatti è stato determinante.
ENI combatte per non essere bollata quale criminale seriale, dalla sua sede di fronte a quella della Regione Basilicata, con promesse di investimenti miliardari, con Memorandum segreti per ottenere più spazi di manovra nell’upstream e nello smaltimento dei rifiuti petroliferi.
Il presidente della Regione Basilicata (e generale della Guardia di Finanza) Vito Bardi e i suoi alleati non fanno che dichiarare che “l’oro nero è una risorsa” con cui affrontare buchi di bilancio, carenze strutturali nei servizi essenziali, nel welfare, nella sanità, nell’istruzione, nella formazione universitaria.
Gli affari di ENI nella Basilicata Saudita
Oltre al fatto che ENI e Shell continuano ad estrarre in Val d’Agri senza nuovi accordi e con assurde proroghe automatiche, il rischio è che il miraggio di un’autonomia regionale differenziata fondata su royalties e concessioni possa dare la stura all’autorizzazione di ulteriori 17 istanze di concessione, che si aggiungerebbero a 6 permessi sospesi e a 19 concessioni di coltivazione in essere.
Un hub energetico in piena regola, con i 2/3 del territorio in mano alle multinazionali estrattive, con la beffa di essere una Regione che produce tanta energia da rinnovabili (eolico selvaggio e distese di pannelli fotovoltaici) quanto ne servirebbe per essere libera dal fossile.
ENI investe in solare, eolico, biomasse. Presente ovunque, anche nel risparmio energetico residenziale, spartisce e condivide con Total e Shell la stragrande maggioranza degli oltre 480 pozzi scavati, attivi, abbandonati, sterili, incidentati. Mentre Shell offre corsi di lingua inglese e Total dispensa tours con pranzi al sacco gratuiti per studenti di paesi in continuo spopolamento, ENI sostiene sagre, laboratori scolastici, diffonde il suo Orizzonti diretto da Sechi, sottrae perfino lavoro a guide turistiche locali, tiene a busta paga gente come Jacopo Fo.
In combutta coi servizi di Total e della giapponese Mitsui, controlla e sorveglia il territorio, mettendo a punto il più avanzato laboratorio di sussunzione reale al modello di più avanzato colonialismo di marca estrattivista in Europa. Funzionali in tal senso le intese con le Università (Basilicata, Pavia, Federico II di Napoli, Guido Carli di Roma), con ENEA, con cui ENI entra nell’affare da oltre 600 milioni di euro “per produrre l’energia del futuro, sostenibile, sicura e inesauribile”, col progetto di fusione nucleare DTT (Divertor Tokamak Test), da realizzare nel centro ricerche Enea di Frascati dalla DTT Scarl, di cui ENI avrà il 25%. Una società prevista dal memorandum firmato lo scorso maggio per realizzare il prototipo in 7 anni, con la partecipazione di UE, Consorzio Create, Banca Europea degli Investimenti (finanziamento record di 250 milioni di euro garantiti dal Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici Feis, pilastro del Piano Juncker), Consorzio europeo Eurofusion (con 60 milioni a valere sui fondi Horizon 2020), il Ministero dello Sviluppo Economico e il MIUR (con 80 milioni di euro circa).
ENI e CNR hanno sottoscritto un patto di collaborazione con la costituzione di 4 centri di ricerca di eccellenza nel Mezzogiorno “per uno sviluppo ambientale ed economico sostenibile in Italia e nel mondo”.
MISE, Regione Basilicata, INGV (l’ente di Stato per la Sismologia), nel dicembre 2016 hanno stretto un accordo per uno speciale sistema di monitoraggio per l’area estrattiva di Viggiano, che lascia lo sviluppo delle attività scientifiche in mano ad ENI, riducendo il ruolo dell’INGV a quello di garante passivo su cui, se le cose non dovessero andar bene, ricadranno tutte le responsabilità.
Il supporto politico
In occasione della presentazione del Rapporto 2019 sulla Ricerca, pochi mesi fa, il premier Conte annunciava che “nella prossima legge di bilancio ci sarà un’Agenzia Nazionale della Ricerca, con funzione di coordinamento tra i vari poli universitari ed enti pubblici e privati di ricerca, un ente” che “negli anni, governi di tutti gli orientamenti politici hanno colpevolmente omesso di porre al centro della propria agenda, mossi da un atteggiamento miope”.
Una specie di cabina di regia, che dovrebbe mettere a sistema le tante realtà scientifiche italiane ancora troppo frammentate. Un ente che si facesse carico della governance scientifica in modo forte e sistemico fu caldeggiato dal Gruppo 2003, che riunisce scienziati ed esperti che lavorano in Italia, quindi ripresa e non attuata dal governo Renzi nel 2015, caldeggiata un anno fa dall’allora Ministro dell’Istruzione Bussetti, che annunziò di aver avanzato il progetto “di una cabina di regia per la ricerca, che avrebbe dovuto riguardare non solo le attività del MIUR, ma anche i ministeri interessati alla ricerca scientifica (7 in tutto) nonché controllori dei 22 enti di ricerca”.
Il progetto nasce sulla scorta di quanto accade in paesi come Francia, Germania, Regno Unito, StatiUniti, dove i National Institutes of Health e la National Science Foundation gestiscono, in modo indipendente dalla politica, i cosiddetti finanziamenti competitivi, con “metodi a promozione del merito”, dove la ricerca si finanzia quasi esclusivamente attraverso progetti, cercando in autonomia i fondi rivolgendosi a ministeri, fondazioni, agenzie o privati.
La lettura dei primi tre commi mette subito in chiaro che siamo di fronte ad una svolta significativa del rapporto tra ricerca, università, mercato del lavoro, formazione, in grado di determinare un riallineamento strategico e gerarchizzato tra orientamento finanziario (Banca Europea degli Investimenti e Green New Deal in testa) e creazione di soggetti compatibili in una Scuola autonoma ancor più dipendente, in un contesto di autonomie regionali differenziate, dalla divisione regionale del lavoro e dall’influenza delle fondazioni.
Bene, la Legge 27/12/2019 n. 160 per il 2020 artt. da 240 a 252 istituisce l’Agenzia Nazionale della Ricerca, rinviando a successivi decreti attuativi ulteriori dettagli. La lettura dei primi tre commi mette subito in chiaro che siamo di fronte ad una svolta significativa del rapporto tra ricerca, università, mercato del lavoro, formazione, in grado di determinare un riallineamento strategico e gerarchizzato tra orientamento finanziario (Banca Europea degli Investimenti e Green New Deal in testa) e creazione di soggetti compatibili in una Scuola autonoma ancor più dipendente, in un contesto di autonomie regionali differenziate, dalla divisione regionale del lavoro e dall’influenza delle fondazioni.
Per ENI e ANP, compagni di merende, a cominciare dall’individuazione dei criteri regolamentari statutari e dalle cariche, è già caccia grossa!
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