Abbiamo già ampiamente denunciato come il Bonus degli 80€, gentilmente concesso dal governo Renzi, sia stato un demagogico tentativo di disinnescare il “ritardo salariale” che nel mondo del lavoro pubblico ha bloccato le retribuzioni dal 2009.
Nella Scuola, questa concessione, sbandierata come volontà di valorizzare il sistema e il personale, in realtà non è altro che un ennesimo tentativo per vanificare il meccanismo di aumento automatico legato alla anzianità, giustamente rivendicato contro la logica del salario erogato secondo criteri di premialità, come chiaramente confermato anche dalla legge n. 107/2105. La conseguenza del bonus però, vista in prospettiva almeno decennale comporterà un diminuzione del montante pensionistico di notevole entità. Oggi questa considerazione, in situazione di blocco salariale, pare non interessare più di tanto il personale della Scuola. Ma alla lunga, quando coloro che saranno rimasti in situazione di sostanziale invarianza salariale per un decennio e spinti dalla sensazione di essere vicini alla pensione cominceranno a stilare le prime proiezioni del “quantum mensile”, scopriranno la triste realtà di un bonus percepito, ma non valido ai fini previdenziali e dunque, escluso dal montante pensionistico.
D’altronde è sufficiente leggere un cedolino dello stipendio, per scoprire che esso rappresenta un “credito” (DL 66/2014, art. 1) esente da trattenute previdenziali.
Questo Bonus perciò ha due gravi risvolti: 1) allenta la tensione al recupero salariale e nel tempo comporta una diminuzione della pensione; 2) spinge il personale alla ricerca di risorse “accessorie”, che hanno il carattere del “qui ed ora”, senza preoccuparsi delle conseguenze disastrose a medio termine e funge da stimolo per la “competizione premiale”. Ergo aumento, ma non per tutti … anzi per pochi!
Passiamo ora alla logica del Bonus-acquisto da 500€ ai fini dell’aggiornamento. Abbiamo condotto una breve ricerca su come è stata spesa (o si ha intenzione di spendere) detta somma. Abbiamo riscontrato il seguente risultato (indagine nostra su base provinciale a Pescara-Chieti):
– 87,70% ha acquistato prodotti informatici e similari;
– 9,4% ha acquistato libri;
– 1.9 % ha speso (quasi tutto) l’ammontare in frequenza di corsi di aggiornamento;
– 1% altro.
I risultati del campione, pur se limitato, ci dice che il Bonus in realtà non è stato utilizzato per l’aggiornamento e la formazione in servizio, finalizzati al raggiungimento di un più elevato tasso di qualità dell’insegnamento, cioè per scopi didattici, bensì soprattutto per l’acquisto di beni informatico-digitali. Ciò è in piena sintonia con gli intendimenti del Governo e del MIUR, che nelle varie proposte di formazione/aggiornamento prevede piani di digitalizzazione spinta (anche per ridurre l’organico del personale di segreteria) e per far sì che la didattica dentro le classi sia sempre più didattica da Computer, da Tablet et similia. Vogliamo perciò offrire anche su questo aspetto del “sistema bonus” alcuni spunti di riflessione.
1) Pur senza disconoscere il valore degli strumenti di ausilio all’insegnamento (computer, Lim, libro di testo, ecc.), occorre osservare, che il punto nodale dell’insegnamento resta sempre la relazione docente-alunno. Essa infatti non può essere surrogata, bensì coadiuvata dai supporti informatici. A nostro avviso ciò di cui ha bisogno oggi l’insegnante è lo sviluppo o il rafforzamento, della comprensione dei bisogni di apprendimento, commisurati alle caratteristiche delle nuove generazioni, coniugati ad ausili didattici. La nostra inchiesta invece rivela un uso preponderante dei 500 da “credito al consumo” per l’acquisto di prodotti informatici.
E non potrebbe essere altrimenti, vista la povertà di approfondimenti didattici dei vari piani di aggiornamento proposti dal ministero: basta scorrere il sito del MIUR, ancora meglio dei vari USR, per averne conferma. Evidentemente non si ritiene importante la didattica e l’insegnamento, a fronte della necessità sempre più impellente di avere nuovi approcci e motivazioni allo studio. Come si spiegherebbe altrimenti l’odio dichiarato per la scuola di larghe masse di giovani per l’attuale modo di fare scuola? (cfr. l’inchiesta su “Repubblica” del 28.3.2016).
2) La logica del “fai da te”, che sottende il bonus contamina sempre più fasce consistenti di docenti, i quali si convincono vieppiù della “comodità” dell’insegnamento standardizzato e spersonalizzato, dismettendo l’annoso, faticoso, ma significativo lavoro di “dialettica poietica” del ruolo docente.
L’acquisto e l’uso di software, come efficace sostituto della spiegazione, sembra diradare consistentemente nell’orizzonte scolastico la docenza, intesa come ricerca della relazione, della elaborazione/collaborazione tra docente e studente.
Non si vuole ipotizzare qui la rivalutazione della classica lezione cattedratica, bensì affermare che il “cedere la sovranità docente” in favore di una presunta “oggettività” (soprattutto in riferimento agli elementi valutativi, ma non solo) è, letteralmente, cedere una parte consistente del proprio “essere docente”. Il largo disamoramento per uno dei mestieri più interessanti ha sì basi politico-sociali, a partire da una penuria salariale ormai storica, ma non si esaurisce in essa. Le leggi sulla (falsa) autonomia, sui super poteri ai presidi, sugli incentivi contrattati, uniti alle pretese di standardizzazione del lavoro e sostenuto da supposta funzione taumaturgica degli strumenti informatici hanno degradato la funzione docente. La logica dei bonus nell’aggiornamento non rappresenta una inversione di tendenza, bensì il consolidamento di tale stato di fatto, perseguito con strumenti apparentemente dolci. Appunto: … ”miele sul veleno”.
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