Dalla Relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso degli Stati Uniti sugli immigrati italiani, ottobre 1919: “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”.
Oggi, a cento anni di distanza, sono cambiati i protagonisti, ma non le analisi. La parte più intransigente dei razzisti di casa nostra si batte per difendere la cosiddetta razza italiana, quella più dialogante (si fa per dire) vuole “aiutare i migranti” a casa loro. In questo quadro, non stupisce il fatto che gruppi europei, fascisti e nazisti, favoriti in qualche modo da una massiccia campagna mediatica contro le ONG (Organizzazioni Non Governative) “colpevoli” di salvare in mare i migranti da una morte sicura, abbiano deciso di far salpare una nave, la C-Star, per contrastare le partenze dai porti libici. La nave, per iniziare la missione, sarebbe dovuta partire dal porto di Catania. In questo caso, però, la mobilitazione, promossa dalla Rete Antirazzista Catanese e supportata da decine e decine di Associazioni, è riuscita a impedirne l’approdo, e il blocco del porto etneo (barche, gommoni, canoe, pedalò) organizzato per il giorno del presunto arrivo della C-Star si è trasformato in una grande festa antirazzista. Una vittoria importante ma parziale, tanto è vero che dopo pochi giorni è ripresa con maggiore violenza la campagna contro le ONG. Un dato che non stupisce, visto che il governo italiano, la Lega e tutto il centro-destra, attraverso Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che, come si legge nel sito ufficiale, “aiuta i paesi dell’UE e i paesi associati alla zona Schengen a gestire le loro frontiere esterne”), mettono di fatto in pratica ciò che avrebbero voluto fare fascisti e nazisti.
Prima di riflettere sulla progressiva trasformazione del Mediterraneo in un grande “lago di morte”, è utile, però, ragionare sui tanti luoghi comuni che proliferano, e non è un caso, quando si parla di immigrazione e dei “pericoli” ad essa connessi.
Partiamo dalla realtà concreta: i primi trenta Paesi nel mondo coinvolti nell’accoglienza sono tutti Paesi in via di sviluppo. Per quanto riguarda l’Italia, come ha detto in un recente convegno CESP il prof. Maurizio Avola (Università di Catania), non è vero che “tutti o la stragrande maggioranza degli immigrati arrivano in Italia via mare con i barconi, così non possiamo controllarli e non sappiamo chi arriva (terroristi compresi, magari). La verità è che quelli che sbarcano a Lampedusa e dintorni, hanno storicamente rappresentato una percentuale minima dei soggetti che ogni anno arrivano e restano nel nostro paese e che preferiscono di gran lunga… l’aereo o l’autobus”. La stessa percentuale dei richiedenti asilo, pur in crescita, rappresenta soltanto il 10% del totale U.E. In particolare, quelli che comunemente vengono chiamati clandestini rappresentano meno del 5% rispetto al totale degli immigrati regolarmente residenti in Italia: altro che invasione!
Ciononostante, cresce l’intolleranza, alimentata anche dall’idea che gli immigrati “rubano il lavoro agli italiani”. Scrive, ancora, il prof. Avola: “L’Italia è un Paese che, nonostante le sue difficoltà, continua ad esprimere una domanda di lavoro a bassa qualificazione, con salari contenuti e condizioni d’impiego disagiate, in settori di attività labour intensive. Anzi, negli anni della crisi, a differenza di tutti gli altri Paesi sviluppati, in Italia è diminuita significativamente la domanda di lavoro qualificato ed è aumentata la domanda di lavoro a bassa qualificazione. Allo stesso tempo, l’offerta di lavoro giovanile è diventata sempre più qualificata (cresce il peso dei diplomati e dei laureati)”.
Altrettanto campate in aria le accuse rivolte agli immigrati di sfruttare le opportunità offerte dal nostro Welfare (peraltro progressivamente ridotte di finanziaria in finanziaria): in realtà, sino ad oggi gli immigrati pagano più tasse e contributi rispetto a ciò che ricevono in termini di sussidi e servizi. Infine, i soldi che, secondo la vulgata corrente, riceverebbero (35/40 euro al giorno), non vanno certo ai migranti, ma alle cooperative e/o strutture (italiane) che gestiscono l’accoglienza (e tante sono, giustamente, indagate).
Ma torniamo ai numeri e ai salvataggi in mare. Nel 2016 sono arrivati sulle coste italiane 181.000 migranti. Tre su quattro sono stati salvati da organismi statali. Scrive Amnesty International: “È una crisi umanitaria quella in corso nel Mediterraneo centrale, in cui migliaia di persone muoiono in mare nel disperato tentativo di raggiungere la sicurezza, o una vita migliore, in Europa. Nella prima metà del 2017 sono stati 73.000 i rifugiati e migranti arrivati in Italia dal mare: il 14% in più dello stesso periodo nel 2016. Circa 2000 hanno perso la vita, portando il tasso di mortalità al 2,7 per cento. Tre volte più alto che nella seconda metà del 2015”.
Eppure, tutta l’attenzione è oggi concentrata sul ruolo delle ONG: formalmente, essa è motivata dal raggiungimento dell’obiettivo principale – la lotta ai trafficanti -, quando in realtà si vuole semplicemente impedire che le loro navi salvino i migranti. Nei primi mesi del ‘17 è stata Frontex ad ipotizzare possibili relazioni fra alcune ONG e le strutture criminali. È stata poi la volta del capo della Procura di Catania che, intervenendo ad Agorà, trasmissione televisiva di Rai3, ha affermato: “A mio avviso alcune ONG potrebbero essere finanziate dai trafficanti e so di contatti. Un traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ONG finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”. L’ indagine conoscitiva avviata su questi problemi dalla Commissione Difesa del Senato si è, però, conclusa escludendo che siano mai emerse prove di rapporti tra ONG e trafficanti.
Vicenda conclusa? No, perché mentre il governo Gentiloni annuncia l’invio di alcune unità navali nel porto di Tripoli come supporto operativo alla guardia costiera libica, si chiede alle ONG di sottoscrivere un codice di condotta per le operazioni di ricerca e soccorso, minacciando sanzioni verso chi non dovesse firmarlo. E sono tante, la maggioranza, le ONG che non hanno firmato. Così sintetizza il rifiuto MSF (Medici Senza Frontiere): “Dal nostro punto di vista, il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare […] non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso. Al contrario, riteniamo che per la formulazione ancora poco chiara di alcune parti, il Codice rischi nella sua attuazione pratica di contribuire a ridurre l’efficienza e la capacità di quel sistema”. Va inoltre ricordato che consegnare ai libici chi fugge significa rimandarli, come ricorda Amnesty International, in un paese estremamente insicuro per i migranti e i rifugiati, che vengono regolarmente uccisi, rapiti a scopo di riscatto, ridotti in schiavitù, costretti ai lavori forzati e sottoposti a stupri e altre violazioni dei diritti umani.
Infine, il sequestro della motonave Iuventa, gestita dalla ONG tedesca JugendRettet, con l’accusa di aver preso a bordo migranti che non erano in pericolo di vita e di aver così di fatto collaborato con i cosiddetti scafisti (i “terminali” di un affare di enormi proporzioni). Pur riconoscendo nel suo operato motivazioni opposte a quelle dei trafficanti, la magistratura italiana ha accusato i volontari e l’equipaggio di aver commesso “un reato per motivi umanitari”.
Non essere complici di tutto ciò significa, anche, far sì che a scuola, nel quotidiano didattico, quello che sta accadendo nel Mediterraneo divenga oggetto di studio e riflessione. Un processo/percorso di formazione che prescinda dal tema della pace e dei diritti non è, infatti, degno di essere definito tale.
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