La campagna di raccolta firme per i Referendum sociali (quattro quesiti contro la legge 107/15, due contro gli inceneritori e le trivelle e una Petizione in difesa dell’acqua pubblica) si è conclusa con un successo di stretta misura per i quesiti scuola (515 mila firme di media a quesito) e un nulla di fatto, invece, per i due quesiti ambientali, rimasti molto al di sotto della soglia necessaria. Ma anche il successo delle firme-scuola è a rischio, visto che il superamento effettivo della quota potrà avvenire solo se la Cassazione non annullerà oltre il 3% delle firme. Considerando tale rischio, nonché l’insuccesso della raccolta per i quesiti ambientali, dobbiamo analizzare le ragioni che hanno provocato un risultato comunque positivo per l’opposizione alla legge 107/15 e alla cattiva scuola di Renzi ma inferiore alle attese e alle potenzialità, date le lotte del 2015, la presenza di quattro sindacati scuola (tra cui il principale, la FLC), di vari comitati in difesa della scuola pubblica, oltre che degli ambientalisti.

 

Il ruolo delle strutture organizzate

E per tale analisi dobbiamo innanzitutto partire dalle ragioni che ci hanno spinto a far nostra la campagna referendaria e ad impegnarci in essa in misura superiore, fatta la proporzione con le rispettive forze, a tutte le altre strutture partecipanti. Nella nostra Assemblea Nazionale dello scorso luglio 2015, dopo l’approvazione della legge 107/15, ci dicemmo che avevamo tre strade da percorrere per bloccarla:

a) la ripresa della lotta generale unitaria della primavera-estate 2015, con scioperi nazionali e manifestazioni territoriali diffuse;

b) quella che enfaticamente avevamo definito la “guerriglia” scuola per scuola, pensando ad un’applicazione rapida dei Comitati di valutazione e dei superpoteri dei presidi;

c) la via referendaria.

L’abbandono brutale e rapido della lotta da parte dei Cinque sindacati monopolisti ci ha fatto verificare subito come il livello conflittuale fosse altrettanto rapidamente precipitato: e la limitata partecipazione al nostro sciopero di novembre 2015 (malgrado l’indubbio successo mediatico) è stata la conferma della passivizzazione oramai diffusa. Che purtroppo abbiamo verificato mese dopo mese anche nelle scuole, visto che la tattica dei presidi di procedere con accortezza all’introduzione delle peggiori novità nonché l’opportunismo diffuso e la subordinazione dei docenti, per paura o interesse, al nuovo “padrone” hanno demolito in poco tempo gran parte delle resistenze.

Cosicché, una volta verificata tale passivizzazione, ciò che ci ha definitivamente convinti a esperire la via referendaria è stata l’idea dei referendum sociali e cioè di un ampio schieramento di alleanze sui principali temi del conflitto sociale contro le leggi “asociali” del governo Renzi, che cioè non si limitasse ai soli referendum-scuola, data la convinzione comune che dei referendum sul solo tema-scuola non avrebbero raggiunto il quorum. Abbiamo pensato ad una tappa rilevante della nostra strategia di alleanze sociali che ci garantisse il quorum al momento del voto ma nel contempo gettasse le basi di un rapporto duraturo tra movimenti, reti e organizzazioni conflittuali, restate per anni ognuna all’interno del proprio ambito. Pensavamo inizialmente ad un’alleanza che riguardasse i temi della scuola, del lavoro, dell’acqua e della questione energetica. Però, dopo poco, sono venuti meno due pilastri fondanti di questa strategia: i movimenti dell’acqua e il lavoro. Nel primo caso, la cancellazione governativa dell’articolo di legge su cui si pensava di fondare il quesito, ha spinto gli “acquaioli” ad optare per una Petizione popolare che non avrebbe potuto avere la stessa forza di un quesito referendario. In quanto al lavoro, malgrado la nostra disponibilità, la decisione “secca” della Cgil di presentare i quesiti sul Jobs Act da sola ci ha messo nella difficile situazione di non poterne contrapporre altri ma anche di non poterci avvalere nella campagna di tale tema. L’inserimento in extremis del tema “rifiuti/inceneritori” non ha dato i risultati sperati, a causa dei contrasti esistenti tra i comitati che si oppongono agli inceneritori, e della diffusa avversione verso la componente (Zero Waste) che si era inserita nella campagna.

A complicare ulteriormente le cose si è aggiunta l’aspra polemica apertasi nei movimenti “antitrivelle” tra i sostenitori del referendum promosso dalle Regioni e coloro che hanno appoggiato la campagna dei referendum sociali. Il non-raggiungimento del quorum il 17 aprile scorso ha provocato una successiva ostilità da parte di tutti i “referendari di prima” contro quelli di “dopo”, oltre a convincere molti attivisti dell’inutilità dei referendum tout court.

Ma l’evento più dirompente ci è arrivato addosso quando la FLC ha esplicitato il veto impostole dalla CGIL confederale: “Potete raccogliere sulla scuola ma non su trivelle e inceneritori”. Questa decisione, malgrado poi in varie situazioni la FLC abbia raccolto su tutti i quesiti, è stata un elemento deleterio nella campagna, ed ha rivelato il forte scontro interno alla FLC (e tra la FLC e la Cgil Confederale) tra chi voleva i referendum e chi li osteggiava e boicottava, facendo mancare un gran numero di firme prevedibili. Ma quantomeno il 50-60% della FLC ha comunque lavorato per la raccolta firme, tant’è che di fronte alle nostre circa 120 mila (se contiamo anche quelle lasciate ai Comitati dove eravamo la forza principale), ne possiamo attribuire alla FLC circa 300 mila. Vuoto totale, invece, da parte della Gilda che, oltre a rifiutarsi di raccogliere sui quesiti ambientali, ha “rivendicato” in tutto 15 mila firme, peraltro mai verificate. Altrettanto inconsistenti, tranne poche situazioni (buona eccezione l’Abruzzo), si sono rilevati i “trivellatori”, che hanno scontato una presenza limitatissima sul territorio nazionale; mentre anche le strutture “acquaiole” sono riuscite a dare un contributo significativo solo in un numero limitato di province.

 

Il modesto impegno degli insegnanti

Ciò detto sul ruolo delle strutture organizzate, la nostra impressione è che i principali responsabili dell’incerto risultato finale – che ci fa dipendere dalle decisioni della Cassazione – siano stati, purtroppo, gli insegnanti. Sarebbe bastato che almeno la metà dei docenti che hanno scioperato il 5 maggio 2015 avessero firmato i quesiti per superare in carrozza il quorum. In realtà, dobbiamo ammettere che, purtroppo, la maggioranza dei docenti non solo non si è data da fare per raccogliere le firme ma non ha neanche firmato. La gran parte dei firmatari ai banchetti era contro la cattiva scuola di Renzi pur non essendo un lavoratore/trice della scuola, e in genere firmava soprattutto motivandolo con l’opposizione al governo Renzi. Insomma, si é ripetuto quanto già successe per il referendum acqua del 2011, laddove i protagonisti non furono i lavoratori/trici del settore. Tale panorama è stato ulteriormente aggravato dalle defezioni nella raccolta firme di una buona parte delle RSU e degli iscritti/e di tutti i sindacati promotori, che non solo non hanno fatto banchetti ma non hanno neanche raccolto qualche firma nelle proprie scuole o nella cerchia di parenti ed amici.

Stiamo discutendo intensamente sul significato di tale defezione di massa e delle sue conseguenze, anche alla luce di quanto è accaduto nelle scuole negli ultimi mesi, in particolare riferendosi ai conflitti sul bonus, sui Comitati di valutazione e sul potenziamento. L’impressione generale è quella di un rapido cedimento da parte della maggioranza dei docenti che sono passati dall’opposizione alla legge 107/15 della primavera-estate scorsa ad una sconcertante accettazione supina. È come se il grosso della categoria abbia preso atto che le lotte dell’anno scorso non erano riuscite a bloccare almeno i provvedimenti peggiori della 107, e in particolare lo strapotere dei presidi, e avesse deciso di arrendersi al nuovo “padronato” dei presidi. Sembrerebbe che non solo di paura si tratti ma che sia maturato un notevole degrado della funzione docente, una forte perdita deontologica, al limite della “mutazione genetica”, da parte della larga maggioranza della categoria, dalla quale peraltro sono fuoriusciti quasi tutti/e coloro che avevano avuto negli anni ’60 e ’70 significative esperienze conflittuali nella scuola e fuori di essa.

 

Le prospettive per il nuovo anno scolastico

Alla luce di queste considerazioni, certamente da approfondire, riteniamo che per il nuovo anno scolastico si debbano dare indicazioni più stringenti, e omogenee a livello nazionale, sul comportamento da tenere rispetto ai Comitati di valutazione, ai “bonus” e al ruolo dei potenziatori, oltre ad intensificare l’azione nei riguardi dei precari, degli ATA, degli “inidonei” e della scuola in carcere, visto che i margini di discrezionalità e di “flessibilità” che potevano apparire ancora in essere a settembre 2015, sembrano esauriti, tanto più alla luce dell’accordo sindacati-Miur sulle assunzioni triennali.

In ogni caso, tornando alla campagna referendaria, la nostra considerazione finale è che, comunque vadano le cose con le decisioni della Cassazione sulle firme (che conosceremo alla fine di ottobre), si sia trattato di una esperienza di grande rilievo, spessore e utilità per i Cobas. Oltre mezzo milione di persone hanno apposto più di 2 milioni e mezzo di firme sui 6 quesiti e sulla Petizione acqua, dialogando con i promotori su un vasto arco di temi sociali e politici. Come Cobas siamo venuti a contatto con centinaia di migliaia di persone di ogni estrazione sociale, orientamento politico e credo ideologico o religioso. Da tutti/e, indistintamente, abbiamo ricevuto elogi e gratitudine per quello che facevamo, in maniera disinteressata e senza “padrini” politici. Abbiamo potuto verificare come, insieme all’ostilità e alla sfiducia verso la politica politicante, permanga invece fiducia e simpatia per chi si batte nella società, senza richiedere premi istituzionali e per modificare in meglio le cose. In più, nei rapporti con le altre organizzazioni, abbiamo ricevuto riconoscimenti unanimi per la nostra continuità organizzativa ma anche per il nostro spirito genuinamente unitario, per il rispetto delle alleanze e per il rifiuto di logiche egemoniche anche nei confronti di forze a noi tradizionalmente ostili o di dimensioni ben più ridotte delle nostre. Il ché ha finito per darci, sia nel Coordinamento nazionale referendario sia nei Comitati locali, una centralità con pochi precedenti. È un vero peccato, però, che da queste esperienze, che hanno elevato il prestigio dei Cobas anche in ambienti a noi non favorevoli, siano rimasti estranei una larga maggioranza dei nostri iscritti/e e delle nostre RSU.

Pur tuttavia, resta un insegnamento prezioso per il futuro: così come già successo nel Movimento altermondialista (2001-2005), nell’opposizione alla guerra e al secondo governo Prodi (2006-2008), nei tentativi di alleanze sociali dal 2011 in poi, fino alla coalizione dello sciopero sociale del 2014, anche per la campagna referendaria si è ulteriormente dimostrato che si può operare a tutto campo nel conflitto sociale senza doversi staccare dal conflitto-scuola o cadere in derive politiciste o partitiste. Esiste la possibilità – come peraltro è stato confermato negli ultimi anni anche dai successi ottenuti nel lavoro nelle carceri o per la difesa contro gli abusi psichiatrici, o nel sempre più ampio spettro di azione culturale del CESP – di estendere all’esterno la difesa della scuola pubblica e dei suoi protagonisti, fondendola con esperienze che cerchino di strutturare alleanze sociali stabili ed efficaci, nell’immediato contro le politiche del governo Renzi ma più in generale contro il dominante neoliberismo, il quale, a livello nazionale e internazionale, potrà attraversare nel prossimo futuro fasi di crisi anche più dirompenti di quelle vissute dal 2008 ad oggi.