Il n. 6 della rivista Rassegna dell’Autonomia Scolastica, diretta dall’avvocato di riferimento della ANP (Associazione nazionale presidi), Giuseppe Pennini, pubblica un articolo a firma “Catone il Censore”, che sin dal titolo (“I collaboratori scolastici in che senso collaborano”) svela il suo intento denigratorio. Così, in quanto diversamente bidello, ho sentito il dovere di rispondere in contraddittorio. L’articolo prende spunto dalla seguente scenetta: una delegazione di DS stranieri in visita in una scuola italiana, alla vista di un collaboratore scolastico intento a risolvere cruciverba alla sua postazione, chiedono incuriositi e sorpresi: “Cosa fa quest’uomo? Qual è il suo compito?”. Si prosegue descrivendo le modalità clientelari con le quali la categoria dei bidelli è stata da sempre selezionata. Si spinge ad elencare i poteri di questa casta e tutte le tipologie delle loro reali occupazioni: “la bidella aspirante cuoca, sarta, barista, tricoter, agricoltrice-verduraia…” e infine la più pericolosa di tutti/e : “…il bidello venditore di sogni…” che tradotto sarebbe il bidello spacciatore i cui “…traffici si rivolgono ai soggetti psicologicamente più deboli, gli studenti”. L’articolo prosegue su questa nobile impostazione, tripudio del luogo comune e delle gratuite generalizzazioni, spacciate, queste sì, per verità assolute e ascrivibili offensivamente a tutta la categoria.
Senza eccessive speranze, ho chiesto al direttore di RAS il diritto di replica. Inizio comunque a diffondere la risposta in tutti i siti che vorranno ospitarla.
Egr. Catone Il Censore (nonché DS),
sono un collaboratore scolastico, o se preferisce “bidello”, come lei sottolinea nel suo articolo apparso nel n° 6 della rivista RAS del settembre 2015.
Mi trova certamente d’accordo sul fatto che il nome non cambia lo status giuridico del personale, almeno per noi. Mentre per voi che prima eravate chiamati presidi o direttori didattici e ora invece DS, cambiate le responsabilità è cambiata anche la busta paga. Giustamente ritengo, viste le nuove competenze che vi sono state affidate.
Nel suo articolo evidenzia l’atteggiamento di un bidello che alla sua postazione era intento a fare le parole crociate.
Comportamento certamente deplorevole, frutto forse di una prassi cristallizzata e di una organizzazione del lavoro molto deficitaria a cui nel tempo si era evidentemente abituato.
Certo è che l’organizzare il lavoro e la costante verifica della sua efficacia ed efficienza è competenza del DSGA (ex segretario: altro mutamento nominalistico a cui però è corrisposto un congruo aumento stipendiale) che, previe direttive del DS, elabora e propone il Piano annuale delle attività alla luce del POF. Altrettanto certo, dunque, che il DS (almeno secondo le norme vigenti): “Assicura il funzionamento dell’istituzione assegnata secondo criteri di efficienza e efficacia”. Dunque, se il collega bidello era seduto indisturbato a risolvere in servizio, sciarade e cruciverba, la domanda giusta da porre, non sarebbe dovuta essere “Cosa fa?” ma “Perché lo fa e chi glielo permette?” La risposta corretta, pertanto, sarebbe dovuta essere: “ Il DSGA e/o il DS” in un concorso di colpa innegabile. Il suo articolo, invece, è orientato ad aggredire non i singoli casi che troverebbero l’esecrazione di tutti gli altri collaboratori scolastici, ma tutta la categoria indistintamente e, soprattutto, ad assolvere le responsabilità di coloro che dovrebbero vigilare e sanzionare comportamenti così disdicevoli.
Del resto in quale categoria di lavoratori non si trovano “fantasiosi nullafacenti”? Anche nella sua, immagino, ce ne sarà qualcuno.
Potrei anche io fare un lungo elenco di esempi di scarsa professionalità tra i DS. Quelli che… con l’alibi delle “reggenze” non sono né in una scuola né nell’altra.
Quelli che… con la copertura contrattuale del non avere un orario settimanale da rispettare, arrivano a scuola alle 10.00 e vanno via a mezzogiorno.
Quelli che… “Io sono io e voi non siete un…”.
Eppure a fronte di tali esempi non sarebbe intellettualmente onesto asserire che tutti i DS sono così, anzi, la maggioranza, svolge il proprio lavoro con professionalità e impegno.
La mia impressione è che lei abbia come riferimento la scuola pubblica di tanti anni fa. Quando le scuole, come altri enti pubblici venivano usate come welfare clientelare a fini elettorali, per collocare al lavoro una pletora di persone, senza alcuna formazione e relativi compiti di bassa qualità. Le assicuro che la realtà oggi è molto diversa da come lei la descrive.
Negli ultimi anni, i profondi cambiamenti che hanno investito la scuola hanno ridotto così drasticamente il personale ATA da mettere in serio pericolo la vigilanza sugli alunni e perfino l’apertura di alcuni plessi scolastici. Con i vari provvedimenti di razionalizzazione della rete scolastica, sono stati costituiti istituti che sparsi tra diversi comuni con plessi spesso distanti tra loro e collegamenti stradali non sempre agevoli. Questa nuova e discutibile configurazione ha causato disagi organizzativi ai DS e contestualmente è risultato problematico anche per noi bidelli lavorare da soli in interi plessi scolastici.
Le faccio il mio caso che, però le assicuro, in Sardegna rispecchia ormai la più generale normalità. Lavoro in una scuola primaria a tempo pieno con 10 classi distribuite su due piani, la mia collega, nominata quest’anno solo a fine ottobre, prende servizio alle 10,30 per poter garantire anche l’orario pomeridiano. Ne consegue che io, dall’arrivo di docenti ed alunni, sono solo sino al suo arrivo e lei resta sola dalle 13,45 sino alle 16,30. Durante il servizio mensa, uno di noi ripristina i servizi igienici e l’altro svolge la dovuta assistenza in mensa.
Durante tutto il turno, fra centinaia di fotocopie, il servizio al centralino, la vigilanza in sostituzione temporanea dei docenti che chiedono di spostarsi per motivate ragioni, l’accoglienza dei genitori e non ultime le quotidiane piccole emergenze, le assicuro che non c’è il tempo per le esercitazioni enigmistiche e nemmeno per una breve pausa che pure sarebbe prevista contrattualmente.
In prossimità delle festività o di fine anno scolastico, con la preparazione di recite e altre iniziative, gli impegni si moltiplicano. Così, con assoluto spirito di servizio e in linea con gli intenti dei legislatori che ci hanno ribattezzati “collaboratori scolastici” ci prodighiamo in tutto, per la soddisfazione dei genitori, degli insegnanti ed il buon nome della scuola pubblica.
Nelle scuole dell’infanzia la situazione, se possibile è anche peggio, considerata l’età dei bambini. Le lascio immaginare una scuola con 130 bambini dai tre ai cinque anni e un solo collaboratore per turno.
Dovrebbe farci visita ogni tanto per rendersi conto personalmente della realtà.
Per quanto riguarda l’esternalizzazione dei servizi di pulizia a cui lei si riferisce è importante precisare che esse sono la conseguenza di scelte economiche e politiche che dovrebbero, almeno nelle intenzioni, servire a migliorare le condizioni igieniche dei locali scolastici, preso atto che al personale statale resta poco tempo per effettuarle. Non le sfuggirà che la pulizia delle aule e dei servizi durante le lezioni non è consentita.
Così, il suo resoconto, oltre che poco velatamente offensivo, è anche colpevolmente omissivo, perché non informa i lettori che nelle scuole dove è presente un’agenzia esterna di pulizie, l’organico dei bidelli è ridotto del 25% e in certi casi supera il 30%. Un altro aspetto che lei tocca è il passaggio “coatto” dei collaboratori scolastici già dipendenti dagli enti locali allo Stato. Passaggio che si verificò nel 2000 per decisione del governo D’Alema, con lo scopo dichiarato di garantire proprio ai DS una migliore gestione della neonata Autonomia scolastica. In parole povere per poter far gestire i collaboratori scolastici, direttamente dal DS.
Nessuno di noi, ex dipendenti degli EE.LL., chiese tale passaggio, ma fummo costretti obtorto collo, senza alcuna possibilità di opzione e senza il riconoscimento dell’intera anzianità di servizio pregressa.
Motivo per il quale è ancora aperto un duro contenzioso con il MIUR, nonostante ben tre sentenze della Corte europea ci diano ampia ragione. Così, come vede, quando si esaltano, come giustamente fa lei, le virtù organizzative di altre realtà europee, sarebbe opportuno e coerente rispettare e rendere esecutive anche le sentenze che provengono da autorevoli consessi giuridici europei. Su questo, come dire, noi italiani siamo volutamente “non udenti”.
In riferimento ai meccanismi di reclutamento da lei descritti che in passato regolavano le assunzione presso gli EE. LL. credo che lei abbia voluto eccedere nella satira o abbia avuto contatti solo con vere piccole “Repubbliche delle banane”. Giacché io insieme a tanti altri abbiamo superato un regolare concorso pubblico, con prova scritta, orale e pratica. Mia moglie lavorava, non avevo prole numerosa, anzi non ne avevo affatto e dunque quelle assunzioni non furono l’effetto di “ragioni umanitarie”.
Insomma non eravamo profughi. Quel suo raccontino poi, del bidello che chiama il Presidente della provincia e questi che scatta sull’attenti, mentre ignora altri e più importanti cittadini, è divertente, ma poco credibile. Dal suo resoconto sembrerebbe che “la famiglia Bidelli” conterebbe almeno quanto “il clan Casamonica” al tempo di “mafia Capitale”.
Lei poi si sofferma a descrivere il Pantheon delle “tipologie di collaboratori” affermando con sicurezza che “sono note a quasi tutti”. È evidente, allora, che io viva in un altro pianeta, non avendone mai incontrata una, pur avendo lavorato in tante scuole. Anzi, no. Me ne parlava qualche collega molti anni fa, quando gli allora presidi chiedevano alle bidelle di sistemargli una camicia, al bidello esperto in falegnameria di riparargli una porta a casa sua, al bidello elettricista di rifargli l’impianto della magione in campagna e così via in cambio di qualche favore o di un giorno di ferie.
Ecco, probabilmente lei è in buona fede, ma si è fermato a qualche lustro fa, quando convivevano, come sempre d’altronde, presidi integerrimi e disonesti, bidelli onesti ed altri meno. Incorre, poi, nella calunnia contro “ignoti” (per carità! è a sua tutela) quando allude a “traffici poco leciti” di collaboratori “venditori di sogni” a cui naturalmente non ha assistito. Poiché in caso contrario ne sarebbe correo.
Posso assicurarle, invece, che siamo proprio noi bidelli che molto spesso denunciamo al DS i traffici di cui parla.
Ciò che è maggiormente deprecabile nel suo articolo e proprio il fatto che lei, generalizzando, denigri e offenda una intera categoria, non ponendo distinguo e infarcendo tutto il suo dire di luoghi comuni da “Bar scolastico”. Rifletta, se solo una parte delle cose che ha scritto, fossero vere, dimostrerebbero non solo i comportamenti di collaboratori negligenti, ma dovrebbero avere come effetto il licenziamento di DS cialtroni, incapaci di organizzare e gestire il personale scolastico alle loro dipendenze.
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