Il tema delle grandi opere inutili e dannose e delle mille vertenze ambientali del nostro Paese è una delle più grosse contraddizioni del governo pentastellato.
Il Movimento 5 Stelle ha raccolto milioni di voti su questi temi, a volte essendo pure interno ai movimenti.
Una volta al governo con la Lega, che in questi decenni, assieme a Forza Italia, ha fatto parte del sistema oliato dai meccanismi degli appalti e dei project financing – un vero e proprio Partito degli Affari, trasversale a centrodestra e centrosinistra, ognuno con le proprie imprese o cooperative di riferimento – i 5 Stelle si sono trovati in difficoltà a giustificare ai loro elettori nei territori i veri e propri voltafaccia sulla ILVA, TAP e TAV terzo valico.
Appuntamento in laguna
I comitati e movimenti territoriali si sono dati un primo appuntamento a Venezia il 29 settembre 2018, all’interno della due giorni di mobilitazione – per Terra e per Mare – per l’estromissione delle grandi navi dalla Laguna: una prima grande assemblea nazionale che ha raccolto decine e decine di comitati ad analizzare la nuova fase aperta dal cosiddetto governo del cambiamento.
In un luogo anche simbolico della lotta alle grandi opere inutili e imposte, Venezia, dove da oltre 16 anni sono in corso i lavori per la madre di tutte le opere inutili, fonte di corruzione e del più grande scandalo del secolo, con un miliardo di euro su sei – finora spesi – sottratto alla collettività in tangenti e regalie al sistema dei partiti.
Quel Mo.S.E. che se solo dovesse funzionare, visto le innumerevoli criticità riscontrate in corso lavori e già denunciate dalle associazioni ambientaliste in fase di progettazione, con le più recenti previsioni sui cambiamenti climatici e il conseguente innalzamento dei mari, risulterebbe completamente inutile, per l’impossibilità di tenere le barriere mobili sempre chiuse, causando una diminuzione dello scambio di ossigeno tra laguna e mare, sancendo così la morte dell’ecosistema lagunare e pure della portualità.
Rivediamoci in Val di Susa
Un secondo appuntamento si è dato a Venaus il 17 novembre scorso, in quella Val di Susa dove da trent’anni un’intera comunità si oppone al TAV. Una straordinaria assemblea per partecipazione e intensità del dibattito che ha raccolto tutti i comitati dal Sud al Nord Italia e che ha pianificato le prime risposte all’offensiva del Partito del PIL, che ha trovato un primo momento Si TAV a Torino – ricomposto dalle cosiddette madamine. Confindustria, Confartigianato, sindacati di Stato, Forza Italia, Lega, PD: uniti nel chiedere la ripresa dei lavori del Tunnel di base in Val di Susa, di cui finora non è stato scavato nemmeno un centimetro (solo qualche tunnel geognostico ed esplorativo), ma che si dovrebbe concludere, pena le solite penali inesistenti e la perdita di migliaia di posti di lavoro. Mai il popolo No Tav è stato così sommerso da fake news sulla grande opera in trent’anni di duro conflitto.
A Venaus si è deciso di scendere in piazza l’8 dicembre a Torino, ma anche a Padova, Melendugno, Niscemi, Firenze, Sulmona, Venosa, Trebisacce e in altri luoghi sede delle vertenze territoriali. Straordinaria la manifestazione a Torino: 70.000 in piazza a far sfigurare la piazzata precedente delle madamine.
Ma soprattutto a Venaus si sono ricomposte tutte le vertenze territoriali specifiche, il TAV terzo Valico, il TAP e la rete SNAM, le Grandi Navi e il MOSE a Venezia, l’ILVA a Taranto, il MUOS in Sicilia, la Pedemontana Veneta ecc. in una prospettiva di lotta al cambiamento climatico.
Nell’intero Pianeta, un modello dissennato di sviluppo ci costringe a convivere con livelli sempre più intollerabili di inquinamento, ad assistere alla recidiva ricerca di nuove fonti di combustibile fossile (o alla costruzione di infrastrutture per la loro erogazione), alla deforestazione e al consumo di suolo che compromettono la capacità dei territori di rispondere con efficacia ai fenomeni di una crisi climatica che è già qui. Tutto ciò è consustanziale ad un modello di sviluppo che il nostro Paese conosce bene, quello delle grandi opere, dei progetti che, ad un tempo, dichiarano guerra all’ambiente, al legame sociale e alla distribuzione equa della ricchezza.
L’assemblea di Roma
Centinaia di attivisti/e di comitati e movimenti che lottano per la giustizia climatica e contro le grandi opere si sono incontrati quindi sabato 26 gennaio all’Università La Sapienza di Roma per una nuova assemblea del percorso che il prossimo 23 marzo culminerà con una grande manifestazione nazionale.
L’appello che esce da questa assemblea per questa MARCIA PER IL CLIMA, CONTRO LE GRANDI OPERE INUTILI, con lo slogan Non serve il governo del cambiamento, serve un cambiamento radicale e con #siamoancoraintempo, è quanto di più avanzato sia uscito dalla galassia dei comitati ambientalisti e dei movimenti contro le grandi opere. un mondo che comunque, in questi anni, non è stato scevro da divisioni, primogeniture e settarismi, comunque superati con un metodo di lavoro aperto e plurale, analogo a quanto dimostrato nel lavoro che ha portato ad #indivisibili e alla grande manifestazione di Roma del 10 novembre scorso contro il cosiddetto decreto sicurezza.
Dall’assemblea di Roma del 26 gennaio viene lanciato l’invito di ritrovarsi a Roma il 23 marzo per una manifestazione nazionale che metta al centro le vere priorità del paese e la salute del Pianeta.
Certo una grande manifestazione contro il Governo che si è rivelato essere in continuità con tutti i precedenti, non volendo cambiare ciò che c’è di più urgente: un modello economico predatorio, fatto per riempire le tasche di pochi e condannare il resto del mondo a una fine certa. Le decisioni degli ultimi mesi parlano chiaro.
Mentre ancora si tergiversa sull’analisi costi benefici del TAV in Val di Susa, il governo ha fatto una imbarazzante retromarcia su tutte le altre grandi opere devastanti sul territorio nazionale: il TAV terzo Valico, il TAP e la rete SNAM, le Grandi Navi e il MOSE a Venezia, l’ILVA a Taranto, il MUOS in Sicilia, la Pedemontana Veneta, oltre al al tira e molla sul petrolio e le trivellazioni, con rischio di esiti catastrofici nello Ionio, in Adriatico, in Basilicata ed in Sicilia.
La piattaforma del 23 marzo
Una grande manifestazione contro le grandi opere inutili ed imposte, ma per una grande opera di messa in sicurezza del territorio devastato dalla cementificazione selvaggia che semina morti e feriti ad ogni temporale, ad ogni terremoto: questa sì una grande opera che richiederebbe milioni di posti di lavoro.
Non solo contro, ma anche per una piattaforma avanzata, che coniughi giustizia ambientale e giustizia sociale perché l’unica proposta ‘verde’ dei nostri governanti è di scaricare non soltanto le conseguenze, ma anche i costi della crisi ecologica su chi sta in basso:
– cessare di contrapporre salute e lavoro come invece è stato fatto a Taranto, dove lo stato di diritto è negato e chi produce morte lo può fare al riparo da conseguenze legali;
– ridurre drasticamente l’uso delle fonti fossili e rifiutando che il paese venga trasformato in un hub del gas;
– negare il consumo di suolo per progetti impattanti e nocivi e gestendo il ciclo dei rifiuti in maniera diversa sul lungo periodo (senza scorciatoie momentanee) con l’obiettivo di garantire la salute dei cittadini;
– praticare con rigore e decisione l’alternativa di un modello energetico autogestito dal basso, in opposizione a quello centralizzato e spinto dal mercato;
– abbandonare progetti di infrastrutture inutili e dannose e finanziare interventi dai quali potremo trarre benefici immediati (messa in sicurezza idrogeologica e sismica dei territori, bonifiche, riconversione energetica, educazione e ricerca ambientali);
– garantire il diritto all’acqua pubblica;
– implementare una nuova Strategia Energetica Nazionale riscritta senza interessi delle lobbies;
– trovare una soluzione definitiva per le scorie nucleari, insistendo sul disarmo e riducendo le spese militari.
I nostri territori, già inquinati da discariche fuori controllo, inceneritori e progetti inutili, sono inoltre attaccati e messi a repentaglio da monoculture e pesticidi che determinano desertificazione e minano la possibilità di una sempre maggiore autodeterminazione alimentare.
Con l’invito poi a ricomporre le lotte per rivendicare che le risorse pubbliche vengano destinate ad una buona sanità, alla creazione di servizi adeguati, al sostegno di una scuola pubblica e di università libere e sganciate dai modelli aziendalisti, ad un sistema pensionistico decoroso, ad una corretta politica sull’abitare e di inclusione della popolazione migrante (a profughi da guerre e miseria si sommeranno sempre più i migranti ambientali) con pari diritti e dignità.
Il Sud e gli studenti
Il 3 marzo poi una grande assemblea a Napoli di tutti i comitati e situazioni di lotta meridionali, di avvicinamento all’appuntamento nazionale del 23 marzo.
Il potere ha sempre un’articolazione territoriale. La storia del Mezzogiorno italiano è la storia di un territorio sottoposto ad una secolare predazione di risorse e manodopera a vantaggio di grandi imprese settentrionali che – come non bastasse – hanno negli anni appaltato alla criminalità organizzata meridionale lo smaltimento dei rifiuti. Al Nord fabbriche e sfruttamento del lavoro degli operai meridionali, al Sud discariche e roghi tossici. Il punto non è contrapporre un ipotetico Sud sottosviluppato ad un generico Nord a capitalismo avanzato: si tratta, invece, di leggere i dispositivi di potere tramite i quali il connubio di grandi imprenditori, ecomafie e politica ha prodotto – contemporaneamente – subordinazione del lavoro e sottrazione selvaggia di risorse.
Tutto questo mentre torna in campo il mondo giovanile e studentesco: i giovani di tutto il mondo con il FridayForFuture stanno denunciando l’inerzia dei governi di fronte al cambiamento climatico. Ogni venerdì in tutto il mondo si stanno dispiegando appuntamenti e flash mob di protesta contro l’inerzia dei governi nell’applicare le seppur timide decisioni del vertice COP21 di Parigi del 2015 e il sostanziale fallimento del recente COP24 in Polonia. E gli studenti italiani scenderanno in campo il prossimo venerdì 15 marzo con il più grande Climate Strike studentesco di tutti i tempi, che naturalmente i Cobas della Scuola sosterranno.
Certamente un buon auspicio per la grande marcia per il clima, contro le grandi opere inutili e dannose del 23 marzo a Roma.
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