A misura d’impresa

Recovery Plan per la scuola: pioggia di miliardi per piegare sempre più l'istruzione agli interessi del mercato

photo credits: Robert Anasch on Unsplash

Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza, meglio conosciuto come Recovery Plan) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU (UE di Nuova generazione), lo strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19. L’esame del PNRR ha preso il via durante il Consiglio dei Ministri del 7.12.2020 (Governo Conte 2) e sarà proprio il CdM che dovrà dare attuazione al programma varato dall’Unione europea per integrare il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 alla luce delle conseguenze economiche e sociali della pandemia. Bisognerà, pertanto, capire come interverrà sul Piano il nuovo Governo Draghi.

Il Piano si articola in sei missioni che rappresentano aree “tematiche” strutturali di intervento, con tre assi strategici (digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale) e tre priorità trasversali (donne, giovani, Sud). Questi gli stanziamenti per le sei missioni:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura: 46,18 mld;
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica: 68,90 mld;
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile: 31,98 mld;
  • Istruzione e ricerca: 28,49 mld;
  • Parità di genere, inclusione e coesione sociale e territoriale: 27,62 mld;
  • Salute: 19,72 mld.

 

Missione istruzione e ricerca

Esaminando gli obiettivi generali della Missione Istruzione e ricerca, ci si rende immediatamente conto che questi ricalcano in realtà esplicitamente il linguaggio dell’impresa, approfondendo quei contenuti che dall’Autonomia scolastica ad oggi ancora non sono stati compiutamente realizzati ma che ora, sulla spinta dell’uso delle tecnologie, diventano elemento decisivo affinché ne sia data attuazione completa. In questo senso l’acquisizione delle competenze necessarie per entrare nel mondo dell’impresa, diventa centrale per definire e correggere il profilo degli attuali percorsi scolastici:

  1. Colmare il deficit di competenze che limita il potenziale di crescita del nostro Paese e la sua capacità di adattamento alle sfide tecnologiche e ambientali;
  2. Migliorare i percorsi scolastici e universitari degli studenti in modo da accrescere l’incentivo delle famiglie a investire nell’acquisizione di competenze avanzate da parte dei giovani;
  3. Rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni. Non è un caso che le risorse previste (28,49 mld) siano suddivise tra due specifiche componenti, tutte e due basate su competenze e impresa: a) Potenziamento delle competenze e diritto allo studio, alla quale vanno 16,72 mld; b) Dalla ricerca all’impresa, alla quale vanno 11,77 mld. Questa seconda componente riguarda, però, nello specifico la ricerca e non la scuola.

 

Potenziamento delle competenze e diritto allo studio

Per rimanere nello stretto ambito scolastico e procedendo con l’analisi della prima componente (i cui fondi, 16,72 mld, non sono però ad esclusivo beneficio della scuola, ma anche per alcune parti, dell’Università), è ovvio che si debba partire da due assunti: gli studenti italiani di 15 anni si collocano al di sotto della media OCSE in Lettura, Matematica e Scienze; le stesse evidenze si hanno per gli italiani adulti, per i quali la valutazione internazionale delle competenze indica un peggioramento costante dei risultati rispetto alla media OCSE. È in base a questi dati, infatti, che si può sostenere, quale obiettivo specifico della componente il “necessario” potenziamento delle competenze di base nella scuola secondaria di I e II grado, con interventi capaci di ridurre il tasso di abbandono scolastico (14,5% nel 2018 rispetto alla media UE del 10,6%, ma sino all’anno scorso si parlava del 18%); come se l’abbandono fosse determinato dalla mancata acquisizione delle competenze, spiegazione priva di senso, visto che l’abbandono scolastico trova generalmente le proprie cause nelle disagiate condizioni socio-economiche (territorio, ambiente sociale di origine), così come nel genere e nella cittadinanza.

L’altra componente, quella legata ai percorsi post diploma, persegue come obiettivo quello di aumentare la percentuale di popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo di studio di livello terziario, ovvero superiore alla maturità.

 

Le linee d’azione

Quando si passa, poi, ad analizzare le modalità attraverso le quali realizzare gli obbiettivi prefissi, ovvero le tre demagogiche linee d’azione, non tutte riguardanti i percorsi di 1° e 2° livello dell’istruzione, ma anche i percorsi universitari e terziari, che esulano dal problema dall’abbandono scolastico entro i diciotto anni, le linee aziendalistico-produttivistiche perseguite nella Missione scuola si chiariscono ulteriormente. Esaminiamo le tre azioni e i progetti in cui sono strutturati.

 

Accesso all’istruzione e riduzione dei divari territoriali

Prevede sei progetti, con 9,45 mld di fondi, per garantire l’accesso all’istruzione ma non specificando come. Il primi due progetti (Alloggi per studenti, 1 mld e Borse di studio, 1,3 mld) sono relativi agli studenti universitari.

Il terzo progetto, Fondo tempo pieno scuola (1mld + 300 mln di PON) dichiara che si aumenterà genericamente e demagogicamente il tempo-scuola incrementando lo spazio per l’offerta formativa e contemporaneamente aiutando la conciliazione dei tempi di vita e lavoro delle famiglie, specialmente delle donne. Dunque non ci sarà, come da decenni si chiede, un aumento del Tempo pieno e del Tempo prolungato, come elementi strutturali del curricolo nel primo ciclo, bensì una generica (e non certa) offerta formativa a pagamento, se non addirittura appaltata a terzi a partire da finanziamenti diretti e indiretti alle scuole. Per non parlare della funzione femminile che rimane ancorata ancora una volta al paradigma della cura.

Il quarto progetto, Riduzione dei divari territoriali nelle competenze e contrasto all’abbandono scolastico (fondi per 1,50 mld + 750 mln di PON + 240 mln Legge di Bilancio) si basa sempre sul filone aziendalistico, del potenziamento delle “Competenze di base” nel quale viene addirittura definito il piano di “commissariamento”, delle scuole che hanno registrato maggiori difficoltà in termini di rendimento scolastico, differenziando gli interventi in relazione ai bisogni degli studenti. Nelle situazioni maggiormente problematiche, infatti, è previsto un intervento di supporto del DS attraverso tutor esterni che lo possano aiutare a migliorare il “rendimento” degli studenti e, nei casi critici, addirittura si preannuncia un organico di potenziamento per la scuola, con almeno una unità per disciplina (Italiano, Matematica, Inglese) per risolvere i problemi e indottrinare DS e docenti su come attuare la “vera” scuola dell’impresa. Gli ultimi due progetti Piano Asili Nido e servizi integrati (3,0 mld + 300 mln Legge di Bilancio) e Potenziamento delle scuole dell’infanzia e delle sezioni ‘primavera’ (1,60 mld + 560 mln Legge di Bilancio), riguardano essenzialmente le scuole comunali visto che, per l’accesso ai finanziamenti saranno i Comuni a dover presentare progetti, mentre si prevede la costituzione dei poli per l’infanzia, di cui al decreto legislativo n. 65 del 2017.

 

Competenze STEM e multilinguismo

La seconda linea d’azione beneficia di 5,02 mld ed è articolata in quattro progetti attuativi. Non è un caso che negli ultimi tempi anche su grandi testate giornalistiche si dia grande spazio alle competenze STEM, (acronimo di Science, Technology, Engineering e Mathematics) e indica l’insieme delle discipline scientifico-tecnologiche e i relativi campi di studio. Il termine, ovvamente, viene coniato negli Stati Uniti agli inizi degli anni 2000 e prende piede a livello scolastico e universitario, diventando la matrice per l’adeguamento dei corsi di formazione, così da preparare gli studenti ad un mercato del lavoro in forte cambiamento. Infatti il primo dei quattro progetti riguarda la Didattica digitale integrata e formazione continua del personale scolastico (0,42 mld + 400 mln di PON + 140 mil Legge Bilancio) ed è strettamente collegato alla prevista riforma relativa alla Formazione in servizio per il personale della scuola. Questa riforma prevede un sistema di aggiornamento in servizio con frequenza obbligatoria presso un’apposita Scuola di Alta Formazione, con moduli organizzati per competenze, con il rilascio di Crediti Formativi Professionali spendibili per l’avanzamento della carriera, secondo un sistema meritocratico di valorizzazione.

Non c’è che dire, siamo di fronte ad un’Autonomia scolastica riveduta e corretta nella quale è previsto un nuovo libretto delle competenze, sia di docenti che di studenti/esse che vengono definite come “specifiche misure per la realizzazione di un ecosistema delle competenze digitali del personale scolastico e delle studentesse e degli studenti al fine di promuovere lo sviluppo della didattica digitale integrata e l’adozione di curricula digitali nelle istituzioni scolastiche, anche finalizzate alla priorità indicata nel Programma Nazionale di Riforma”, addirittura, per aprire il Piano Nazionale Scuola Digitale a nuovi scenari.

Con questo il quadro sarebbe completo, ma a definirlo ulteriormente interviene il secondo progetto, Competenze STEM e multilinguismo per docenti e studenti (1,10 mld + 250 mln di PON), per il quale si prevede l’integrazione di metodologie e contenuti correlati a sviluppare e rafforzare le competenze STEM e di digitalizzazione e innovazione, nelle discipline curricolari dall’Infanzia alle Superiori e per il rafforzamento delle competenze multilinguistiche; l’intervento prevede azioni non meglio chiarite indirizzate agli alunni e ai docenti.

L’altro progetto, Scuola 4.0, scuole innovative, cablaggio, nuove aule didattiche e laboratori (3,00 mld + 630 mil Legge di Bilancio) intende promuovere il potenziamento della digitalizzazione delle scuole, anche al fine di ridurre i gap territoriali e favorire l’accesso alle tecnologie di tutte le scuol, la realizzazione di ambienti di apprendimento innovativi, la trasformazione digitale dell’organizzazione scolastica. Peccato che di tutto si parli fuorché degli aiuti alle famiglie per il potenziamento delle linee e per l’acquisto di pc per ogni figlio in età scolare.

L’ultimo progetto riguarda la Didattica e le competenze universitarie avanzate (0,5 mld), mirato a qualificare e innovare, attraverso un insieme di sottomisure, i percorsi universitari e dei dottorati.

 

Istruzione professionalizzante e ITS

La terza linea di azione, con 2,25 mld di fondi e tre progetti, riguarda gli interventi necessari per colmare, sempre secondo la visione aziendalistico-imprenditoriale, il dislivello tra apprendimento scolastico e mondo del lavoro, con il potenziamento delle discipline abilitanti 4.0, legato alle esigente del territorio. I primi due progetti [Sviluppo e riforma degli ITS (1,50 mld) e Formazione professionalizzate collaborazione università – territori (0,5 mld) riguardano essenzialmente gli ITS e la loro sfera di azione in relazione ai percorsi universitari. Con il terzo progetto lo scenario si completa e si chiarisce: Orientamento attivo nella transizione scuola-università (0,25 mld) è infatti tutto diretto ad un programma di investimenti per gli studenti al quarto ed al quinto anno delle scuole superiori per aumentare il tasso di transizione tra scuola e università attraverso moduli di orientamento per l’accesso allo studio tecnico superiore (corsi brevi erogati da docenti universitari e insegnanti scolastici) con la costruzione di un programma specifico per avvicinare le ragazze alle opportunità offerte dalle discipline STEM e dalle discipline legate al digitale.

Così, dulcis in fundo, l’accesso allo studio e al lavoro delle donne, viene spacciato come inclusione sociale, ma non perseguito attraverso l’esercizio consapevole di un diritto, bensì imposto alle donne insieme a un modello di sviluppo, economico, sociale e culturale che, in realtà, le esclude.