Tutti i processi di riorganizzazione del sistema scolastico italiano, volgarmente indicati con il termine improprio di “riforme”, a partire da quelle volute dall’ex ministro Berliguer, passando per De Mauro, approdando alla cosiddetta “Buona scuola”, hanno una caratteristica comune: non affrontano mai direttamente la questione della didattica in rapporto ai fini educativi della scuola.
I provvedimenti via via succedutisi in questo quindicennio infatti danno spessissimo l’idea di tentativi di composizione/ricomposizione del sistema scolastico portati avanti con una organicità complessiva, ma con provvedimenti parziali. È la cosiddetta riforma a pezzi o a piccoli passi. Sullo sfondo c’è la coscienza da parte delle oligarchie politiche succedutesi, che la materia scuola è un argomento scottante, che rischia di bruciare chiunque voglia cimentarsi sul serio ed in maniera organica con essa. La teorizzazione del “passettino alla volta” risale ai primi anni ’90. Se riavvolgiamo la storia della scuola italiana da quell’epoca ad oggi, vediamo che c‘è un costante approccio dei vari ministri della Pubblica Istruzione di tipo “manutentistico”. Il ministro che addirittura teorizzò tale principio fu Fioroni: “usare il cacciavite”.
Dicevamo: provvedimenti parziali, mai un provvedimento organico. Ma con una costante tra le altre: quella di ridefinire le mete educative della scuola italiana e la relativa didattica.
Le mete educative, in parte chiaramente esplicitate nella vigente Costituzione italiana, sono state alterate e modificate profondamente, pur senza averlo proclamato. Facciamo qualche esempio.
Inculcare negli/le allievi/e lo spirito d’impresa,così come affermato nella L. 107/2015 è una meta educativa chiaramente espressa nelle suddetta legge. Ma è assolutamente assente nella Costituzione italiana.
E ancora: stabilire, persino nei dettagli, le forme di finanziamento delle scuole private, mentre la Costituzione afferma che: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (art. 33, comma 3) è una palese violazione del principio costituzionale, secondo cui le scuole devono essere messe in grado di svolgere la loro funzione formativa e non competitiva.
Sin qui abbiamo rilevato ciò che è palese nelle trasformazioni del sistema scolastico italiano. Proviamo ora a disegnare, pur nella brevità i cambiamenti/stravolgimenti didattici insiti nei provvedimenti di cui discutiamo:
1) Far competere le scuole mediante incentivi e finanziamenti, uno degli obiettivi affermati nelle legge sull’autonomia portata avanti dall’ex ministro Berlinguer, implica una didattica finalizzata al conseguimento di “punteggi”, di ranking che nulla hanno a che fare con un percorso formativo . Si tratta infatti di obiettivi didattici finalizzati alla valorizzazione di immagine, dando l’idea che la propria scuola offra il “meglio” di quel che c’è nella piazza/paese/città. Un fenomeno sempre più frequente nelle scuole è quello di avere assenze continue di allieve/allievi, in genere i più intelligenti ed attivi, per preparare le cosiddette “accoglienze”, negli “open days” che le singole scuole, proprio nel periodo di preiscrizioni, organizzano per attirare i clienti/utenti (cioè studenti e soprattutto famiglie di studenti) al fine di confermare o aumentare il numero di iscrizioni in questo piuttosto che nell’altro istituto. Ovviamente tali studenti , momentaneamente distaccati dal lavoro scolastico, sono assenti giustificati. Ma possono recuperare on-line o con ammennicoli vari. La presenza, importantissima per il dialogo educativo, del rapporto docente gruppo-classe evapora. Resta un simulacro di lezione parcellizata, dove il processo di apprendimento si esaurisce nell’apprendimento di nozioni. Il processo di scoperta, momento fondante per l’alunno/a , in cui passo dopo passo si confronta con il docente e con gli altri membri del gruppo-classe svanisce, vanificando uno dei compiti fondanti dell’insegnamento/apprendimento.
2) La didattica per indovinelli, al cui vertice si pone la quizzologia dell’INVALSI, sottende una palese riscrittura della didattica, finalizzata alla standardizzazione dei risultati con la pretesa di “misurare” la “produttività” degli studenti e, mutatis mutandis, quella del singolo docente. La conseguenza più grave da un punto di vista didattico di tale reimpostazione dell’insegnamento è l’enorme rilievo concesso ai risultati, espressi spesso con griglie e diagrammi. Un chiaro segnale di produttivismo didattico di tipo merceologico, dove il risultato è dirimente. La processualità invece è un semplice passaggio, teso al raggiungimento di obiettivi; gli innamorati della anglofonia lo esprimono con il termine “performance”. Il che implica una trasformazione di essa (performance) in possibili diagrammi, schede, griglie e via dicendo. Qui il passaggio più deflagrante per la didattica consiste nel fatto, che l’osservazione di singoli passaggi di apprendimento, registrabili e quindi indicizzabili, viene traslata nel processo di apprendimento complessivo. In questo modo si cancellano le individualità, le particolarità di percorso dei singoli allievi, la loro originalità nel trovare molteplici soluzioni a problematiche poste loro. L’appiattimento sulla performance porta con sé l’appiattimento dell’apprendimento. Ma anche dell’insegnamento.
Sotto questo aspetto è veramente sorprendente come l’insegnante medio italiano si sia “adagiato” al cambio di funzione imposto dai vari ministri dell’ultimo quindicennio.
Una trasformazione che sa di svendita della propria dignità e gravida di conseguenze.
Non discutiamo in questa articolo dell’origine di tale mutazione. Ma è chiaro, che i docenti hanno bisogno di riflettere sullo scadimento del loro status. Un fatto è certo, occorre che la parte più sensibile dei docenti si interroghi sul “che fare” per riprendere una discussione su didattica/didattiche, sganciate dai risultati INVALSI e dintorni. Auspichiamo la costituzione, ove possibile, di gruppi di laboratorio, di sperimentazione di percorsi “altri”. Come Cobas ci impegniamo a diffonderne i risultati e a moltiplicare tali laboratori. Ma la lotta complessiva ad una mutazione silente della scuola italiana non può essere disattesa.
Lo sciopero del 17 marzo 2017 ha al suo interno anche questo aspetto.
Commenti recenti